Bellinzonese

Castighi proporzionati nel foyer: prosciolti tutti gli imputati

La Corte delle assise correzionali non ha ravvisato rilevanza penale nei loro comportamenti. Per i 4 ex dipendenti previsto un risarcimento per torto morale

Ti-Press
21 ottobre 2020
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Sono stati prosciolti da tutti i capi d'imputazione i quattro ex dipendenti di un foyer del Sopraceneri che erano accusati con responsabilità di grado diverso di abbandono, ripetuta coazione e lesioni semplici. Lo ho stabilito la Corte delle Assise correzionali presieduta da Francesca Verda Chiocchetti. La giudice ha anche stabilito che ciascun imputato riceverà 5'000 franchi di compenso per torto morale (oltre alla copertura delle spese legali) alla luce del danno professionale che hanno vissuto i quattro educatori a seguito dell'inchiesta condotta dalla procuratrice pubblica (pp) Chiara Borelli. Mentre la difesa chiedeva l'assoluzione, la pp si batteva per pene da 120 aliquote per un dirigente, 8 mesi per l'infermiera, 11 per l'educatore e 16 per il direttore (tutti sospesi).

Nei comportamenti avvenuti nei confronti di alcuni giovani ospitati nel centro educativo per minorenni - che nel frattempo ha chiuso i battenti - la Corte non ha infatti ravvisato alcuna rilevanza penale. La giudice Verda Ciocchetti ha precisato che nell'emettere la sentenza sono stati valutati in particolare proporzionalità e intensità di quanto avveniva nel foyer in cui, ha sottolineato la presidente della Corte, gli operatori erano confrontati con situazioni di forte disagio giovanile, prendendosi peraltro a carico alcuni casi in cui altri avevano fallito.

Medico d'accordo a non somministrare il farmaco

Il reato di abbandono era stato ipotizzato dalla procuratrice pubblica per la mancata somministrazione di un farmaco per il trattamento di disturbi psichici a un residente nel foyer, per il quale si è in seguito reso necessario un ricovero coatto a causa dell'aggravarsi delle condizioni di salute. La giudice ha riferito quanto sostenuto dalla ex psichiatra del giovane, ovvero che fosse lui a insistere nel voler smettere l'assunzione del farmaco perché lo considerava veleno. Probabilmente, ha aggiunto la giudice, chi attorniava il ragazzo nel foyer ha contribuito a fargli sostenere questa tesi, ma non per questo la somministrazione non avveniva come dovuto. Nel tempo la psichiatra è stata cambiata con un altro professionista, il quale ha acconsentito alla sospensione del medicamento, aggiungendo però: "consiglierei la reintroduzione della terapia per la notte". Un consiglio, quest'ultimo, che la giudice Francesca Verda Chiocchetti ha detto essere stato dato per far contenti i parenti del paziente e non perché la sua salute fosse a rischio. Non è dunque un reato il fatto che al foyer direttore, educatore e infermiera non abbiano seguito tale indicazione.

'I castighi non erano spropositati'

Al centro dell'inchiesta vi erano in particolare una serie di episodi, tra cui il far lavorare un ragazzo al fine di spaccare un quadrato d'asfalto e farlo restare per alcuni periodi in cantina per sfogarsi quando aveva delle crisi di pianto e di urla. A proposito dell'asfalto, la Corte non ha intravisto differenze sostanziali rispetto ad altre attività come lo spaccare la legna e creare una catasta. «Non importa che l’attività non fosse riferita nel manuale nel foyer e non si intravede un agire spropositato. Il ritmo non era imposto e l'attività avveniva in fasce ben delimitate e intercalate da altre attività», ha spiegato la giudice. Per quanto riguarda la chiusura in cantina, è stata ritenuta credibile la versione dell'imputato sul fatto che il ragazzo fosse libero di risalire quando aveva finito di sfogarsi. Giustificato, secondo la giudice, la spiegazione per la mancata indicazione di tale pratica sui rapporti. «In effetti poteva portare a mal interpretazioni se riferita senza spiegazione e senza dettagli». La cantina è inoltre stata utilizzata come castigo per chi era fuggito dall'atelier. Una modalità legittima e proporzionale per scongiurare altre fughe da parte dei giovani, ha continuato la giudice.

La Corte non ha poi creduto alla ragazza che diceva di aver dormito per alcune settimane su un materasso per terra in una stanza al freddo, senza possibilità di accendere la stufa, un fatto che non ha trovato prove a sostegno. In applicazione del principio in dubio pro reo, la Corte ha ritenuto che la giovane abbia dormito una sola notte senza stufa accesa. «Se avesse voluto farla dormire al freddo non le avrebbe dato quattro coperte come riconosciuto dalla giovane».

Vi è poi l'episodio della notte trascorsa su una capanna realizzata su un albero da parte di tre ragazzini tra i 10 e i 12 anni, senza sorveglianza di un adulto. Al mattino, ricordiamo, uno dei essi è caduto fratturandosi un polso. Cade in questo caso l'accusa di lesioni semplici nei confronti dell'ex direttore. È stata ritenuto sensato il fatto che si valutasse di caso in caso (in base alla maturità dimostrata) la possibilità di lasciar alcune libertà ai ragazzi, come quella di andare al fiume da soli. La caduta, è stato inoltre spiegato, è stata causata dallo scherzo di un ragazzo all'altro.