Questo il dubbio al centro del processo che vede alla sbarra quattro ex educatori di un foyer del Sopraceneri
Respingono le accuse i quattro ex dipendenti del foyer del Sopraceneri comparsi alla sbarra di fronte alla Corte delle Assise correzionali con le accuse di abbandono e ripetuta coazione. Reati che secondo l'accusa hanno perpetrato, con responsabilità individuali differenti, dal 2012 al 2017 nell'ambito della presa a carico di adolescenti presso il Centro educativo, chiuso dal Cantone nel 2018 alla luce delle indagini in corso.
In aula, nel corso del pomeriggio, la giudice Francesca Verda Chiocchetti ha dato inizio agli interrogatori degli imputati, partendo dall'accusa del reato di abbandono. Per la procuratrice pubblica Chiara Borelli, si sarebbe inopportunamente deciso di porre fine alla somministrazione di un farmaco, che veniva invece considerato necessario da parte dalla dottoressa psichiatrica (esterna alla struttura). Interrogato dalla presidente della Corte, l'ex direttore del foyer ha sostenuto che non sia stata unicamente la non assunzione del farmaco a generare lo scompenso psicotico del giovane (già precedentemente affetto da schizofrenia). Per l'ex direttore, ha infatti avuto una conseguenza importante il rapporto familiare complicato dell'adolescente.
I medicinali non sono più stati somministrati da quando il ragazzo si era ribellato fisicamente, hanno affermato gli imputati. «Dal momento che non voleva più assumerlo, si è deciso di non più insistere», ha detto l'ex infermiera del foyer, responsabile della salute degli ospiti nonché della gestione e organizzazione della terapia farmacologica dell'istituto. «Nella mia esperienza – ha aggiunto l'ex direttore della struttura – ho imparato che non si può obbligare qualcuno a prendere un medicamento, anche se sotto tutoria».
Si è poi giunti al secondo capo d'accusa. Ovvero il reato di coazione ripetuta per quelli che la pp definisce i “castighi straordinari”. «Si divertiva, non era ai lavori forzati», ha detto l'ex educatore della struttura a proposito di un giovane che, a causa dei continui disturbi ai compagni, per punizione era stato costretto a spaccare con una punta di trapano un quadrato di asfalto. «Mi sono inventato questa attività per tenerlo un po' distante dagli altri – ha detto l'ex direttore –. Un lavoro che è servito per abbellire l'ambiente in cui viveva, dal momento che sono stati piazzati i ciottoli, e dunque anche creativo». «Non è da intendere come una cantina in senso stretto, ma come un locale di attività», è stato invece detto in merito al giovane costretto a stare in un tugurio, vicino a una forgia, fino a due ore per avere tentato la fuga. «Non era un luogo di terrore, ma dove stavano bene e si trovavano a loro agio».
Altri “castighi straordinari” sono la costrizione per una giovane di dormire per terra su un materasso in una stanza senza riscaldamento (a causa della scoperta di un libro di caricature degli educatori), l’imposizione a un altro ragazzo particolarmente agitato di trasportare sacchi di sabbia per tre o quattro volte a settimana. Da ultimo, l’aver costretto una ragazza – pur se tale restrizione non fosse prevista dall’Autorità regionale di protezione – a interrompere il rapporto con la madre concedendo unicamente di effettuare telefonate sorvegliate. Tutte azioni che gli educatori hanno detto di avere fatto in buona fede, nel bene dei loro ospiti, credendo in un loro miglioramento comportamentale.
Il procedimento, interrotto alle 19, proseguirà domani alle 9.30 con la ripresa dell'istruttoria dibattimentale. Si procederà con il reato di lesioni semplici (che riguarda un solo imputato) per avere concesso a tre ragazzi di dormire in una capanna sull'albero senza nessuna sorveglianza. Secondo l'accusa l'uomo sarebbe dunque responsabile della frattura al polso di uno dei ragazzi caduto dell'albero. Poi spazio a requisitorie e arringhe (presente in aula anche l'avvocata Isabel Schweri, legale delle presunte vittime). A patrocinare gli imputati gli avvocati Marina Gottardi, Giuditta Rapelli-Aiolfi, Carlo Steiger e Olivier Ferrari.
Difficile riferire del procedimento odierno. Va infatti rilevata la confusione, oltre alla lentezza, con cui si è fin qui svolto. Un clima anomalo in aula, con la giudice che a un certo punto ha alzato la voce a causa delle continue interruzioni, commenti e persino risate da parte della difesa. «Un clima di riderelle», ha detto Chiara Borelli. Non gradendo affatto le modalità del procedimento, la pp si è rifiutata di porre le sue domande agli imputati. Poi, su invito della giudice, ha proceduto. Ma le modalità del dibattimento non sono mutate di molto, con nuove interruzioni, risate e addirittura un «fa cito» all'indirizzo dell'avvocata Schweri.
C'è poi da chiedersi se al medico cantonale Giorgio Merlani possa far piacere apprendere che – eccetto i due cronisti, la procuratrice e in parte il cancelliere – nessuno delle 25 persone presenti in aula abbia indossato la mascherina. Le disposizioni in vigore non la impongono, ma ricordiamo che è fortemente raccomandata negli spazi chiusi. Ancor più se non è possibile arieggiare (l'aula penale di Lugano non ha finestre ma è dotata di un impianto di aerazione). Inoltre le dieci persone del pubblico – che mai hanno indossato la mascherina – non rispettavano di certo il metro e mezzo di distanza di sicurezza una dall'altra.