Bonifica terreni Petrolchimica: l'avvocato Gianoni ricorda la propria battaglia contro l'industria avviata 63 anni fa come sindaco di Gnosca e deputato
«È al solo Cantone che deve andare il conto finale per il risanamento da 20-25 milioni di franchi dei terreni di Preonzo occupati per 40 anni dalla Petrolchimica. Cantone che ha favorito con esenzioni fiscali, e infine concesso, l’arrivo di un’attività fortemente inquinante la cui eredità oggi è pesantissima». Se da una parte le autorità cantonali cercheranno di chiamare alla cassa la ‘perturbatrice per comportamento’, ultima in ordine di tempo la compagnia petrolifera Tamoil proprietaria della Petrolchimica Sa fallita nel 1996, dall’altra viene attualmente ipotizzata una spartizione dell’onere nell’ordine dell’80% a Cantone e Confederazione e del 20% a Città e Patriziato. È quanto ha spiegato il Municipio di Bellinzona (vedi la ‘Regione’ dell’11 settembre) incontrando lunedì la popolazione di Preonzo. «Ma né la Confederazione, né l’allora Comune di Preonzo oggi quartiere della Città, né il Patriziato hanno responsabilità», dichiara alla ‘Regione’ Franco Gianoni, già sindaco per vent’anni del confinante ex Comune di Gnosca e già granconsigliere.
Qui Gianoni compie un salto indietro di 63 anni: «Il 5 luglio 1956 – racconta – quando ero sindaco di Gnosca da soli tre mesi, con i colleghi sindaci di Arbedo-Castione, Claro, Cresciano e Moleno denunciai al Consiglio di Stato (con copia all'allora Dipartimento di igiene, al Municipio e al Patriziato di Preonzo), l’intenzione della ditta Salpa Sa di Milano di trasferire a Preonzo il suo stabilimento italiano fatto chiudere dal Ministero della salute perché troppo inquinante». In quella missiva i cinque sindaci indicarono una “raffineria di petroli grezzi toppati, olii esausti, resine ecc.”, sottolineando “il pericolo di gravi esalazioni di odori, inquinamento acque, emanazione fumi, deposito scorie ecc.”. Di conseguenza “per non trovarci un giorno davanti al fatto compiuto, di fronte al quale sempre si esita/tarda a prendere i necessari provvedimenti”, chiesero al governo cantonale di “ordinare tutte le necessarie indagini per accertarsi sulla natura della progettata industria, nonché sugli eventuali inconvenienti che dovessero verificarsi. In caso positivo, si dovranno prendere tutti quei provvedimenti cautelativi per conservare integralmente e sotto ogni punto di vista la salubrità e l’aspetto della nostra zona”.
Lettera rimasta senza risposta. «Per contro senza esperire la benché minima inchiesta o porre qualche condizione – annota oggi Gianoni –, il Cantone ha concesso tutte le relative autorizzazioni e tutte le possibili esenzioni fiscali. Sicché nel giro di poco tempo a Preonzo sorse il nuovo stabilimento». Risultato? «Fu una vera catastrofe: per più di un ventennio l’odore nauseabondo era talmente intenso – ricorda l’avvocato – da svegliare di notte anche una persona dal sonno profondo; il pulviscolo dei fumi era tale da non poter più stendere all’aperto le lenzuola ad asciugare perché le avrebbero ritirate grigie al punto da doverle lavare nuovamente; i quantitativi di olii esausti convogliati nello stabilimento, per i quali la società percepiva soldi a palate, erano tali che era impossibile raffinarli tutti, per cui la maggior parte veniva scaricata all’aperto su un terreno ghiaioso, ciò che aveva formato addirittura il cosiddetto e ben noto ‘lago del veleno’, incuranti del fatto che a valle, a poco più di un chilometro, vi era il pozzo di captazione dell’acqua potabile dal sottosuolo del Comune di Gnosca».
Per oltre un ventennio – prosegue Gianoni – vi fu una continua battaglia mediatica e amministrativa in Ticino e a Berna, «trovando sempre e ovunque un muro di connivenze. Quanto a me, avviai una lunga battaglia politica denunciando i fatti in Gran Consiglio, facendo circolare tra i colleghi le fotografie attestanti lo sconcio, ma ottenendo il sostegno di un solo deputato, l’amico Paolo Poma, presidente dei pescatori ticinesi». Franco Gianoni ricorda anche i tentativi di farlo tacere: «Fui accusato di fanatismo, invidia, protagonismo, isterismo. Mi diedero del visionario. E si fecero intervenire i sindacati sostenendo che con i miei interventi creavo disoccupazione poiché, probabilmente pensando alla mia passione per le mucche, preferivo l’odore di stalla anziché quello di benzina». Ciliegina sulla torta, «mi si offrì di entrare nel Consiglio di amministrazione della Petrolchimica Sa, ciò che ovviamente rifiutai». Ma non solo: «Quale ultimo tentativo si cercò di mettermi contro la popolazione abbondando in regali natalizi per bambini delle scuole di Preonzo e di Gnosca».
Nonostante l’età avanzata, oggi come allora l’avvocato Gianoni non teme la sfida: «Qualora me lo chiedessero – mette lì a mo’ di battuta – sarei pronto a ingaggiarmi gratis per richiamare il Cantone alle sue responsabilità ambientali e finanziarie». D’altronde la Petrolchimica Sa fu già in passato al centro di cause legali. «Ecco un fatto eloquente, documentabile», attacca Gianoni: «Nell’ambito dell’istruttoria di una causa contro detta società, intrapresa a nome e per conto del Comune di Gnosca, interrogai un suo dirigente. Chiesi se corrispondesse al vero che la Sa aveva acquistato un appartamento al mare in Italia mettendolo gratuitamente a disposizione dei funzionari del Dipartimento delle opere sociali (Dos) per trascorrervi le vacanze». L’avvocato ricorda bene quale fu la risposta «suggeritagli dal patrocinatore della società. “Mi rifiuto di rispondere, avvalendomi dell’articolo 230d del Codice di procedura civile”. Una disposizione di Legge che parla chiaramente, poiché “Non possono essere obbligate a deporre (…) le persone che deponendo esporrebbero un grave disonore a sé stessi o ai loro congiunti”. Quindi – conclude Gianoni – il rifiuto equivaleva a un’ammissione». Successivamente, con un sondaggio eseguito a 100 metri dallo stabilimento e in direzione dell’acquedotto di Gnosca si scoprì una traccia d’olio: «Il fatto venne denunciato all’allora Ufficio della protezione dell’aria e dell’acqua; ciò nonostante la Petrolchimica Sa continuò tranquillamente a far soldi a palate, alimentando il ‘lago del veleno’ ora tutto assorbito dal terreno, con la connivenza delle autorità fino al suo fallimento».
Tutto questo per dire che «lo Stato, così come qualsiasi persona giuridica, risponde per l’agire dei suoi organi nelle loro funzioni, sia per commissione sia per omissione, libero poi di rivalersi sugli stessi». Purtroppo però, conclude Franco Gianoni, «oggigiorno è ormai tutto prescritto. Ma, ribadisco, sarebbe moralmente ingiusto imputare qualcosa sia al locale Patriziato che vendette il terreno, sia all’allora autorità comunale. Entrambi agirono col solo obiettivo di favorire la creazione di opportunità lavorative quando di lavoro non ce n’era».