L’associazione padronale Ticino Manufacturing si sfila dalle sue stesse oscenità, con un comunicato piuttosto surreale
Nel mai abbastanza celebrato ‘Amici miei’, il conte decaduto Raffaello Mascetti – un impeccabile Ugo Tognazzi – si diverte a confondere vigili urbani, infermiere e ignari passanti con la supercazzola, discorso volutamente assurdo e incomprensibile che però, contenendo frasi vagamente coerenti, spinge l’interlocutore a chiedersi per un attimo se non sia magari lui, a non aver capito: "Tarapia tapioca! Prematurata la supercazzola o scherziamo? Mi porga l’indice! Lo vede il dito, lo vede che stuzzica? E prematura, anche…". Cose così.
È un po’ l’impressione che si ha leggendo il comunicato stampa con cui Ticino Manufacturing annuncia l’adeguamento al salario minimo legale – bontà sua – e la rescissione del contratto col sindacato fasullo che fino a qualche tempo fa si faceva chiamare TiSin (ora è diventato Sindacato libero della Svizzera italiana: libero da cosa lo sa solo il povero Nando Ceruso, che ormai pare un orfanello dei Martinitt). Per intuire l’effetto-Mascetti basterebbe l’intestazione in cima ai fogli arrivati in redazione, su cui Ticino Manufacturing si presenta come "associazione d’imprese per la promozione di condizioni favorevoli per l’operatività e lo sviluppo di aziende labour intensive", che è come chiamano a Oxford le piantagioni. Lascia ancor più spiazzati – "lo vede che stuzzica?" – il passaggio in cui ci si ostina a difendere "la nostra scelta, fatta nella convinzione di agire in un perimetro di legittimità e legalità" per "cercare un compromesso realistico". Scelta ovviamente "strumentalizzata, arrecando danno alla reputazione delle aziende coinvolte".
Insomma: ti inventi un sindacato; gli fai redigere un contratto collettivo per aggirare il salario minimo; costringi i lavoratori ad approvarlo davanti a te, o così o chiudiamo; ti becchi un cazziatone dall’Ispettorato del lavoro che la metà basta, col quale ti spiegano nero su bianco che hai commesso un abuso di diritto; non pago (in tutti i sensi) fai ricorso con effetto sospensivo al Consiglio di Stato; quando qualche anima pia ti fa capire che stai mettendo per l’ennesima volta il dito sul fornello – come quei bimbi poco perspicaci che ci impiegano una vita a capire che scotta – ecco che finalmente ti ritiri in buon ordine. Ma la colpa è di chi "strumentalizza", come no.
Ora: lo capiamo che questo tentativo di pagare gli operai a lenticchie investe i frontalieri, e in un regime di apartheid lavorativo come quello ticinese se ne fregano quasi tutti, dei poveretti che ogni mattina arrivano fin qua per accendere i forni e far girare le aziende. Sicché anche questa storiaccia verrà archiviata con la bonarietà riservata al buon Mascetti, che tra una supercazzola e un ‘rigatino’ deve pur tirare a campare. Resta il fatto che dietro a TiSin, il sindacato giallo al centro di questa sgangherata messinscena, all’epoca dei fatti stavano il capogruppo e la vicecapogruppo della Lega dei Ticinesi in Gran Consiglio, Boris Bignasca e Sabrina Aldi, la quale tra l’altro sarebbe pure avvocata. Possibile che in questi mesi non si siano mai preoccupati di render conto d’un pasticcio del genere, imboscandosi dietro a silenzi stampa da cinema muto? Davvero ci si può defilare fischiettando da qualsiasi imbarazzo? Visto che la campagna elettorale si avvicina e il coraggio di certuni lo conosciamo, alle domande retoriche faremo prima a risponderci da soli: "Posterdati per due, come se fosse Antani".