Il fronte sindacale (Ocst e Unia) commenta il dietrofront di Ticino Manufacturing. Rischio delocalizzazione, ‘si paga pegno ma non alla legge’
Ticino Manufacturing oggi fa un’inversione a ‘U’ sul salario minimo. E il fronte sindacale – in due sigle Ocst e Unia –, che da subito si è messo di traverso all’operazione, l’aspettava seduto sulla riva del fiume (Confucio docet). «Era inevitabile andasse così – commenta senza fare sconti Vincenzo Cicero, cosegretario della Sezione Sottoceneri di Unia –. Evidentemente hanno capito anche loro – il riferimento è all’Associazione d’imprese presieduta dall’avvocato Costantino Delogu e al Sindacato libero della Svizzera italiana (l’ex TiSin), ndr – che con quell’operazione non si arrivava da nessuna parte». La strategia all’epoca era chiara: aggirare la legge e, appunto, l’applicazione del salario minimo. Norma alla quale, da settembre, ci si assoggetta, pur evocando possibili riduzioni o delocalizzazioni.
L’autunno scorso sembrava che il tempo (si legga l’introduzione imminente del nuovo corso) giocasse a sfavore del drappello di aziende del Mendrisiotto, poi firmatarie del Contratto collettivo di lavoro (Ccl) messo sul tavolo dall’allora TiSin e da Ticino Manufacturing. Troppo poco, ci si lamentava, per adeguarsi. Ora, al contrario, sono le lungaggini delle procedure giudiziarie e "l’incertezza" del futuro ad aver convinto tutti a non attendere l’esito della vertenza aperta (e adesso chiusa) con l’Ispettorato del lavoro. Lo stesso Ispettorato che il giugno scorso aveva dichiarato "non applicabile" quel Ccl fuori dai canoni. Per Cicero una motivazione che suona come una scusante.
A ben vedere, in Ticino solo un paio di manciate di aziende ha seguito la strada di TiSin e Ticino Manufacturing, ci fa notare dal canto suo Giorgio Fonio, segretario Ocst del Mendrisiotto. «È sintomatico. Ora si sono rese conto che non era più percorribile. Non dimentichiamo – rilancia – che il salario minimo non è stato un fulmine a ciel sereno, bensì un discorso che si è sviluppato sull’arco di sei o sette anni».
La maggior parte delle imprese, in effetti, ha aderito alla legge. «Una serie di aziende storiche con cui abbiamo sottoscritto un Ccl – spiega ancora il sindacalista – ha fatto fatica e in alcuni casi ha avuto bisogno, sì, di un po’ più di tempo per organizzarsi. Ma si sono tutte adeguate, facendo un piano d’azione e reagendo abbastanza bene. Il che dimostra che era possibile».
Oggi come ieri, però, torna lo spauracchio dei tagli e delle delocalizzazioni. Un anno fa venivano evocati per spronare a sottoscrivere il nuovo Contratto, adesso come effetto della necessità di tornare sui loro passi. Tra le righe della nota diffusa da Ticino Manufacturing si evidenzia, infatti, come "a causa dell’adeguamento, alcune delle aziende hanno già messo in atto – o dovranno valutare – misure quali la riduzione o la delocalizzazione di quei processi direttamente interessati dalle nuove condizioni". Affrettandosi a dire che "faranno tutto il possibile per minimizzare l’impatto negativo delle decisioni future sul nostro cantone".
Sul fronte sindacale come lo si legge? «Innanzitutto, resta da vedere se è vero e da capire di che aziende stiamo parlando – ci risponde Cicero di Unia –. Spesso e volentieri si tratta di realtà che speculano sulla situazione. E allora meglio che abbandonino il territorio piuttosto che incancrenirlo». Fonio dal canto suo esprime dispiacere per i lavoratori. «Il punto – aggiunge – è che pagano per le conseguenze non della nuova legge, ma semmai di un atteggiamento che non ha cercato e trovato una soluzione in questi anni».
Certo il segretario Ocst del Mendrisiotto non può dimenticare ciò che ha significato l’operazione TiSin-Ticino Manufacturing per questo territorio. «Questo Distretto è stato il più toccato: si è arrivati a destabilizzare il mondo del lavoro – scandisce Fonio –. A quel punto ci sono stati imprenditori che si sono interrogati sul fatto se si potesse agire così (bypassare la legge, ndr). In buona sostanza si è messo in pericolo un tessuto già fragile dei lavoratori e delle lavoratrici del Mendrisiotto. Tralascio il silenzio di una parte della politica ticinese».
Insomma, il caso sarà pure chiuso ma ha lasciato il segno.