Per colpa di un condizionale mancante bisogna rivotare un’iniziativa che non sta in piedi. Prima i promotori facevano i duri, ora le povere vittime
Non stava in piedi allora, non sta in piedi oggi. L’iniziativa sui rimborsi delle spese legali nei casi di legittima difesa resta quel che era l’anno scorso, quando la si bocciò una prima volta. Ovvero un testo mal scritto, che apre le porte alla discriminazione tra chi viene assolto per legittima difesa e chi per ragioni differenti. Nel primo caso si pretende infatti di garantire un rimborso completo di tutte le spese legali, anche ad avere Cicerone come avvocato; quanto a tutti gli altri, si arrangino: dovranno accontentarsi come sempre di un’indennità forfettaria. Una disparità di trattamento che riguarda sì pochi casi al decennio, ma rischia comunque di scontrarsi con la Costituzione e il diritto federale. A questo proposito non attacca la spericolata argomentazione secondo la quale si tratterebbe di casi speciali perché l’imputato è anche vittima (di un’aggressione): qualsiasi innocente può essere considerato anche vittima d’un torto.
Ma come siamo arrivati a questo secondo giro di giostra? Il pasticcio è sorto per via d’un condizionale mancante: nell’opuscolo sulla votazione il Consiglio di Stato – che era e resta contrario all’iniziativa – ha presentato la disparità di trattamento e il conflitto col diritto superiore all’indicativo della certezza, invece che come un rischio assai concreto. Rispondendo a un ricorso, il tribunale federale ha quindi contestato l’informazione “non oggettiva” e “in parte tendenziosa”, col risultato che ora bisogna votare di nuovo. Nota bene: a Losanna non è stato chiesto di entrare nel merito dei possibili conflitti della norma con le leggi federali, che infatti non ha in alcun modo escluso.
La querelle sul libretto rappresenta una figuraccia non solo per l’esecutivo cantonale, ma anche per il Gran Consiglio – esplicitamente criticato dal Tribunale federale per non avere “esaminato compiutamente” la disparità di trattamento –, per i servizi giuridici del Cantone e per la Cancelleria. Peccato, perché questi errori forniscono ottimi pretesti a un antielitismo già fin troppo diffuso, al punto che gli stessi arruffapopolo che se la prendono col ‘potere’ ne sono ormai pietra d’angolo.
La speranza dei promotori è che questo scivolone riesca a ribaltare un esito già tirato: a febbraio dell’anno scorso i ‘no’ vinsero per 426 schede. Ma la loro battaglia non mira solo all’interpolazione nel diritto d’una norma sbilenca e discriminatoria. La prima tornata era stata l’occasione per fomentare i giustizieri di casa nostra con compiaciute scenette pulp, immediatamente ribattute dalle solite redazioni: il laido stupratore – ovviamente straniero – che s’acquatta ai giardinetti, l’invasore dell’elvetico salotto da sgominare eroicamente e così via, nonostante le norme per stabilire quando la difesa è legittima restino immutate anche in caso di ‘sì’. Ora invece, complice l’errore del governo, è il momento giusto per un altro gioco assai diffuso: fare le povere vittime per raccattare consensi. Ha già versato calde lacrime per “l’ora più buia per la democrazia diretta in Ticino” il primo firmatario che ci ha trascinato in quest’operetta (per inciso, lo stesso convinto che lo Stato islamico sia a un passo dalla conquista di Corippo).
Eppure stavolta il dibattito è rimasto tiepido ovunque, perfino su ‘Mattino’ e portalini limitrofi. Probabilmente oggi, tra pandemia e altri oggetti in votazione, ci sono altre priorità. Oppure, dai e dai, ci si stufa di riscaldare minestre scadenti e perdere tempo su proposte scalcagnate. Speriamo.