Progetti per ridurre l’impatto ambientale
Da decenni il consumo globale di pesce cresce al ritmo del 3,1% annuo, superando di gran lunga l’aumento della popolazione mondiale (1,6%) e del consumo di carne (1,1%). Con una tale domanda di proteine provenienti dall’ambiente marino, non c’è alcuna prospettiva di mantenere la sostenibilità della pesca senza spostare grandi quantità di produzione ittica verso l’allevamento, noto anche come acquacoltura. Già oggi il 52% dei frutti di mare consumati nel mondo è prodotto attraverso questo sistema che, proprio per tenere il passo con la domanda, è in costante aumento (7,5% all’anno dal 1970). Secondo l’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura degli Stati Uniti, la crescita dell’acquacoltura è stata accelerata per decenni, mentre la pesca di cattura, soprattutto nelle acque marine, è diminuita in risposta al sovrasfruttamento e alle conseguenti restrizioni normative. Quindi, a parte la scelta personale di ridurre drasticamente il consumo di pesce, come fare a garantire più proteine con un impatto minore? Il tutto proteggendo anche i nostri oceani.
"Innanzitutto, dobbiamo accettare il fatto che qualsiasi tipo di produzione alimentare, compresa l’acquacoltura, ha un impatto sull’ambiente – afferma Merrielle Macleod, direttrice del team Acquacoltura del WWF-USA –. Ma l’obiettivo essenziale è quello di utilizzare l’allevamento ittico per produrre proteine per la popolazione mondiale con un impatto ambientale minore rispetto ad altre forme di produzione di proteine. Non ha senso confrontare un pesce d’allevamento con un pesce catturato in natura", afferma l’esperta. "Nel contesto globale, può essere più utile paragonare un pesce d’allevamento a un pollo o a una mucca d’allevamento". Questo punto di vista può aiutare i consumatori a capire che molti degli aspetti negativi associati all’acquacoltura – come l’inquinamento delle acque – fanno parte degli elementi dell’impronta di questo sistema di produzione. La questione non è se questi elementi siano dannosi, ma piuttosto qual è il danno relativo dell’impronta di produzione dell’acquacoltura rispetto alle impronte di altri sistemi, come la pesca eccessiva nei frutti di mare pescati in natura o la produzione di metano negli allevamenti di bestiame. E se da una parte il WWF continua a consigliare di ridurre drasticamente il consumo di pesce, dall’altra parte, visto il costante aumento di richiesta, gli esperti si domandano come mitigare i danni dell’acquacoltura. Per questo motivo, si è deciso non solo di collaborare con la grande distribuzione, ma anche con produttori e associazioni per ottenere un impegno a lungo termine da parte di tutti.
Uno dei principali impatti dell’acquacoltura è il danno agli ecosistemi costieri, in particolare l’allevamento di gamberi, una pratica che prevede lo sviluppo di stagni creati dall’uomo lungo le coste per allevare questo crostaceo. Questo metodo utilizza la deforestazione e la conversione delle zone umide per trasformare gli ambienti terrestri costieri in ambienti acquatici, un processo chiamato conversione. Il WWF collabora, dunque, con diversi produttori per ridurre l’impatto. L’influenza dei nostri esperti, per esempio, ha fatto sì che venisse creata una task force in Thailandia, con il compito di includere la questione della conversione nel suo piano d’azione in 10 punti. In Ecuador, invece, la Sustainable Shrimp Partnership è stata spinta ad effettuare diversi cambiamenti, tra cui la rinuncia ad utilizzare antibiotici all’interno delle piscine. Il WWF chiede inoltre ai propri partner aziendali di certificarsi presso l’Aquaculture Stewardship Council (ACS), che dispone di un ottimo sistema di tracciamento. È stato sviluppato un software di tracciabilità gratuito e open-source chiamato transparenC, che è stato sperimentato con diverse aziende. Infine, il WWF sta lavorando affinché a livello globale ci sia una maggiore trasparenza per quanto riguarda le fonti degli ingredienti usati per i mangimi. E mentre si continua a lavorare per mitigare i danni dell’acquacoltura, i nostri esperti stanno anche studiando come sostenere la creazione di una rete positiva dall’acquacoltura attraverso l’allevamento di alghe e la coltivazione di bivalvi. L’allevamento di molluschi e alghe può migliorare l’ambiente riducendo i nutrienti nell’acqua e aumentando la biodiversità grazie alla creazione di un mini-habitat nell’oceano. Inoltre, le alghe assorbono l’anidride carbonica.
Tra i progetti più importanti, vi sono due investimenti del WWF che riguardano le alghe marine. Si tratta di progetti pionieristici. Il primo si chiama Oceano Rainforest e si tratta di un allevamento di alghe nelle Isole Faroe. Il secondo riguarda Oceanium, un’azienda che sta creando imballaggi "biobased" a partire proprio dalle alghe marine. Si tratta, infatti, di un sistema che sta prendendo sempre più piede nel mondo poiché questi rappresentano ancora un grande problema. Da una parte c’è chi vuole smettere di utilizzare la plastica lì dove si potrebbero avere delle valide alternative, dall’altra non si vuole nemmeno utilizzare troppa carta. Per questo motivo, la lavorazione di alghe è un sistema sempre più in uso. Il WWF, infatti, ha anche collaborato con la Global Environment Facility per sviluppare quattro fattorie di alghe in Vietnam e nelle Filippine, al fine di sviluppare un approccio commerciale alla produzione di alghe per sostituire i tipici approcci di sussistenza. "Stiamo lavorando per aumentare la produzione di alghe", afferma Aaron McNevin, responsabile della rete globale del WWF per l’acquacoltura e vicepresidente del WWF-USA per l’acquacoltura. "È un cambiamento fondamentale in quello che stiamo facendo". Questi sforzi sono sempre più importanti, dato che l’acquacoltura sta accelerando e ricopre un ruolo sempre più importante nella produzione di frutti di mare in tutto il mondo. I consumatori possono fare la loro parte cercando la certificazione ASC oppure semplicemente riducendo drasticamente il consumo di pesce.