Raccolta una miniera in miniatura
Quando acquistiamo un nuovo cellulare, spesso non sappiamo cosa fare di quello vecchio. Lo conserviamo in un cassetto fino a dimenticarci della sua esistenza, senza sapere di custodire così un vero e proprio tesoretto. E non per il valore affettivo che forse gli abbiamo attribuito. No, telefoni e smartphone nascondono davvero risorse preziose: oro, argento, cobalto e tantalio, per citarne alcune, la cui produzione ha impatti sociali e ambientali a dir poco catastrofici. La Sezione del WWF Svizzera italiana, approfittando della Giornata della buona azione promossa da Coop, ha deciso quindi di lanciare un’azione di raccolta cellulari in varie scuole superiori del Ticino. Nel corso del mese di maggio, allievi e docenti sono stati invitati a riflettere sull’importanza di recuperare questi materiali preziosi attraverso un corretto riciclaggio. L’iniziativa si è conclusa con successo con una bancarella, proposta per due sabati consecutivi a Bellinzona, e l’invito a tutta la popolazione a portare i propri vecchi dispositivi. I 200 cellulari raccolti verranno ora consegnati a Swico Recycling, un sistema solidale che si occupa del ritiro e dello smaltimento ecosostenibile.
Un singolo smartphone è composto da più di mille componenti individuali e contiene più di 60 sostanze, di cui circa 40 sono metalli: rame, silicio, alluminio, ferro, litio, stagno, piombo, zinco, palladio… la lista è ancora lunga. Alcuni di questi sono presenti in quantità microscopiche, eppure irrinunciabili per il corretto funzionamento dell’apparecchio. Enormi superfici naturali vengono distrutte in tutto il mondo per rispondere all’irrefrenabile domanda di materie prime, estratte nelle miniere sotto forma di minerali e separate dalla roccia comune con prodotti chimici altamente tossici. I risultati sono devastanti sia per il territorio sia per i suoi abitanti: malattie, perdita di habitat e biodiversità, contaminazione delle acque e dei terreni agricoli, emissioni di gas serra. I Paesi ricchi di risorse naturali sono spesso i più poveri a livello globale, colpiti da legislazioni lassiste e governi corrotti che portano all’estrazione incontrollata senza alcun compenso per la popolazione locale. La corsa per accaparrarsi queste importanti risorse porta inoltre spesso a conflitti armati, e guerre civili vengono finanziate dalle entrate delle miniere. Nella Repubblica Democratica del Congo, ad esempio, sia i ribelli che l’esercito controllano varie miniere e traggono profitto dalla vendita dei metalli. Secondo gli esperti, entro i prossimi 30 anni avremo consumato una quantità di risorse minerarie pari a quella che si è consumata dall’era di Neanderthal fino a oggi. Sappiamo però che nessuna materia prima è illimitata sulla Terra. Alcune già cominciano a scarseggiare.
Poiché alcune materie prime sono già molto scarse sulla Terra, è importante sfruttare al massimo quelle già estratte. Circa 3/4 dei materiali contenuti in un telefonino sono recuperabili attraverso il riciclaggio, un processo proficuo con un impatto ambientale decisamente minore rispetto all’estrazione mineraria, sia in termini di sfruttamento del territorio sia in termini energetici. Per fare un confronto: dall’estrazione di una tonnellata di detriti rocciosi si ricavano da 4 a 9 grammi d’oro, mentre dal riciclaggio di una tonnellata di smartphone se ne ricavano fino a 280 grammi. I materiali rimanenti vengono inceneriti in un impianto sicuro oppure, se si tratta di metalli pesanti, vengono isolati in discariche sotterranee. Gli svizzeri sono leader mondiali in questo campo grazie a tecnologie innovative, ma il destino di oltre l’82% dei rifiuti elettronici nel mondo, che continuano ad aumentare, non è invece così scontato. Gran parte di essi rimane abbandonata in case e magazzini, viene bruciata o finisce in discariche a cielo aperto. Alcuni Paesi in via di sviluppo, molto popolosi e dunque già grandi produttori di rifiuti elettronici, sono inoltre inondati da migliaia di tonnellate di apparecchiature scartate provenienti dall’Europa, trasportate illegalmente su camion insieme a dispositivi ancora funzionanti così da evitare ispezioni. Il Ghana ad esempio è uno dei più importanti paesi di destinazione dell’elettronica “di seconda mano” (in realtà non più funzionante): in discariche desolate che si estendono per centinaia di chilometri, i lavoratori bruciano la plastica dei cavi per esporre il rame, dissolvono i metalli con bagni di acido o riscaldano i circuiti sul fuoco per estrarre l’oro. Con conseguenze terribili per la salute umana, per il suolo e per le acque.
Tutto ciò che possediamo e consumiamo ha un impatto sull’ambiente, non solo durante l’utilizzo e lo smaltimento, ma anche e soprattutto nelle fasi che precedono il suo arrivo nelle nostre mani. Prendiamo uno smartphone: il suo ciclo di vita inizia con l’estrazione di risorse minerarie negli angoli più remoti del pianeta. Il rame estratto in Indonesia, il litio del Cile, l’oro del Sudafrica, l’argento della Russia confluiscono poi nel sudest asiatico (per la maggior parte in Cina) dove vengono trasformati in cosiddetti prodotti semilavorati, all’interno di fabbriche tristemente note per le condizioni di lavoro precarie e disumane. Sempre in Asia, le varie componenti vengono poi assemblate e confezionate nello smartphone così come noi lo conosciamo.
Trasportati nei paesi consumatori su enormi navi container, dai porti arrivano fino ai negozi di elettronica via camion. Il ciclo di vita di un telefono ha dunque bisogno di enormi quantità di energia: energia per far funzionare i macchinari nelle miniere, per pulire i metalli preziosi, per trasportarli fino alle fabbriche di produzione, per dar loro la forma desiderata e assemblarli in piccole componenti; energia per imballare e trasportare l’apparecchio pronto presso i punti di vendita, per farlo funzionare, per smaltirlo una volta rotto. Due terzi del consumo energetico totale di uno smartphone avviene al di fuori della sua “vita utile”, e tre quarti dell’impatto ambientale dei nostri consumi sono causati all’estero. E tutto questo per un prodotto che, in Svizzera, viene gettato in media dopo appena 18 mesi dall’acquisto.