L’orso bianco è il simbolo dei cambiamenti climatici
Tempeste di neve e lunghi mesi di oscurità: l’Artide rende la vita dura ai propri abitanti. L’orso polare si è adattato perfettamente a queste condizioni estreme. Condizioni estreme, però, che a causa dei cambiamenti climatici stanno scomparendo, rendendo la vita quasi impossibile a questo maestoso mammifero.
Con uno strato di grasso che può raggiungere i 10 cm di spessore, una calda pelliccia e grosse zampe, l’orso polare è perfettamente attrezzato per vivere tra i ghiacci. La zona in cui l’orso polare si trova più a suo agio è la banchisa attorno al Polo Nord. Tra questi ghiacci l’orso va a caccia della sua preda prediletta, la foca. D’estate, quando la banchisa si scioglie e le foche migrano a Nord, una parte degli orsi polari delle regioni più meridionali finisce sulla terraferma. Qui gli orsi digiunano fino al riformarsi dei ghiacci in autunno: sulla terraferma, infatti, il cibo a disposizione scarseggia. Ed è qui che iniziano i problemi seri: da qualche tempo, infatti, sulla terraferma gli orsi devono aspettare sempre più a lungo. E la causa – come molti di voi oramai sapranno – è da ricondurre a uno dei loro più grandi nemici: il riscaldamento globale, che allunga il periodo senza ghiaccio e rende irraggiungibili i territori di caccia. Perché se 60 anni fa il nemico più grande dell’orso polare era l’essere umano, che lo cacciava per la carne e la pelliccia, oggi gli esemplari devono far fronte a temperature alle quali non sono abituati e alla mancanza di ghiaccio. Le immagini di orsi polari magri, al limite dello sfinimento, fanno oramai il giro del web. Anche in passato la banchisa si ritirava ogni anno. Il periodo di digiuno degli orsi sulla terraferma, tuttavia, era di soli uno o due mesi al massimo. Attualmente, invece, il periodo senza ghiaccio si protrae fino a sei mesi. Avete letto bene: sei lunghissimi mesi. Gli orsi perciò rimangono bloccati, e costretti alla fame, sulla terraferma: la morte per inedia minaccia soprattutto le femmine gravide e i cuccioli. E stando alle previsioni degli scienziati di tutto il mondo, se non freniamo i cambiamenti climatici e riduciamo le emissioni di CO2, ci saranno dei periodi dove il Polo Nord semplicemente non esisterà e il numero di orsi polari potrebbe ridursi drasticamente. Basti pensare che oggi se ne contano tra i 22mila e i 31mila esemplari. Secondo gli esperti, negli ultimi 30 anni il loro numero si è ridotto di un terzo. L’orso polare è passato da re dell’Artide a tragico simbolo dei cambiamenti climatici.
Trenta gradi Celsius sotto lo zero, tempeste di neve e lunghi mesi di oscurità: la vita nell’Artico è spesso molto dura. Solo chi si adatta riesce a sopravvivere. Oltre all’orso polare ospita molte specie animali e vegetali e costituisce un importante luogo di cova per numerosi uccelli migratori. Animali che sono tutti a rischio a causa dei cambiamenti climatici. L’orso polare sta perdendo il suo habitat: gli si sta letteralmente sciogliendo sotto le zampe. Le cause principali sono le emissioni di CO2, immesso nell’atmosfera dalla combustione di carbone, petrolio e gas. Come già detto, una volta gli orsi polari dovevano resistere a uno o al massimo due mesi di carestia.
Nelle regioni meridionali, invece, oggi devono attendere sei mesi. Per ogni settimana di caccia in meno, gli orsi polari devono affrontare il periodo di digiuno con dieci chili di peso in meno. Le prime vittime sono le femmine gravide e i piccoli. La ricerca del cibo sulla terraferma spinge gli orsi sempre più vicino agli insediamenti umani.
Gli orsi rovistano tra i rifiuti, saccheggiano le riserve e aggrediscono i cani da slitta. Questi incontri ravvicinati sono pericolosi per tutti: gli orsi affamati mettono a repentaglio la sicurezza degli uomini e finiscono spesso uccisi.
Anche lo sfruttamento economico dell’Artico costituisce una minaccia per la regione. E in particolare l’estrazione di petrolio e gas, facilitata dallo scioglimento dei ghiacci. Se venissero sfruttate anche le riserve di combustibili fossili del Polo Nord, il cambiamento climatico subirebbe un’ulteriore accelerazione e l’habitat dell’orso polare scomparirebbe ancora più rapidamente. Per frenare i cambiamenti climatici dobbiamo ridurre le emissioni di CO2. In parole povere: quattro quinti delle riserve mondiali di petrolio, gas e carbone dovranno rimanere nel sottosuolo. Purtroppo, al momento si stimano 26 miliardi di barili di petrolio greggio e 3’680 miliardi di metri cubi di gas. Chi ci vuole guadagnare non ci pensa due volte: trivella. Alcune aziende pensano solo a far soldi, senza riflettere sulle conseguenze. L’inquinamento da idrocarburi nell’Artide avrebbe conseguenze gravissime a livello economico, sociale ed ecologico. Non solo: balene e altri mammiferi marini fanno fatica ad orientarsi a causa dei forti rumori delle navi e delle trivellazioni. In alcuni casi, gli animali muoiono a causa del forte stress che devono affrontare. Come se non bastasse: in caso di incidente, chilometri e chilometri di costa verrebbero distrutti.