#gaia #wwf

SOS Artico

9 dicembre 2017
|

In capo al mondo, all’estremo Nord del nostro emisfero, si trova l’Artide. Un continente di neve e ghiacci perenni che si estende intorno al Polo Nord. Il clima è estremamente freddo e le temperature possono scendere fino a 50 gradi sotto lo zero. D’inverno regna il buio: il sole rimane perennemente nascosto sotto l’orizzonte e la notte dura mesi e mesi. L’estate è breve ma in cambio fa sempre chiaro, sia di giorno che di notte. L’Artide è uno sterminato mare, molto profondo, coperto da un gigantesco strato di ghiaccio, con la banchisa – spessa anche fino a 10 metri – che galleggia sull’acqua. D’inverno, quando il freddo è più intenso, i ghiacci polari si estendono verso sud mentre d’estate la banchisa si scioglie e si ritira verso nord. Il Mare Artico è circondato dalle ramificazioni settentrionali di Europa, Asia e America. Otto nazioni fanno parte dell’Artide: la Russia, il Canada, la Groenlandia (appartenente alla Danimarca), l’Alaska (che fa parte degli Stati Uniti), le isole norvegesi di Spitzbergen, la Svezia, la Finlandia e l’Islanda. Artide deriva dal greco “arctos”, che significa orso, perché le costellazioni dell’Orsa maggiore e minore si trovano proprio sopra questo continente. Ed infatti, il nome è più che appropriato, visto che l’Artide è la casa dell’orso bianco, detto anche orso polare. È il re indiscusso di questa immensa distesa di ghiaccio: è il più grande predatore esistente sulla terraferma e non ha nemici naturali, fatta eccezione per l’uomo, che, pur vivendo così lontano dall’Artide, con le sue abitudini causa lo scioglimento progressivo dei ghiacci della calotta polare e, di conseguenza, l’orso polare non ha più sufficienti fonti di alimentazione. Fino a 50 anni fa, infatti, l’orso polare aveva un solo nemico: il cacciatore. Oggi è minacciato dal riscaldamento globale, un problema più complesso. Il ghiaccio che si scioglie lo fa morire di fame. Negli ultimi 140 anni nell’Artico le temperature sono aumentate di 3 gradi. I ricercatori temono che entro il 2040 la banchisa sarà presente solo nelle regioni settentrionali della Groenlandia e del Canada. In parole povere: l’orso polare ha sempre meno tempo a disposizione per cacciare e per accumulare uno spesso strato di grasso che lo protegga dal freddo e durante i periodi estivi in cui digiuna: il ghiaccio si ritira prima in primavera e avanza più tardi in autunno. Noi tutti abbiamo già visto la foto di un orso polare ridotto a pelle e ossa. Questo è solo l’inizio se non riduciamo le emissioni di CO2.

 

L’orso polare ha caldo

Gli orsi polari sono in grado di vivere nell’Artide perché si sono adattati perfettamente alla situazione climatica estremamente fredda. Sotto la candida pelliccia sono protetti da uno strato di grasso che isola il loro corpo dalle temperature glaciali. I peli della pelliccia bianco-giallognola sono in realtà trasparenti e appaiono bianchi a causa del riflesso della luce solare sulla neve e sul ghiaccio. I raggi solari penetrano in profondità fino a raggiungere la pelle scura dove il calore viene immagazzinato. Il nome latino dell’orso polare è “Ursus maritimus”, ovvero orso marino, e infatti è un ottimo nuotatore. Riesce a rimanere immerso sott’acqua anche per due minuti tenendo gli occhi aperti e le narici chiuse. L’orso polare è il più grande mammifero carnivoro sulla terraferma. Da adulti, i maschi possono pesare fino a 800 chili, mentre i piccoli alla nascita pesano meno di un chilo e sono grandi come un porcellino d’India. In posizione eretta il maschio è alto 3,5 metri. Le femmine pesano circa la metà dei maschi e sono più piccole. Gli orsi bianchi possono vivere dai 20 ai 35 anni.

Quando nasce un orso polare

È davvero sorprendente come le femmine di orso danno alla luce i loro piccoli. Prima di potersi accoppiare e partorire la femmina deve raggiungere l’età di 4 o 5 anni e il peso di almeno 300 chili, questo per garantire sufficienti riserve di grasso fino al momento della nascita dei piccoli. Tra settembre e ottobre la femmina abbandona la banchisa e si dirige verso l’interno dove in un pendio nevoso scava una grotta. Il cunicolo di accesso è lungo circa un metro e la tana dove partorisce ha un diametro di un metro e mezzo. L’orsa si ritira nella tana, chiude l’accesso con la neve e aspetta che la gravidanza giunga al termine. Durante il mese di dicembre, a volte anche all’inizio di gennaio, partorisce, solitamente, due piccoli di appena 25 cm, ciechi e coperti di pochi peli. La madre riscalda i neonati con il calore del suo fiato e del corpo. Nella tana, la temperatura è di poco sotto lo zero, mentre all’esterno il termometro scende sotto i 40 gradi e imperversano bufere di neve. I piccoli crescono in fretta e a marzo – quando abbandonano per la prima volta la tana – pesano tra i 9 e i 14 chili. Devono essere pronti per il viaggio di ritorno alle regioni costiere. Un viaggio molto faticoso sia per i piccoli che per la madre, che da otto mesi non tocca più né cibo né acqua: è allo stremo delle sue forze. Ha bisogno dunque di mangiare il prima possibile. Cosa che però si sta facendo sempre più difficile, le prime vittime sono loro: madre e cuccioli.