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Sport, soldi, truffe: il caso Del Potro

Il tennista argentino ha perso il 90% della sua fortuna a causa degli investimenti sbagliati del padre. Non è il primo, né sarà l’ultimo

4 febbraio 2022
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Il sogno è di poter tornare in campo il 7 febbraio nell’Atp 250 di Buenos Aires, torneo per il quale gli organizzatori hanno confermato la sua iscrizione. Se ci riuscisse, Juan Martin del Potro metterebbe fine a un’assenza dal Circuito che dura da 31 mesi. L’ultimo incontro della Torre di Tandil risale infatti al giugno 2019, quando al Queen’s aveva superato il canadese Denis Shapovalov. Nel finale di partita si era però infortunato al ginocchio ed era stato costretto a dare forfait per la sfida successiva. In seguito, due interventi chirurgici al ginocchio e una classifica Atp precipitata fino alla posizione 758 (il fondo l’aveva toccato nell’agosto 2016 con il numero 1’045), lui che nell’agosto 2018 aveva raggiunto addirittura il terzo posto del ranking.

In un filmato-intervista con l’Atp, reso pubblico pochi giorni prima degli Internazionali di Roma del 2019, Palito così si era espresso: “Mi piacerebbe essere ricordato come uno che non ha mai mollato”. In primo luogo, gli annali del tennis lo ricorderanno come un giocatore dall’immenso talento, capace nel 2009 di conquistare il titolo degli Us Open al termine di un’elettrizzante finale con un Roger Federer all’apice. Ma è fuor di dubbio che il giocatore argentino passerà alla storia come uno tra i più fulgidi esempi di tenacia, di attaccamento allo sport, di capacità di risorgere più e più volte dalle proprie ceneri.

Juan Martin del Potro è uno al quale le mazzate tra capo e collo non sono mai venute meno. E, tanto per non smentirsi, l’ultima risale a poche settimane fa, quando in Argentina la trasmissione televisiva ‘A la tarde’, condotta da Karina Mazzocco, ha sollevato il velo del silenzio sulla truffa della quale il tennista è stato vittima. Un controllo in banca ha permesso a Del Potro di scoprire che sul conto gli erano rimasti meno di 3 milioni di dollari. Una cifra da far invidia a tutti i mortali, ma nulla rispetto ai 30 milioni che l’argentino credeva di aver risparmiato con racchetta e investimenti. Invece, il 90% dei suoi averi si sono volatilizzati.

La scoperta è avvenuta pochi mesi dopo la morte del padre Roberto, colui che da sempre aveva gestito il portafoglio del figlio. Ed è proprio stata una serie di investimenti sbagliati a mettere nei guai prima il padre e poi il figlio. Roberto del Potro, veterinario di professione, si era dato all’agricoltura, comprando 9’000 ettari di terreno e i necessari macchinari per iniziare una produzione di soia (cereale che negli ultimi anni in Argentina viene coltivato in maniera intensiva).

Aveva inoltre tentato di entrare nel mondo dell’edilizia, ma siccome non era ferrato né nell’uno, né nell’altro campo, gli affari avevano preso una piega sbagliata e per rifinanziare i debiti Del Potro senior era stato costretto a richiedere prestiti. Così, una volta scomparso il padre, alla porta del figlio hanno iniziato ad ammassarsi i creditori e Juan Martin si è ritrovato, con un conto bancario svuotato, a dover far fronte a una marea di debiti. Secondo numerose fonti, la decisione di voler sfidare per l’ennesima volta un fisico sempre più logorato sembra essere dettata proprio dalla necessità di guadagnare per poter colmare la voragine finanziaria lasciata dal padre.

Da predestinato a precoce ritirato

Palito ha compiuto 33 anni lo scorso settembre, ma in una carriera che, come Roger Federer e Rafael Nadal insegnano, può essere lunga e fruttuosa, ha già attraversato una vera e propria odissea. I successi in età giovanile e, soprattutto l’esplosione avvenuta attorno ai vent’anni, quando nel 2009 aveva conquistato a spese di Federer quello che rimane il suo unico titolo del Grande Slam, sembravano soltanto l’anticamera di una carriera da numero uno, da “delfino” della coppia regnante Federer-Nadal. Ma la cattiva stella di un fisico troppo fragile ne aveva ben presto oscurato le ambizioni.

Nel 2010 il primo intervento chirurgico al polso destro con 8 mesi di stop che lo avevano fatto precipitare al numero 484 della classifica Atp. Poi, tra febbraio 2014 e giugno 2015, altre tre operazioni, questa volta al polso sinistro, la decisione di abbandonare il tennis (“Ne erano al corrente soltanto i miei genitori e i miei migliori amici”, dirà), la depressione e l’improvvisa voglia di riprovarci ancora. Ma la resurrezione che nel 2018 lo aveva portato a contendere la finale degli Us Open a Novak Djokovic e lo aveva issato al terzo posto della classifica Atp, si era infranta contro l’ennesimo guaio fisico: la frattura della rotula del ginocchio destro nell’ottobre dello stesso anno e un primo intervento chirurgico al quale ne avevano fatto seguito altri tre (gennaio 2019, agosto 2020 e marzo 2021), per una carriera che si era interrotta nel 2019 sull’erba del Queen’s. Adesso, a oltre 950 giorni dall’ultima partita, sembra pronto a tornare in campo. Appuntamento, dunque, il 7 febbraio al sole di Buenos Aires, per capire se la tormentata carriera di uno dei tennisti più apprezzati degli ultimi decenni saprà tramutarsi per l’ennesima volta in araba fenice.

Padri ingombranti, amici interessati

La patata bollente che Juan Martin del Potro si è ritrovato a dover gestire non rappresenta una mosca bianca nel mondo dello sport, dove è facile trovare genitori troppo affettuosi (eufemismo) e manager (o amici) eccessivamente disinvolti (altro eufemismo) nella gestione di relazioni personali e patrimoni. Proprio nel mondo del tennis, la figura del padre è spesso stata ingombrante, tanto da oltrepassare i confini del penale. Da Jennifer Capriati (rapporto pessimo con il padre) a Mary Pierce (abusi verbali e fisici, con richiesta di ordine restrittivo nei confronti del genitore), da Jelena Dokic (cinghiate, calci, sputi, schiaffi, insulti, fin dall’età di sei anni) ad André Agassi (rapporto di amore-odio con un padre tiranno), il mondo del tennis è stato spesso confrontato con situazioni al limite della legalità.

Il caso di Del Potro, però, va inserito in una categoria diversa, altrettanto perseguibile sul piano giudiziario, ma di certo meno scioccante dal profilo umano. Di sportivi che in un modo o in un altro si sono ritrovati con il conto in banca alleggerito a loro insaputa ve ne sono a bizzeffe. Spesso, in particolare quando i guadagni sono importanti, non è facile sapere di chi potersi fidare in un mondo – quello della gestione patrimoniale – sconosciuto alla gran parte degli sportivi. Di conseguenza, ci si affida volentieri a parenti e amici, la cui capacità imprenditoriale non è quasi mai certificata.

I circa 30 milioni di euro che Antonio Conte ha visto andare in fumo per un investimento effettuato ai tempi in cui dirigeva il Chelsea, ad esempio, rientrano di diritto nella categoria delle truffe, orchestrata da tale Massimo Bochicchio, fantomatico genio della finanza italiano in Inghilterra. L’ex tecnico dell’Inter non è stato né il primo, né l’ultimo a essersi fidato delle persone sbagliate. Uno dei primi casi che si ricorda, è quello dello svedese Lennart Skoglund, attaccante dell’Inter negli anni Cinquanta. Subito dopo i Mondiali giocati in Svezia (1958), si accorse che il suo commercialista e consulente aveva ripulito i suoi conti in banca. È invece stato scientificamente truffato da più persone a lui vicine Diego Armando Maradona, tanto che al momento del suo decesso gli eredi si sono accorti di come la sua fortuna si fosse sciolta al pari di neve al sole.

Gli sportivi sono spesso bersaglio di malfattori propensi a sfruttare l’ingenuità di chi non ha la capacità, il tempo o la voglia di curare il proprio impero finanziario. Ma sono molto più numerosi coloro che hanno scoperto con colpevole ritardo di avere le mani bucate e di non possedere il tarlo della finanza. Secondo uno studio effettuato negli Stati Uniti, sembra che il 35% dei giocatori della Nfl siano costretti a dichiarare bancarotta (o comunque subiscano un importante collasso finanziario) già due anni dopo il ritiro, mentre nella Nba la percentuale sale al 60%, ma su un lasso di tempo di cinque anni. L’antesignano di una categoria capace di rovinarsi con le proprie mani è però nato a Belfast, riposa dal 2005 nel cimitero di Roselawn e risponde al nome di George Best.

Il numero 7 per antonomasia, d’altra parte, non ha mai fatto mistero della sua propensione a ritenere il denaro un mero strumento per raggiungere il piacere. “Ho speso un sacco di soldi per l’alcool, le donne e le auto veloci: tutti gli altri li ho sperperati” è una delle sue frasi più celebri. Che fa il paio con quella che recita: “Nel 1969 ho dato un taglio a donne e alcool. Sono stati i venti minuti peggiori della mia vita”. Una filosofia che ha portato il Quinto Beatle alla bancarotta, all’alcolismo, a un trapianto di fegato e alla morte, avvenuta, a soli 59 anni, un 25 di novembre, esattamente 15 anni prima di un altro fenomeno campione di autolesionismo, Diego Armando Maradona.

Altri esempi? Andreas Brehme, che nel 1990 segnò il rigore decisivo nella finale dei Mondiali, finito a lavorare per un’impresa di pulizie pur di sopravvivere. O Joachim Fernandez, ex Milan, diventato clochard e trovato morto di freddo all’interno di un magazzino. O ancora Mike Tyson ed Evander Holyfield, i quali avevano accumulato una fortuna di 400, rispettivamente 250 milioni di dollari prima di dilapidarla in gioielli, feste, auto, matrimoni costosi (soprattutto i divorzi) e i soliti investimenti sbagliati.

Juan Martin del Potro, insomma, è in buona (si fa per dire) compagnia. Ma, tutto sommato, può pure dirsi fortunato, perché a molti altri è andata decisamente peggio. Al momento, il suo obiettivo principale è il ritorno in campo, pregando affinché il suo fisico di cristallo regga allo shock della ripresa dell’attività agonistica. Se così sarà, lo scopriremo a partire dal 7 febbraio.