Tennis fermo a causa del coronavirus: situazione preoccupante per molti giocatori. Luca Margaroli beneficerà dell'aiuto dall'Atp e organizzerà un torneo.
“Se il blocco dei tornei proseguirà ad agosto o più a lungo, dovrò trovare qualcosa per garantirmi delle entrate. Continuare senza guadagnare un franco, è impossibile. Le spese rimangono: allenatore, vitto, alloggio vanno pagati”. Luca Margaroli, 28 anni, miglior specialista di doppio in Svizzera, sta vivendo con una certa apprensione lo stop alle competizioni internazionali a causa della pandemia di coronavirus. Nello scintillante mondo del tennis, non basta essere il 133° più bravo del Pianeta. In uno sport senza stipendio, l’impossibilità di competere sta mettendo a dura prova gli atleti lontani dalle luci della ribalta.
Prima dello stop, il ticinese - raggiunto al telefono gli scorsi giorni - era a un livello tale da potersi mantenere finanziariamente grazie allo sport. “Il blocco dei tornei, però, crea preoccupazione soprattutto nella nostra fascia, quella dei tornei Challenger; per non parlare del gradino sotto, la categoria Future. Ho tanti amici che giocano in quel circuito; so bene cosa possano comportare due, tre o più mesi senza la minima entrata”. Per il ticinese, una piccola boccata di ossigeno potrebbe arrivare dall’Interclub Lna, che dovrebbe svolgersi in agosto; mentre SwissTennis, fino a ora, non ha previsto aiuti diretti per i suoi giocatori di punta (come invece fatto, ad esempio, dalla Federazione francese). “La Federazione svizzera aveva informato del fatto che potevo fare richiesta della sovvenzione per i lavoratori indipendenti. Ho inoltrato una domanda in tal senso, resto in attesa di una risposta. Sarebbe un sostegno prezioso, sebbene limitato al periodo di chiusura delle strutture tennistiche in Svizzera, cioè due mesi (sono state riaperte il 18 maggio, ndr). In campo internazionale, però, si resterà fermi per molto più tempo: al momento è stato ufficializzato lo stop alle competizioni Atp e Wta fino al 31 luglio, ma è possibile che venga esteso. A differenza dei lavoratori indipendenti che hanno potuto riprendere un impiego, noi tennisti continueremo a non avere entrate”.
Le scorse settimane alcuni ‘top player’ con Atp, Wta e Itf, hanno istituito un fondo per aiutare i giocatori professionisti in difficoltà. Le varie istituzioni hanno optato per soluzioni e chiavi di riparto diverse. Nel circuito maschile l’Atp sosterrà chi occupa le posizioni dalla 101a alla 400a in singolare e dalla 75a alla 175a in doppio. Ogni giocatore riceverà la medesima cifra; un po’ più elevata per i singolaristi rispetto ai doppisti. Esclusi dall’azione coloro che hanno guadagnato almeno 250mila dollari negli ultimi dodici mesi.
Fra le voci fuori dal coro, aveva fatto discutere quella di Dominic Thiem, che si era proclamato contrario a versare denaro (suo) in favore di giocatori delle retrovie di classifica. “Le sue parole mi avevano stupito. Lo conosco, è uno impegnato in varie associazioni. A mio parere, le sue esternazioni sono sbagliate. Non metto in discussione quanto incassa lui; è giusto che gli spetti ciò che guadagna in qualità di top ten. Thiem, però, sta in cima alla piramide, forma con cui io rappresento il tennis: se frana la base per mancanza di mezzi, crolla anche il vertice. Il tennis, per me, non è solamente la punta composta dai migliori giocatori al mondo: è pure una parte centrale, ossia chi giostra nei Challenger e nei Future; e una base, con i tanti appassionati, i maestri, i giovani”. Dietro i campioni che ci mostra la tv, c’è “tutto un mondo. Prendiamo un giocatore, diciamo attorno al 600° posto, che adesso si cimenta con i Future e magari in carriera non arriverà dov’è Thiem. Quel giocatore potrebbe diventare un bravo professore di tennis, che si occuperà bene dei ragazzi. È una realtà che conosco, perché i miei genitori hanno un circolo; e so quanto è importante”.
Vista l’incertezza che regna su quando riprenderanno le competizioni, Luca Margaroli da qualche settimana sta lavorando a un progetto, che è sul punto di concretizzarsi: “Organizzare uno o due tornei in Svizzera, con tabellone maschile e femminile, ai quali invitare alcuni tra i migliori giocatori nazionali. Sto concludendo gli ultimi accordi per il primo, che si svolgerà dal 29 giugno al 5 luglio a Cadro, dove i miei genitori hanno la scuola e al quale hanno già aderito diversi giocatori di Coppa Davis e Fed Cup. Se questo andasse bene, il secondo torneo potrebbe svolgersi ancora a Cadro, ma anche altrove”. Lo spunto è venuto vedendo iniziative simili. “A Vienna è in corso un'esibizione con sedici uomini e otto donne, dotato di un buon montepremi. Idee simili stanno nascendo in Germania e Italia. Voglio provare a fare qualcosa per l’intero movimento svizzero, perché siamo tutti nella stessa situazione”.
Le prime avvisaglie della diffusione del coronavirus, Luca Margaroli le aveva avute a Bergamo che, come l’intera Lombardia, sarebbe poi stata duramente colpita. “Avevo giocato un Challenger, che per me era finito il sabato; e ho poi saputo che la domenica è stata annullata la finale, perché in città si erano già registrati i primi casi”. Era il 21 febbraio, a livello internazionale il tennis non si era ancora fermato. “Dopo mi ero spostato in Francia, per disputare un altro Challenger e da lì, ero partito verso il Perù, dove ho giocato la Coppa Davis”. Lasciata Lima, era rientrato a Vienna, da anni sua base di allenamento, per una settimana di preparazione prima di ripartire alla volta del Sud America. “È a quel punto che il tennis ha interrotto le competizioni internazionali. Così sono rimasto là e da allora non mi sono più mosso. Nel giro di poco tempo, anche l’Austria ha chiuso le strutture sportive. Non ho giocato per sette settimane. I campi sono stati riaperti in un primo tempo solamente agli austriaci inseriti nei quadri della federazione; dal 1° maggio hanno potuto accedervi tutti. Per questo periodo di pausa forzata il mio preparatore fisico ha allestito un programma per me, che ho svolto tutti i giorni. Ho cercato di mantenermi in forma come si poteva. Siccome le palestre erano chiuse, e lo sono state fino al 31 maggio, ho acquistato qualche attrezzo così da potermi allenare in casa, in giardino, talvolta in strada. Insomma, mi sono arrangiato”. Gestire un lungo stop non dovuto a un infortunio, a livello emotivo “non è stato semplice. Noi tennisti siamo abituati a viaggiare sempre, a cambiare località praticamente ogni settimana. È stata dura, rimanere due mesi fermo senza poter giocare. L’incognita legata alla ripresa dei tornei è complicata da gestire sia mentalmente, sia per la pianificazione della preparazione; tanto più che in un primo tempo si era parlato di uno stop di sei settimane, poi diventato di tre mesi e ora chissà quanto durerà. All’inizio, con il preparatore, avevamo pensato a un lavoro di base per un mese-un mese e mezzo, finalizzato a mantenere la forma; lavoro che sto ancora effettuando ora. Solo quando ci sarà una data precisa della ripresa delle competizioni, potrò cominciare con un allenamento più specifico, per essere pronto quando riprenderanno i tornei”.
Tornare in campo “è avvenuto con calma: la prima settimana ci stavo due ore al giorno”; nel frattempo diventate tre-quattro. “I primi tempi - sorride - ho anche avuto qualche vescica alle mani”. Non vengono solo ai giocatori della domenica? “No. Due mesi senza giocare, per noi sono tanti: in stagione non stacchiamo mai. Tieni conto che, in sette settimane, avrò tenuto in mano la racchetta sì e no un paio d’ore, giusto per fare qualche volée in giardino insieme alla mia ragazza. Però adesso va meglio, ho ripreso bene il ritmo”.