Certe accuse di razzismo, così come alcune sanzioni comminate a chi osa minimamente uscire dal coro paiono decisamente fuori luogo
È un crescente clima da caccia alle streghe quello che sempre più va affermandosi in ogni ambito della vita civile, e dunque anche nel mondo dello sport. Censure, condanne e squalifiche di atleti a causa di comportamenti ritenuti non corretti, infatti, stanno ovunque moltiplicandosi in maniera preoccupante. Nulla da eccepire, ci mancherebbe, se queste sanzioni e queste forme di gogna fossero applicate a gesti o dichiarazioni veramente lesive della dignità di qualcuno. Il problema è che, invece, si tende a gridare al razzista – e dunque allo scandalo – anche (o soprattutto) laddove non ci sarebbe motivo alcuno per farlo.
Ultimo dei molti episodi che rientrano in questa casistica è quello del milanista Christian Pulisic, capitano degli Usa, che per festeggiare la sua recente doppietta contro la Giamaica ha scelto di inscenare la cosiddetta Trump Dance, cioè lo sgraziato ma senza dubbio divertente balletto in cui ogni tanto si esibiva in campagna elettorale, fra l’altro sulle note dell’inclusivissimo brano ‘Ymca’ dei Village People, il neoeletto presidente statunitense. Inutile dire che la cosa ha scatenato una miriade di feroci critiche, proprio com’era successo – nei giorni precedenti – quando a riproporre il malriuscito passo di danza erano stati altri atleti, bianchi e neri allo stesso modo, di diverse discipline, dal golf al football, dagli sport di contatto appunto al soccer.
A imbufalirsi, ovvio, sono stati soprattutto commentatori, giornalisti e attivisti vicini alla fazione che più è uscita scontenta dalle elezioni del 5 novembre, i quali vedono nella commistione fra sport e politica il male assoluto, e dunque pretendono – e spesso ottengono – che in ambito sportivo ogni riferimento alle ideologie, per quanto vago, venga vietato e, qualora la norma fosse disattesa, pesantemente punito.
Il problema è che – per coerenza – se si intende bandire il balletto di Trump dalle manifestazioni muscolari, allora si sarebbe anche dovuto impedire agli atleti, nei mesi scorsi, di schierarsi apertamente per uno o per l’altro candidato alla presidenza. Mentre invece, si sa, gli endorsement delle star dello sport – così come quelli espressi da attori, musicisti, eccetera – sono stati innumerevoli e generalmente bene accolti.
Davvero non si capisce, dunque, il perché di questa levata di scudi, e ci si chiede – qualora il risultato del voto americano avesse avuto esito opposto – se la censura sarebbe scattata con la stessa severità con cui si sta manifestando oggi. Fatto sta che ovunque fioccano reprimende e sanzioni pecuniarie che costringono gli improvvisati ballerini a cospargendosi il capo di cenere e a scusarsi pubblicamente, assicurando che il loro modo di esultare non avesse nulla di politico, come se la politica stessa fosse, per definizione, sporca e riprovevole, e quindi da stigmatizzare di default.
Mano pesantissima è pure quella con cui la Federazione inglese di calcio ha punito Rodrigo Bentancur del Tottenham per aver proferito – in una battuta – ciò che tutti noi in fondo pensiamo, e cioè che gli orientali ci sembrano tutti uguali. Del resto, è la stessa cosa che i coreani ritengono dei caucasici, senza che nessuno se ne risenta. Ebbene, per questa minchiata, l’uruguayano è stato multato di centomila sterline e squalificato per sette giornate: davvero uno sproposito, considerato che, se spacchi le gambe o se sputi in faccia a un rivale, generalmente non sconti più di un paio di turni.
Mi spiace, ma il fatto che qualcuno si ritenga discriminato da certe affermazioni – e curiosamente di solito non si tratta mai di coloro che direttamente subiscono il (presunto) torto, ma di chi si autoproclama paladino delle (supposte) minoranze – non è sufficiente per farlo automaticamente sedere dalla parte della ragione, anche perché ognuno può sentirsi offeso da diecimila cosa diverse, che con l’oggettività spesso non hanno nulla da spartire. In tutto ciò, l’aspetto che più fa ridere – o piangere – è che i primi ad alzare il ditino inquisitore e a brigare affinché le bocche peccatrici vengano tappate sono spesso proprio coloro che cinquant’anni fa chiedevano a squarciagola che fosse proibito proibire.