Attorno allo sport girano idee piuttosto romantiche, ma assai lontane dalla realtà
Approfitto del primo giorno della nuova Olimpiade – cioè il periodo di quattro anni che intercorre fra un’edizione e l’altra dei Giochi – per fare un po’ di chiarezza su alcune delle infinite prese di posizione relative allo sport che mi è toccato sentire e leggere nel corso dell’appena conclusa kermesse a cinque cerchi parigina.
I più diffusi fra i detrattori delle moderne manifestazioni muscolari sono con ogni probabilità coloro che – convinti in questo modo di difendere ideali di eguaglianza e democrazia – rimpiangono i lontani tempi, secondo loro un’autentica età dell’oro, in cui a sfidarsi nelle varie discipline olimpiche erano soltanto i dilettanti. Trattasi, nella maggior parte dei casi, di persone che – per ideologia – hanno in odio il denaro, al quale imputano la colpa di ogni difetto del mondo. Evidentemente non sanno queste anime belle che ai tempi dell’Antica Grecia gli atleti venivano in realtà pagati, e pure bene: i vincitori delle competizioni venivano ricompensati – oltre che con favolose somme di denaro contante – pure con possedimenti terrieri, armenti e privilegi sociali di ogni sorta.
E ignorano costoro, inoltre, che il dilettantismo in voga nel corso delle prime edizioni delle Olimpiadi moderne di puro non aveva proprio nulla: semplicemente era quanto i rampolli delle famiglie più facoltose al mondo imponevano ai dirigenti del Comitato olimpico internazionale, gremio composto peraltro da aristocratici e miliardari della loro stessa risma. Per assicurarsi che a combattere fossero soltanto gli appartenenti al loro ristretto novero, mettevano insomma paletti che tenevano lontani dallo sport olimpico i poveracci. I quali, non potendo vivere di rendita come i padroni del vapore, per dedicarsi alle competizioni avrebbero per forza di cose avuto bisogno di un sostegno economico da parte di terzi. Impedendo che ciò potesse avvenire, i figli di papà – in attesa di ereditare fortune inimmaginabili – avrebbero potuto continuare a gareggiare fra loro, senza quei rompiballe dei proletari, nei Giochi estivi come in quelli invernali. Coloro che si lamentano per l’eccessiva presenza di denaro nello sport, dunque, rammentino che è solo grazie a questi soldi se certe classi sociali sfavorite dispongono di una chance di emancipazione che altrimenti potrebbero soltanto sognare.
Assai numerosi sono pure quelli che denunciano, nello sport, un’eccessiva influenza da parte della politica. Mi spiace deluderli, ma se alle Olimpiadi possono godere (e immancabilmente lo fanno) della presenza (più che legittima, eh) di squadre come quella palestinese o come quella dei rifugiati, è proprio grazie alle istanze politiche, che hanno fatto in modo che ciò potesse accadere.
Allo stesso modo, è sempre in virtù dell’intervento della politica se, ai Giochi, non partecipano soltanto i migliori, ma anche alcuni atleti che dall’eccellenza sono ben lontani. Senza la politica, infatti, varrebbe solo il merito, e certi Paesi alle Olimpiadi non avrebbero mai potuto partecipare neanche per intercessione divina. Grazie alle ‘quote’, invece, l’accesso alle gare è garantito anche a chi magari nello slalom scende a spazzaneve o nel nuoto rischia di annegare ancor prima di coprire i primi 50 metri. Piano, dunque, prima di invocare la netta separazione fra sport e politica.
Infine, ci sono anche coloro che ingenuamente considerano lo sport come l’antitesi della guerra: pensiero nobile, per carità, ma piuttosto lontano dalla realtà. Innanzitutto perché la stragrande maggioranza delle discipline sportive è derivata proprio dalla guerra (o dalla caccia): basta infatti dare un’occhiata alla semantica dell’agonismo, oltre che alle sue regole. E poi perché, che piaccia o meno, ovunque – Svizzera compresa – molti atleti, addirittura la maggioranza di essi, possono permettersi di praticare la propria disciplina preferita proprio grazie alle sovvenzioni provenienti dai vari eserciti nazionali. Ai Giochi parigini testé archiviati, ad esempio, il dato è assai eloquente: oltre la metà degli atleti del mondo intero capaci di mettersi al collo una medaglia risultavano economicamente dipendenti dalle forze armate.