C’è stato un tempo in cui, al contrario di quanto avviene oggi, anche le Coppe ‘minori’ venivano disputate dalle più forti formazioni del continente
Sono già passati 25 anni dalla scomparsa della Coppa delle Coppe, ma molti di noi ancora faticano a elaborare il lutto. Le esequie di quel meraviglioso torneo – nato nel 1960 su iniziativa del Comitato della Coppa Mitropa e poi passato sotto l’egida dell’Uefa dal 1963 – furono infatti celebrate nel maggio del 1999, quando ad alzare l’ultimo trofeo fu la Lazio guidata in panchina dal gentleman Sven-Göran Eriksson, illuminata in campo dal genio di Dejan Stankovic e Roberto Mancini, abbellita dai gol di Vieri e Salas, corroborata dai polmoni di Nedved e Almeyda e spronata dalla leadership di Sinisa Mihajlovic.
Uno squadrone: non c’è altro modo per definire quella compagine che, non a caso, l’anno seguente sarebbe riuscita a conquistare anche lo scudetto. A prender parte alla Coppa delle Coppe, infatti, erano formazioni fortissime, nulla a che vedere con i club che, al giorno d’oggi, partecipano all’Europa league o, men che meno, alla Conference League, squadre che molto raramente sono in grado di aggiudicarsi il proprio titolo nazionale, specie se si tratta dei più importanti campionati continentali. Le formazioni più forti di questi tornei, infatti, accedono alla Champions League, lasciando che nelle due competizioni minori – specie in Conference – finiscano le squadre di seconda fascia: basta dare un’occhiata al loro albo d’oro degli ultimi anni, in cui figurano nomi come Roma, West Ham, Eintracht, Siviglia, Villarreal, Shakhtar, Zenit e Galatasaray, tutti club che il loro campionato non lo vincono mai, e se lo vincono è perché trattasi di un torneo di bassa lega.
Colpa della formula, che tende a concentrare ciò che di meglio offre il continente nella ricchissima e redditizia Champions League, e a relegare il resto alla ribalta assai peggio illuminata del giovedì sera. Alla Coppa delle Coppe, invece, partecipavano – lo dice il nome stesso – le società che si aggiudicavano la propria Coppa nazionale, e di solito si trattava di squadroni. Anche qui, è sufficiente dare una veloce scorsa ai nomi di chi la vinse: Barcellona, Juve, Bayern, Milan, Arsenal, Chelsea, Ajax… Molte di loro erano così forti da non poter nemmeno difendere il titolo l’anno seguente, perché nella stessa stagione avevano vinto anche il campionato, e dunque lasciavano vacante la cintura per andare a giocarsi la più prestigiosa Coppa dei Campioni. È il caso, ad esempio, del Milan del 1968, che nel 1969 andò a disputare – e ad alzare – la Coppa dalle grandi orecchie. Idem la Juve, circa 3 lustri più tardi. Una cosa oggi semplicemente inimmaginabile.
Il torneo, che apparve ben prima della Coppa Uefa, aveva da subito acquisito un certo prestigio – proprio perché ottimamente frequentato – e addirittura, affinché ci si potesse prender parte, indusse a creare una Coppa nazionale anche nei pochi Paesi dove ancora non esisteva, dando un nuovo impulso e un nuovo interesse attorno al calcio a livello locale.
La Coppa delle Coppe venne pensionata un quarto di secolo fa, al Villa Park di Birmingham, in occasione del 2-1 con cui i laziali sconfissero il Maiorca: le squadre che avrebbero dovuto prendervi parte, dall’autunno seguente, vennero dirottate nella Coppa Uefa, che di lì a poco sarebbe stata scacciata dal tradizionale locandina del mercoledì per essere traslocata al giovedì, e avrebbe inoltre cambiato formula e assunto un altro nome. Il risultato di quella rivoluzione è stato positivo soltanto per chi dall’operazione ha qualcosa da guadagnarci a livello finanziario, in primis la Uefa.
Dal punto di vista tecnico, invece, ci hanno perso un po’ tutti: la Coppa campioni, infatti – nel frattempo ribattezzata Champions League – offre molte più partite e fa girare un sacco di grana, ma alla fine la vincono sempre le stesse squadre, ricche da far paura. L’Europa League, invece, è stata di nuovo scissa in due ed è diventata, come la Conference, il contentino per quei club che, oggi, mai potrebbero competere con l’élite, ma che così possono illudersi, in una stagione particolarmente fortunata, di far parte del Gotha del pallone, mentre in realtà sono soltanto comparse in spettacoli di second’ordine.