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Giorgio Chiellini, paradigma di un calcio assai povero

Due parole sul ritiro dai campi di calcio del difensore toscano, giocatore senz'altro efficace ma tremendamente inelegante

14 dicembre 2023
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A 39 anni suonati si è ritirato dal calcio giocato Giorgio Chiellini, che la stampa italiana sta in queste ore giubilando con peana e agiografie che definire esagerati è il minimo che si possa fare. Trattavasi in effetti, per dirla senza perifrasi alcuna, di giocatore piuttosto scarso: il fatto che sia stato – nel Belpaese – fra i migliori del suo tempo, più che onorare il terzinaccio toscano, evidenzia in realtà la pochezza del calcio azzurro dell’ultima quindicina d’anni.

Allo stesso modo, che il buttafuori in questione abbia conquistato nove scudetti consecutivi – più che indice del suo valore – è chiaro segno di una palese mancanza di rivali di cui la Juventus ha goduto durante il suo ultimo ciclo vincente, contingenza che, a ben guardare, in fin della fiera non ha mai fatto troppo bene a nessuno.

E infatti, la tirannide bianconera sul secondo decennio del nuovo secolo è coincisa col peggior bilancio in assoluto per quanto attiene al comportamento delle squadre italiane nelle Coppe europee: nessun trofeo alzato e due sole finali disputate, raggiunte proprio dalla Vecchia signora, che fu poi sonoramente bastonata da Barcellona e Real Madrid.

L’epoca di Chiellini, per il calcio italico, è stata pure quella dei peggiori disastri a livello di squadra nazionale. Per quanto riguarda la Coppa del mondo, sullo sgraziato Giorgio e i suoi coevi pesano infatti due qualificazioni vergognosamente mancate e due spedizioni a dir poco fallimentari, macchiate entrambe dall’eliminazione al primo turno.

Il solo ricordo che il rude difensore ha lasciato di sé nel massimo torneo planetario è in realtà un episodio di cui non fu nemmeno attore principale, ma soltanto umile comparsa: mi riferisco ovviamente al morso con cui lo squalo Suarez gli autografò una spalla nel 2014 e del quale reiteratamente si lamentò in maniera ben poco virile.

Deficitarie per gli azzurri furono pure – nel periodo chielliniano – le campagne continentali, fatta eccezione ovviamente per quella del 2020 (poi slittata all’anno successivo), che vide l’Italia alzare il trofeo, certo, ma senza incantare troppo, specie nella fase a eliminazione diretta, dove praticamente ogni volta agli uomini di Mancini vennero in soccorso i supplementari o addirittura i calci di rigore.

Quella di Wembley, dunque, resta l’unica affermazione internazionale di un giocatore che i suoi connazionali vorrebbero spacciarci per un’icona del calcio mondiale, ma che tale non è. Generoso finché si vuole e indiscutibilmente mai domo, ok: ma Chiellini, per chi non era accecato dalla fede o dal mero patriottismo, resterà sempre e soltanto un fabbro ferraio dalle mazzate assai grevi e dai piedi improponibili che si salvava soltanto grazie agli inesauribili polmoni da cetaceo di cui madre natura l’aveva dotato, ai gomiti mortalmente appuntiti e alle mani che spesso si aggrappavano alle casacche dei rivali più veloci e talentuosi.

I modi da bullo e i lineamenti da ergastolano lo resero simpatico soprattutto a coloro secondo cui il bello del calcio sta essenzialmente nel sabotare le altrui iniziative, mentre le sue innumerevoli ferite al capoccione – con relative fasciature a turbante – indussero i più ingenui a chiamarlo eroe. Forse, in realtà, così tanti punti di sutura rimediati in carriera stanno a indicare – più che vocazione a sacrificio e immolazione – una certa mancanza di tempismo negli interventi aerei, chissà.

Si può essere ottimi difensori anche senza usare la mannaia, senza la quale Chiellini non sarebbe invece stato nessuno, e lo dimostrano ad esempio i suoi compagni di reparto Bonucci e Barzagli – assai più eleganti di lui – senza per forza dover scomodare un fuoriclasse come Scirea.

A proposito, Chiellini tempo fa disse di ispirarsi proprio allo sfortunato gentiluomo degli anni 70 e 80, dicendosi fiducioso che a fine carriera i tifosi juventini lo avrebbero ricordato giusto accanto al divino Gaetano. In altre epoche, per fortuna ormai lontane, simili abominevoli esternazioni erano considerate eresia, e venivano punite col rogo.