Celebriamo il compleanno di Zizou raccontando le due partite che più lo definiscono, quelle con il Brasile e l’Italia ai Mondiali 2006
Contravvenendo alla regola che qualcuno ha messo in bocca a Frank Zappa ("Scrivere di musica è coma ballare di architettura"), si può provare a descrivere un calciatore che in campo sembrava un hockeista su ghiaccio citando un consiglio di un campione di tennis? Se quel calciatore è Zinedine Zidane, uno dei pochi eletti che ha letteralmente sfondato il confine del proprio sport per diventare altro, per diventare arte, perché no?
La frase, controintuitiva, quasi suicida, di Bill Tilden (vincitore di 3 Wimbledon, 7 Davis, 19 Slam in totale), è: "Gioca sul colpo più forte del tuo avversario, ancora e ancora, fino a sgretolargli ogni certezza". Zidane magari non l’ha nemmeno mai sentita quella frase, eppure sembra la descrizione esatta di una delle due partite che meglio definiscono la sua lunga carriera, arrivate entrambe quando la carriera aveva già la data di scadenza. Quella data l’aveva messa lui, ed erano i Mondiali del 2006. Li giocava sapendo che avrebbe smesso comunque, qualsiasi cosa fosse successa. E di cose, in quei giorni, ne sono successe parecchie.
La partita che è diventata la dimostrazione plastica della frase di Tilden è Francia-Brasile, giocata il primo luglio, un classico di YouTube per pallonari. La Francia, considerata a fine ciclo, con un gioco a tratti involuto e un allenatore (Raymond Domenech) poco ispirato, ha appena battuto la Spagna 3-1 negli ottavi di finale. Era andata sotto, l’aveva ripresa, aveva rischiato grosso e infine l’aveva ribaltata anche grazie a una partita sontuosa di Zidane. Non era ancora niente.
Pallonetto ai danni di Kakà (Keystone)
Quando i francesi scendono in campo nei quarti di finale contro il Brasile, i sudamericani sono considerati ampiamente favoriti: hanno Ronaldo, Ronaldinho, Kakà, Cafu, Roberto Carlos… possono perfino permettersi di tenere in panchina gente come Adriano e Robinho. I rapporti di forza sembrano chiari e difficilmente ribaltabili: a quello però ci pensa Zidane, che da solo cambia l’inerzia della partita, così come farà – in senso opposto – pochi giorni dopo nella finale contro l’Italia.
Zizou inizia l’incontro saltando tre avversari a centrocampo con un colpo di tacco e un doppio passo, con un’inevitabilità che ti fa pensare alla premeditazione. Poi si mette a stoppare palloni impossibili come se fosse il venditore di una colla da applicare agli scarpini che deve dimostrare la validità del suo prodotto.
Si prende anche spazi e tempi quasi teatrali per queste giocate, come se volesse essere sicuro che tutti vedano. Supera Kakà in palleggio strappando gli applausi dello stadio, salta un sorpreso Cafu con un rapido giochino fatto usando entrambi i piedi e non si ferma più fino alla fine tra tunnel, pallonetti e dribbling irridenti. Sta facendo il brasiliano in mezzo ai brasiliani, meglio dei brasiliani. Attira palloni perché capisce che quell’esibizione sta togliendo certezze ai verdeoro che, come gli avversari dei videogiochi, perdono una tacca di energia ogni volta che Zidane li colpisce con una giocata. Robinho a fine primo tempo lo abbraccia con un sorriso e un impeto eccessivi per l’occasione come un padrone di casa che si ritrova a cena l’amico che teme possa sedurgli la moglie.
Il pallonetto a Ronaldo (Keystone)
Nel secondo tempo Zizou alza il livello andando a dribblare perfino dove non serve, e provando giocate sugli avversari più forti (un pallonetto a Ronaldo viene accolto con un’ovazione). Sarà ovviamente lui a pescare con una punizione telecomandata sul secondo palo Thierry Henry, che tutto solo segna il gol che vale la partita. Il resto si riassume così: appena il Brasile prova ad alzare la testa, i francesi passano la palla a Zidane e quelli si ritirano indietro tutti assieme come un’onda.
Il 10 della Francia sbaglia il primo pallone, al limite della sua area, a pochi minuti dalla fine, per stanchezza - forse - e per eccesso di confidenza. A fine partita, Robinho gli passa accanto e nemmeno lo guarda, come uno che durante la cena ha visto sparire la moglie con l’amico: Zizou gli passa una mano sopra la testa. Missione compiuta: la Francia elimina il Brasile. Il gol – come detto – è di Henry, ma si parla solo di Zidane. Ci si chiede perché un campione così scintillante debba lasciare il calcio di lì a pochi giorni. L’unico precedente di un giocatore capace di far ammattire così la Seleçao a un Mondiale era stato Bruno Conti, nel 1982 – inafferrabile al cospetto di un ÜberBrasile, quello di Zico, Falcao, Socrates e compagnia – incoronato da Pelé con l’etichetta "l’unico vero brasiliano in campo".
Francia-Brasile è finita. I sudamericani sono fuori (Keystone)
Conti però non era a fine carriera e inoltre la sua luminosità fu in parte offuscata dai tre gol di rapina – tutti decisivi – di Paolo Rossi: uno di quei casi in cui puoi riassumere la carriera di un calciatore in 90 minuti. È un gioco che può valere per tanti. Van Basten e il gol impossibile nella finale di Euro ’88; Cannavaro che - rimbalzando quanto la palla - anticipa tutti i tedeschi nella semifinale del 2006; Pelé che resta sospeso in aria all’Azteca come farà al cinema in "Fuga per la Vittoria"; la rovesciata da 40 metri di Ibrahimovic nella partita in cui fa 4 gol agli inglesi: è una parte per il tutto. Pensiamo al Maradona del 1986 contro l’Inghilterra, che prima ci mette la mano e 4 minuti dopo segna il gol più bello di sempre partendo dalla propria metà campo: un furbo, un capopopolo, un genio del calcio, tutto assieme.
Lì, in meno di 300 secondi, Maradona, che è sempre un po’ diverso dagli altri, esce spremuto fino all’essenza non solo come calciatore, ma anche come uomo: puro Diego distillato. Per arrivare alla stessa profondità con Zidane bisogna aggiungere una partita e aspettare altri 8 giorni da quella mattanza "unocontroundici" inflitta al Brasile, ovvero la finale con l’Italia.
Un giovane Zidane (il terzo in alto da destra)
Con gli azzurri, che lo conoscono bene e che hanno tutt’altro sistema difensivo, Zidane non riesce e forse non vuole replicare la gara contro i brasiliani: segna un calcio di rigore con lo scavetto (alla Totti, o meglio alla Panenka), la palla tocca la traversa ed entra. Fortuna e follia. Poi, nei supplementari – lasciato solo in area – obbliga Buffon al miracolo su colpo di testa. Sfortuna. Non era la sua arma migliore, eppure proprio di testa segnò ben due gol nella vittoriosa finale del Mondiale casalingo, ancora contro i brasiliani. Infine la testata più famosa del mondo, a Materazzi, l’espulsione. Follia.
In molti, fuori e dentro il campo, videro in quel raptus un repentino cambio di direzione della partita, che sembrava nelle mani dei francesi, sia a livello di gioco che mentale. Sappiamo tutti com’è finita: l’Italia ha vinto ai rigori, Zidane ha smesso di giocare a calcio quella sera stessa diventando, insieme a Cafu (che però era un difensore), il calciatore con più cartellini (6) della storia dei Mondiali. I due verranno poi superati da Mascherano, arrivato a quota 7. Ma Zizou è anche l’unico, insieme al camerunense Rigobert Song (altro difensore), ad avere collezionato due espulsioni.
Il colpo di testa deviato da Buffon nella finale 2006 (Keystone)
Questa cosa dei cartellini rossi non è un dettaglio: sempre al vittorioso Mondiale ’98 passeggiò con i tacchetti sopra a un calciatore saudita, beccandosi due giornate (e molti la ritennero una sanzione leggera). Con la Juventus riuscì a collezionare in Champions League due espulsioni di fila, la seconda per aver dato una testata a un giocatore dell’Amburgo. Insomma, i raptus sono stati ricorrenti quasi quanto le sue magie.
Espulso anche con la Juventus in Champions League (Keystone)
Ai tempi del Real Madrid Zidane riuscirà a farsi espellere anche in una rissa con il Villarreal nata per un intervento duro ai danni del compagno Raúl. Quel giorno, il 23 aprile 2005, Zizou aveva 17 telecamere puntate sempre e solo su di lui. E lo sapeva bene. Si stava girando l’anomalo film "Zidane, un ritratto del 21esimo secolo". Lui non è uno dei 22 in campo (finché ci resta), ma il protagonista assoluto, la partita è un contesto che rimane sullo sfondo.
E qui torniamo alla capacità di certi campioni di essere loro stessi l’essenza del calcio: è indagando loro, i loro movimenti, i loro gesti che puoi vedere la magia del gioco, pur non potendo mai svelare fino in fondo il trucco. Quell’operazione era molto più artistica che commerciale: se vuoi vendere metti in vetrina i gol, le ville, gli amori, gli scherzi e gli screzi. In quel caso si è scelto di concentrare tutto l’interesse su un uomo che eccelle a fare una cosa proprio mentre la fa. Se segna un altro nemmeno lo vedi, il gol, ma anche quello di Henry contro il Brasile è rimasto offuscato, perché Zidane sapeva essere più grande e ingombrante perfino dei gol decisivi che serviva agli altri.
Dentro quell’esperimento video (in cui comunque serve un assist a Ronaldo), Zidane sembra quasi aver voluto infilare a forza un’espulsione rabbiosa, adolescenziale, da lite al campetto, senza arbitro e senza porte. Come se il contorno, in quel caso il Bernabeu di Madrid, non influisse su quel modo istintivo, naturale di giocare a calcio, che include anche i raptus e che si è formato alla periferia di Marsiglia, dove lui – figlio di immigrati algerini – è cresciuto. Farsi rispettare era la prima cosa: avevi due modi per farlo, giocando meglio degli altri e – alle brutte – picchiando almeno quanto gli altri. Senza chiedere mai scusa. Lo ha raccontato lui.
Espulso, passa accanto alla Coppa del Mondo (Keystone)
Per quello non si è pentito della testata a Materazzi, se non a distanza di anni e mai troppo convintamente, perché essere un genio in campo andava a braccetto con il suo lato oscuro. Uno Zidane non poteva esistere senza l’altro. Proprio come quei 4 minuti di Maradona, prima manigoldo e poi extraterrestre. Anzi, manigoldo ed extraterrestre insieme.
Spesso ci si chiede da quale pianeta vengano campioni così trasversali, capaci di uscire dalla traiettoria sportiva assegnata dal loro talento. Il Maradona al suo picco sembrava uno slalomista in mezzo ai paletti, capace di uscire da pendenze impossibili senza inforcare mai, ci sono stati i discesisti alla Roberto Carlos, Baggio, che era un ballerino sulle punte, e grandi bomber come Gerd Müller e Romario, doppisti pronti a chiudere sotto rete punti lavorati da altri; Cruyff, con i suoi dribbling lenti, uno scacchista che aspettava pazientemente la mossa dell’avversario prima di inventare dal nulla lo scacco matto, Gullit, che avanzava come un giocatore di football americano (oltre che "cervo che esce di foresta", Boskov dixit), Bergkamp e le sue movenze quasi metafisiche, capace di domare il pallone col pensiero e allo stesso tempo renderlo un fluttuante volano da badminton.
Zizou l’hockeista, invece, durante i suoi numeri più entusiasmanti sembrava pattinare sul campo, quasi come se avesse tra i piedi un disco che passava velocissimo dal destro al sinistro (la "ruleta", in cui ruota a 180 gradi scivolando sul pallone, resta uno dei suoi marchi di fabbrica), scomparendo alla vista, proprio come il puck dietro al bastone dei migliori giocolieri su ghiaccio.
Il primo gol di testa nella finale del ’98 contro il Brasile (Keystone)
Zidane ha saputo scivolare poi anche da allenatore, rubando un po’ di mestiere a Carlo Ancelotti, di cui è stato il secondo. Lo spogliatoio del Real Madrid, pieno di primedonne, non è un luogo da gestire dimenandosi: questo suo tenere i piedi per terra gli ha permesso di non inciampare. E vincere. Resta l’unico allenatore ad avere alzato 3 Champions League consecutive. Oggi compirà 50 anni e sembrava dovesse scivolare verso il Psg: il nome giusto per sfatare la maledizione del club francese in Champions, ma pare che i parigini guardino altrove. Forse aspetterà la chiamata della Francia dopo un Mondiale che per l’attuale Ct Deschamps (suo ex compagno alla Juve e in Nazionale) andrà bene solo se lo rivincerà.
Prima o poi Zizou tornerà, anche se da quel primo luglio 2006 non è più la stessa cosa. Nel frattempo possiamo sempre andare su YouTube, scrivere "Francia-Brasile 2006" e goderci lo spettacolo.