Nei giorni dei Mondiali disputati in Estremo Oriente si è rivelato impossibile non pensare allo stato pietoso in cui versa il basket nel nostro Paese
La nazionale svizzera di pallacanestro è così scarsa da essersi classificata ultima nei gironi che davano accesso ai gruppi che disputeranno la fase di qualificazione ai prossimi Europei. E la maglia rossocrociata è così poco ambita che, in occasione di quelle partite, i migliori atleti hanno ignorato la convocazione preferendo giocare un torneo di 3 contro 3. Il bello è che l’hanno fatto col beneplacito dei vertici dirigenziali, personaggi con le terga poggiate su troppe poltrone che, negli ultimi anni, hanno gestito il movimento nostrano della palla a spicchi ad mentula canis. I risultati sono evidenti: selezione elvetica sempre più in basso nel ranking, campionati spesso monchi, florilegio di club falliti e palazzetti (palestre scolastiche, pardon) senza pubblico.
La formazione dei giovani però funziona bene – rispondono alle critiche i gerarchi del basket – con Sefolosha e Capela abbiamo pur portato la Svizzera in Nba! Guardate – gli si fa allora notare – che si tratta di rarissime eccezioni, verificatesi per giunta ormai molti anni fa, e che quei due ragazzi in America ci sono arrivati non grazie al sistema basket elvetico, ma nonostante.
A quel punto, i padroni del vapore si aggrappano alla demografia: siamo un piccolo paese, cosa pretendete di più da noi? È possibilissimo che non ve ne siate accorti, ribatteremmo, ma proprio l’altroieri sono terminati i Mondiali – 5 contro 5, eh – e la classifica finale dice che fra le prime 8 nazioni del pianeta figurano la Slovenia (7a), che conta 2 milioni di abitanti, la Lettonia (5a), che ne ha ancor meno, la Lituania (6a) con 2,8 e la Serbia (2a) che non arriva a 7. Sapete, cari padrini del basket rossocrociato, quanta gente vive in Svizzera? 8,7 milioni: quindi non venite a menarla con l’esiguità del bacino in cui pescare.
La verità è che nel nostro paese, pur godendo di un’enorme disponibilità finanziaria, si tende a considerare lo sport, più che un importante settore economico e magari un motivo di vanto nazionale, soltanto una consigliabile pratica igienica, così come gli inglesi alla fine dell’Ottocento ci avevano insegnato a considerarlo. Siamo i primi al mondo se parliamo di attività fisica amatoriale, ma in campo agonistico – tranne che in ambiti un po’ di nicchia a livello globale come hockey e sci alpino – siamo spesso fra gli ultimi. E, per fortuna o purtroppo, questo tipo di forma mentis non è qualcosa che puoi mutare facilmente.
Cambiamo argomento, ma senza esulare dai Mondiali giocati in Giappone, Filippine e Indonesia: prima dell’inizio ho chiamato a Milano un collega freelance specializzato appunto nel basket. Se voli in Oriente, gli ho proposto, mandaci qualche pezzo per laRegione. Purtroppo me ne starò a casa – ha risposto – fra aerei e alberghi verrebbe a costarmi un occhio. Anatomicamente parlando, un conto salatissimo l’ha pagato pure il serbo Simanic, che da un ospedale di Manila è uscito senza un rene: gliel’ha spappolato con una gomitata forse non del tutto fortuita il sud-sudanese Omot.
Due parole infine sulla nazionale italiana, che ha chiuso il torneo all’8° posto: buon risultato, tenuto conto che nel 2019 fu 10a dopo aver mancato due edizioni consecutive. Vincitori nella prima fase su Angola e Filippine – ma superati dai dominicani – gli azzurri hanno poi battuto Portorico e nientemeno che la Serbia, illudendosi di poter addirittura vincere una medaglia. Forse non hanno considerato la possibilità che i serbi quella sfida l’abbiano persa apposta – per lasciare all’Italia il primato nel gruppo e spedirla nelle fauci degli Usa – e tenendo per sé invece la più abbordabile Lituania. E infatti i serbi sono giunti in finale, mettendosi al collo l’argento, mentre gli azzurri – asfaltati dagli americani – hanno poi perso contro Lettonia e Slovenia, chiudendo ultimi. E pensare che coach Pozzecco, famoso mattacchione, aveva dichiarato: se invece degli Usa avessimo beccato nei quarti una qualsiasi delle altre squadre, avremmo vinto contro tutti. Il Poz potrà sembrare esoso (perché in effetti lo è), ma forse al basket svizzero – oltre a un sacco di altre cose – manca proprio questo tipo di mentalità.