Aveva 9 anni quando sua mamma morì sugli sci, e oggi il ventitreenne francese corre in Coppa del mondo. ‘In partenza la paura è immensa, ma mi sento vivo’
«In partenza c’è una paura immensa. Eppure è in quel preciso momento, che in realtà mi sento più vivo». Sembra un paradosso, ma non è un caso che dove alla maggior parte delle persone mancherebbe il fiato guardando in basso, lui senta battere più forte il cuore. È su un ‘lassù’ non lontano da casa, che perse la mamma, vittima di un incidente sugli sci. Matthieu Bailet aveva nove anni, oggi è uno sciatore che gareggia in Coppa del mondo.
«La mia storia fa chi sono io oggi. La morte di mia mamma – si prende un attimo, prima di continuare – è ovviamente un evento marcante della mia vita. Allora, sul momento, non ero del tutto consapevole di cosa la sua scomparsa avrebbe significato. Solamente più tardi, non prima dei diciannove anni, ho iniziato a realizzare tutto ciò che avevo avuto attorno. In particolare la forza del mio papà. Se sono cresciuto così bene, è grazie a lui, e oggi l’incidente occorso a mia mamma fa proprio parte di me».
Tra i più giovani velocisti del circuito, il francese è un concentrato di energia contagiosa. Se vi capita di assistere a una gara dal vivo, non cercate però il ragazzo più triste nell’area di arrivo, bensì il più solare. Perché Matthieu – racconta in ottimo italiano e i suggerimenti di usare il francese in caso di dubbi restano inascoltati – ama «tanto la vita, sapendo che non è sempre bella. È da quando ho accettato che possono esserci momenti difficili e dolorosi, che ho iniziato davvero a gustarne ogni attimo. Ecco, questo è un aspetto che apprezzo tanto: mi piace mangiare in un ristorante stellato e al contempo, forse anche di più, adoro mangiare un pan bagnat (panino specialità di Nizza, ndr) sulla mia spiaggia. Quando penso alla mia storia – altra pausa – e alla strada che ho preso, per me è tutto legato. Indirizzarmi sulla velocità, è stata una scelta di istinto. Discesa e superG sono pericolosi, ne siamo consapevoli. Ci sono piste o tratti di piste di Coppa del mondo dedicati a sciatori vittime di gravi incidenti. Io, anche se ero giovane, ho vissuto la morte di David Poisson (francese deceduto nel novembre 2017, a 35 anni, a seguito di una caduta in allenamento in Canada, ndr). Una tragedia che ci ha ricordato come le nostre discipline richiedano sempre un rispetto immenso». D’altro canto, diceva, è proprio questo l’aspetto che lo fa sentire vivo. «Sono sempre stato così, alla ricerca di ‘stress’ e adrenalina. Praticare questo sport richiede tante cose, che mi fanno impazzire». Voce, espressione, sguardo: tutto, di Matthieu con tue “T” («Ah ah ah! Grazie di ricordartene: sbagliano in tanti»), ti fa capire che lo sci che così tanto gli ha tolto, tanto ora gli dà e lo rende felice. «Per me è un mix tra uno stile di vita e una passione. Pratico questo sport per tutto ciò che c’è attorno. Lo sci mi permette di fare conoscenza con un sacco di persone interessanti con cui posso discutere e creare qualcosa. E mi apre porte su altri mondi, moda, cinema, musica, che altrimenti non avrei avuto modo di scoprire. Oltre alla performance pura, scio anche per la condivisione. Mi piacciono il contatto con i giornalisti e l’incontro con il pubblico. In fondo è anche grazie al sostegno dei tifosi, che posso vivere facendo ciò che adoro. Ad esempio sono bellissimi i momenti che condivido con i bambini, quando torno nel mio Sci club. Sembrano piccole cose ma, messe assieme, costituiscono il valore aggiunto di questa vita». Una vita che, in generale, non concepisce senza un po’ di ‘folia’. Con un sorriso grande così e una elle, rara concessione alla lingua materna. «Bisogna gestirla, certo. Ma è ciò che ti permette di esistere e di sentire, provare dei momenti magari inaspettati. Sono questi, a mio modo di vedere, i più belli. Perciò tengo parecchio a non perdere per strada quel pizzico di ‘folia’». Poi nello sci, pure i ‘folli’ lo sono con testa. «Anche noi che scendiamo a oltre cento all’ora, abbiamo paura. È giusto, perché è la paura che ti fa capire quanto puoi spingere e dove, quando non superare i limiti».
Ora, pensa di avere trovato la strada, che spera sia la sua per un po’ di tempo. «Mi auguro di poterla vivere al massimo, poiché in ciò che facciamo c’è una grande componente di piacere. Non sciamo perché dobbiamo, ma perché vogliamo».