Russia 2018

Il peso di storia, fascino e blasone

Stadi magnifici e accoglienti, ambiente caldo, gente ospitale, organizzazione nel suo complesso funzionale, quasi inappuntabile, qualche timore della vigilia legato più che altro alla politica interna di Putin fugato da una serenità

16 luglio 2018
|

Stadi magnifici e accoglienti, ambiente caldo, gente ospitale, organizzazione nel suo complesso funzionale, quasi inappuntabile, qualche timore della vigilia legato più che altro alla politica interna di Putin fugato da una serenità che ha fatto la gioia delle centinaia di migliaia di turisti del calcio che hanno intrapreso la trasferta, invadendo festosamente le città russe coinvolte.
Sono alcuni dei motivi principali per cui la Coppa del mondo consegnata agli archivi dal trionfo della Francia può dirsi un successo, sotto pressoché tutti i punti di vista.

Che poi, in giro per il Paese, sia stata solo calma apparente, di facciata o un tantino forzata dalla presenza di milioni di telecamere che per un mese hanno diffuso nel mondo intero l’immagine della Russia senza veli e senza censura, lo scopriremo nei giorni a venire, quando l’eco della Coppa del mondo sarà definitivamente spenta, e torneranno a farsi sentire i rumori di sempre, senza la straordinarietà di un evento che per un mese ha influenzato la vita di una nazione, ammantandola sotto una coltre di perbenismo variopinto, e di sorrisi che hanno fatto da contorno alle sessantaquattro partite del Mondiale 2018 vinto dai ‘galletti’ di Deschamps, in finale contro la meritevole Croazia, tra le note più suadenti del Mondiale, sconfitti ma applauditi per un percorso in cui qualità e cuore si sono miscelati, con ottimi risultati.

Sul piano tecnico e dello spettacolo, spiace che la Svizzera sia finita nel drappello delle squadre che a casa sono tornate con qualche motivo di troppo per non essere soddisfatte. L’ottavo di finale contro la Svezia, triste capolinea della campagna rossocrociata, è lo specchio di una Nazionale andata a cozzare contro limiti che puntualmente ne impediscono un ulteriore salto di qualità, dall’attuale discrezione, su verso un livello che continua a esserle precluso.

Non è solo un discorso tecnico, si badi bene, giacché l’imperizia e la serie di brutte figure collezionate dall’Associazione svizzera di calcio in tema ‘aquilotti’ e doppia nazionalità, pesano ben più dell’eliminazione della squadra di Petkovic, sul piano dell’immagine. Quanto la questione sia stata trattata male – maltrattata proprio – lo si evince dalla scia di una polemica che si trascina ancora oggi, a molti giorni dal suo fattore scatenante.

C’è chi sta peggio, d’accordo, ma è una magra consolazione. È però innegabile che la Coppa del mondo russa sia stata il torneo delle eliminazioni premature e clamorose. Di riflesso, è diventato il Mondiale delle altre, delle seconde linee. Di squadre accreditate di un certo valore, ma non per forza attese a un ruolo di primattrici assolute. Francia, Croazia, ma anche Belgio e Inghilterra, hanno colto molto bene l’occasione per esibire il vestito della festa sulla ribalta mondiale. Spagna, Brasile, Argentina e soprattutto Germania, hanno invece piazzato una stecca di proporzioni... mondiali, sì, privando la competizione di quei punti fermi che sarebbe bello che continuasse ad avere, pena un certo smarrimento.

Per quanto siano affascinanti un rimescolamento dei valori e un rinnovamento a livello gerarchico, che tedeschi e sudamericani debbano uscire presto di scena depaupera il Mondiale, ne impoverisce il panorama, e toglie fascino a un torneo che senza testa di serie concede qualcosa quanto a spettacolo, tecnica, aspettative e, soprattutto, interesse. Senza nulla togliere a chi ha saputo eccellere, Francia e Croazia in testa, che mancasse qualcosa, dagli ottavi in poi, è più di una sensazione.