Bellezze, obbrobri e contraddizioni di un Mondiale che si avvia alla conclusione
È partito come un Mondiale di plastica, pure bruciata. C’erano tutte le premesse per un’edizione catastrofica. Stadi costruiti sulla pelle di lavoratori sfruttati e con il dramma di centinaia - forse migliaia - di morti tenute nascoste, un Mondiale fuori stagione assegnato in maniera per lo meno equivoca, un Paese senza tradizione calcistica, ma con possibilità economiche illimitate, un emirato nel quale i diritti umani sono un optional, il presidente della FIFA Infantino che ha aperto il mondiale con dichiarazioni al limite della decenza, persino i tifosi finti. Poi il calcio ha quasi spazzato tutto questo e ha occupato il terreno con la passione, gli eroi vincenti e gli sconfitti, le storie che conquistano gli animi. Oggi mi trovo quasi a rimpiangere le partite delle undici del mattino, fosse anche un Giappone-Costa Rica. Il calcio ha questo potere magnetico e anche pericoloso. Il torneo del 1978 fu di una cupezza mai vista con l’Argentina di Videla che utilizzò
quell’edizione e il successo della nazionale di Kempes per lucidare il proprio orribile potere. Nella mente degli appassionati però restano i supplementari della finale con l’Olanda e il palo di Rensenbrink che avrebbe potuto cambiare il corso della storia (del calcio). Il Qatar esce comunque vincitore da questa edizione: gli stadi ripresi dall’alto con le luci della notte suscitano ammirazione, anche se sappiamo come sono stati costruiti e resteranno quasi inutilizzati, il tema dei diritti umani è sparito dalle cronache, in finale vanno Argentina e Francia, i cui uomini simbolo giocano nel Paris Saint-Germain, che è di proprietà dell’emiro del Qatar. Sembra tutto combinato, ma siamo certi che non lo è. Lo sport, e il calcio ancora di più, è un formidabile elemento politico e commerciale, che contiene però un anestetico potentissimo, perché il genio di Messi, la velocità di Mbappé, il cammino del Marocco, la vittoria del Giappone sulla Germania, il rigore sbagliato da Kane contro la Francia, il gol di Richarlison contro la Serbia sono adrenalina pura e cancellano dalla memoria quello che sta dietro le quinte. Non dimenticheremo quindi l’umiliante 6-1 subito dalla Svizzera contro il Portogallo o il Ronaldo furioso che manco saluta i marocchini che l’hanno battuto oppure i piccoli e grandi episodi che hanno segnato le partite, il Var imperante, i recuperi chilometrici delle prime giornate poi tornati nella norma, i portieri che hanno parato rigori in serie. Resteranno invece in qualche cassetto i temi che sembravano dominare l’attualità nei giorni dell’attesa. Ecco perché sarà utile e importante che, dopo aver salutato Messi nell’empireo dei più grandi della storia insieme con Maradona e Pelè oppure celebrato Mbappè come il ventitreenne che ha vinto due Mondiali come solo Pelè, non ci si dimentichi di quel che sta dietro le quinte. Dalle cose più minute (i giocatori dell’Arabia Saudita hanno ricevuto la Rolls Royce annunciata dal principe dopo la vittoria sull’Argentina oppure le successive sconfitte hanno declassato il regalo, che è diventato una Panda?) a quelle più importanti. Continuino per esempio i giornalisti ad andare in Qatar e alziamo la voce sulla questione dei diritti umani. Cerchiamo di sapere che ne è dei giocatori iraniani che non hanno cantato l’inno prima della partita, perché parlare di Iran vuol dire tenere accesa la fiammella dell’informazione in un Paese che sta precipitando nella repressione brutale della rivolta. Prepariamoci alla prossima edizione tra Canada, Stati Uniti e Messico, che avrà una formula assurda con gironi da tre squadre che si prestano a giochetti e pastette, che accoglierà 48 nazionali e permetterà a Infantino di essere rieletto alla testa della FIFA, che farà nascere polemiche su viaggi e spostamenti. E non dimentichiamo che in Messico i cartelli della droga spadroneggiano e c’è il più alto numero di femminicidi al mondo. Poi sappiamo bene che faremo levatacce notturne per vederci un Ghana-Colombia o un Australia-Polonia. Questo è il calcio, bellezza e tu ci puoi fare poco o nulla.