I portieri di Marocco, Argentina e Croazia hanno dato sfoggio delle loro capacità (7 parate). La percentuale di successo dagli undici metri è in calo
"Nino non aver paura di tirare un calcio di rigore". Con ogni probabilità, Francesco De Gregori non si è mai trovato sul quel dischetto bianco, crocevia tra la gloria e l’umiliazione, con tra le mani un pallone pesante un quintale. In caso contrario, il protagonista di "La leva calcistica del ’68" di paura ne avrebbe avuta, eccome. D’altro canto, la tremarella ce l’hanno anche i campioni, quelli che in questi giorni corrono sull’erba degli stadi del Qatar. E la fifa di chi calcia è inversamente proporzionale a quella di chi para. Perché dagli undici metri, l’attaccante ha tutto da perdere, l’estremo difensore tutto da guadagnare. Ne sanno qualcosa tre dei quattro portieri che si sfideranno tra martedì e mercoledì nelle semifinali della Coppa del mondo. Praticamente sconosciuti al grande pubblico, Yassine Bounou, Emiliano Martinez e Dominik Livakovic sono assurti a eroi nazionali proprio grazie alla loro capacità di ipnotizzare i rigoristi avversari. Marocco, Argentina e Croazia devono molto della qualifica alle semifinali proprio ai loro numeri 1. Bounou, cresciuto in Spagna tra Atletico Madrid, Real Saragozza, Girona e Siviglia, è stato l’artefice della qualificazione ai quarti di finale, respingendo le conclusioni di Busquets e Soler nella sfida con la Spagna. Livakovic, diventato titolare nel 2018, ma sempre rimasto entro i confini patrii (Nk e Dinamo Zagabria), ha fatto ancora meglio e di rigori ne ha già bloccati quattro, tre contro il Giappone, uno contro il Brasile. Dal canto suo, Martinez è stato decisivo nella sfida contro l’Olanda, rimandando a centrocampo con la coda tra le gambe prima Van Dijk, poi Berghuis. E pensare che, nonostante i suoi 30 anni, il "Dibu" la Nazionale se l’era conquistata soltanto un anno fa, in occasione della Copa America vinta in Brasile, durante la quale aveva già fatto sfoggio delle sue qualità di para-rigori, fermando in semifinale tre delle cinque conclusioni della Colombia.
Come si diceva, il compito dei portieri è senza dubbio più agevole rispetto a quello degli attaccanti: se segni hai fatto il tuo dovere, se pari hai compiuto un miracolo. E di miracoli in questa Coppa del mondo ce ne sono stati parecchi. Prima delle ultime quattro partite, in Qatar sono stati assegnati, nei 120’ di gioco, 19 rigori, dei quali solo 13 sono andati a segno (68,42%). Dei sei sbagliati, cinque sono stati bloccati, uno (quello di Harry Kane contro la Francia) è finito fuori dallo specchio della porta. Una percentuale di successo andata scemando rispetto a Russia 2018, dove i rigoristi avevano fatto centro il 75,86% delle volte.
Se poi contabilizziamo pure i rigori calciati dopo il 120’, il totale sale a 52, dei quali 14 bloccati dai portieri (26,92%). Se a questi si aggiungono i palloni finiti sui pali, sulla traversa o fuori dallo specchio, gli errori salgono a 19 (36,54%).
Insomma, dati alla mano, circa un rigore su tre viene sbagliato o parato. Una percentuale decisamente elevata che dimostra come Nino avesse tutte le ragioni di aver paura avvicinandosi agli undici metri. Anche perché sono sempre più numerosi i portieri che studiano attentamente statistiche e comportamenti degli attaccanti avversari. E se in alcuni casi lo studio non serve a nulla (gente come Messi o Neymar hanno mille soluzioni, il pallone lo possono mettere dove vogliono), in altri può essere determinante, in particolare quando a incaricarsi della battuta sono giocatori che di regola non si avventurano sugli undici metri e che hanno una tipologia di battuta nettamente preferita rispetto a tutte le altre.
Insomma, le partite che ancora ci separano dalla fine del Mondiale rischiano di regalarci altre emozioni dagli undici metri. Con Bounou, Martinez e Livakovic tra i pali ci sarà di che divertirsi.