Il sole della California, la prima bimba e un lunedì da grande protagonista: la storia di un campione vero, figlio del compagno di squadra di papà Bencic
Praga – Era atterrato all’aeroporto di Praga all’una e mezza di pomeriggio, dove c’era tra l’altro sua nonna ad attenderlo, infatti la famiglia di Fiala – da parte di padre – è originaria di lì. Ecco spiegato il motivo per cui il sangallese dei Los Angeles Kings voleva essere in pista a tutti i costi durante Svizzera-Repubblica Ceca, giocata appena sette ore dopo la fine di un volo estenuante sopra l’Atlantico. «Quando sono sceso dall’aereo, la vista di mia nonna mi ha dato energia – racconta il ventisettenne, cresciuto hockeisticamente nell’Uzwil e che parla ben cinque lingue (oltre a tedesco, francese, inglese e ceco, infatti, sa anche un po’ di svedese) –. Infatti la parte della mia famiglia che vive in Repubblica Ceca non la vedo di frequente, da quando mi sono trasferito negli Stati Uniti».
Eppure, vedendolo giocare lunedì sera, nessuno avrebbe potuto dire che i giorni precedenti per Kevin Fiala fossero a dir poco piuttosto movimentati. «Fortuna che sul volo sono riuscito a dormire bene – racconta, facendo capire di sentirsi rassicurato dopo la nascita di Masie-Mae, pochi giorni prima –. Mia figlia è in buone mani, perché con lei, oltre a mia moglie Jessica, c’è anche mia suocera».
Nemmeno a farlo apposta, anche Belinda Bencic, appena un paio di settimane prima, e pure lei all’età di ventisette anni, aveva dato alla luce la sua prima figlia, Bella. A questo punto, tutti si chiederanno cosa c’entra la numero uno del tennis rossocrociato con Kevin Fiala, a parte il fatto che sono entrambi sangallesi. Eppure il nesso c’è: i loro padri, Ivan (Bencic) e Jan (Fiala), hanno giocato assieme per l’Uzwil, la società che, tra l’altro, ha dato i natali – sportivamente parlando – ai vari Hugo, Sven e Lars Leuenberger, e più recentemente a Mathias Seger. Tanto che qualcuno potrebbe credere che sia proprio Uzwil, paesotto di tredicimila anime tra San Gallo e Wil, la capitale del nostro hockey.
A quanto si mormora – ma diciamolo subito che è pura fantasia –, un bel giorno, al termine di una faticosa partita, Ivan e Jan si danno appuntamento davanti a una birra per dirsi che i loro figli sarebbero dovuti andare lontano. Lontano al punto che nel febbraio del 2020 Belinda arriverà addirittura al quarto posto dei valori mondiali nel tennis, mentre invece Kevin sarà la superstar ai Kings di Los Angeles dopo aver disputato oltre seicento partite in Nhl, e dopo essere arrivato in fretta e furia ai Mondiali 2024 di Praga chiuderà la serata segnando un rigore d’antologia alla Repubblica Ceca, con tanto di mano dietro l’orecchio, invito a farsi sentire alle migliaia di tifosi cechi ammutoliti sugli spalti della O2 Arena.
Del resto, visto dov’è arrivato oggi, uno come Fiala non è personaggio da lasciarsi intimorire dai riflettori o dai grandi palcoscenici. Lui che vive in un altro pianeta quasi nel senso letterale del termine, dopo aver apposto l’anno scorso la propria firma su un contratto da 55 milioni di dollari in California, giusto premio per un giocatore reduce dalla stagione della vita, iniziata nel 2021 e finita nel 2022 nel Minnesota con un bottino di 85 punti in 82 partite. Destino vuole che il suo contratto giungesse in scadenza proprio in quel momento, ciò che gli ha spalancato le porte di Hollywood. Infatti è così che vengono considerati i Los Angeles Kings nel pianeta hockey. Con i colleghi della Neue Zürcher Zeitung che qualche tempo fa, parlando di Fiala, descrivevano un ragazzo che vive in un mondo scintillante e pare ritagliato da un catalogo di modelli di biancheria intima: muscoloso, bello e naturalmente molto ricco, nella sua sofisticata villa affacciata su un mare dove splende sempre il sole.
Certo che ne ha fatta di strada, il Kevin quattordicenne che salutò Uzwil con i bagagli in mano per trasferirsi prima agli Zsc Lions e poi, due anni più tardi, nelle giovanili del Malmö, in Svezia, prima di cambiare nuovamente aria, in direzione Jönköping. Dove all’Hv71 l’allenatore era l’ex attaccante del Berna Andreas Johansson, che ne lodò il potenziale («grande come il cielo», raccontò) ma disse pure che doveva ancora crescere («mentalmente, soprattutto», aggiunse). Quella crescita è infine arrivata, tanto da permettergli di affermarsi in un mondo spietato come la Nhl, dove quest’anno ha tagliato il traguardo di 70 punti in stagione per la seconda volta di fila, e dopo aver sposato la sua fidanzata svedese di lunga data, Jessica Ljung, è appena diventato padre per la prima volta, e ora sogna pure di diventare per la prima volta campione del mondo, mangiandosi senz’altro ancora le mani per aver sprecato quella clamorosa occasione nell’overtime della finale contro la Svezia, quel 20 maggio del 2018. E chissà che, per una sua personale rivincita, non possa essere questa la volta buona.
Dopo aver sudato, e parecchio, contro Austria e Repubblica Ceca – fors’anche più nella prima delle due sfide, siccome, date le circostanze, ‘Fischi’ era stato costretto a spremere come limoni gli uomini migliori –, il primo martedì al Mondiale è sinonimo di riposo e rigenerazione per i rossocrociati, che decidono di non allenarsi alla vigilia della loro quarta uscita alla O2 Arena, stasera, contro la neopromossa Gran Bretagna. Un avversario sulla carta inferiore e che qualcuno sarebbe tentato di definire folcloristico, dimenticando che se oggi esiste l’hockey è proprio grazie agli inglesi, siccome le ricerche hanno evidenziato che il disco su ghiaccio in Canada vi arrivò solo per importazione verso la fine dell’Ottocento, anche se è proprio a Montreal che il gioco venne codificato per la prima volta.
Cenni storici a parte – a cui andrebbe aggiunto che da quando esistono i Mondiali i britannici hanno pur sempre collezionato cinque medaglie, di cui una d’oro, nel lontano 1936 –, per avere un saggio delle qualità degli uomini a disposizione dello scozzese Peter Russell basta cercare su Youtube le immagini del secondo gol di tale Ben O’Connor al Canada, sabato, quando il trentacinquenne difensore che gioca a Dundee passa in mezzo a Dylan Gunther (Arizona Coyotes) e Owen Power (Buffalo Sabres) come se fossero birilli, prima di farsi beffe di Joel Hofer, portiere dei St. Louis Blues . «Non sarà una partita semplice come potrebbe sembrare – dice Andres Ambühl, ben cosciente di cosa significhi prendere un avversario alla leggera, dopo l’estenuante rincorsa agli austriaci di domenica scorsa –. Stavolta dobbiamo essere pronti sin dall’inizio: bisognerà subito spingere il piede sull’acceleratore, senza complicarci le cose e puntando tutto sulla velocità. In ogni caso, è evidente, l’unico nostro obiettivo sono i tre punti». C.S./K.W.