Fra qualche mese suderà agli ordini di coach Luca Gianinazzi, per ora Calle Dahlström si limita a una prima presa di contatto con la sua nuova ‘casa’
È una sorta di ‘Neverending story’ quella che lega l’Hc Lugano e i difensori in arrivo dalla Svezia. Al punto che elencare tutti i giocatori scandinavi che negli ultimi quarant’anni hanno vestito la maglia bianconera diventerebbe un esercizio estremamente impegnativo, col rischio di dimenticarne per strada diversi. Da Mats Waltin a Peter Andersson, passando per i vari Pär Djoos e Tommy Sjödin, e tanti altri. Un lungo elenco che da qualche settimana annovera pure il nome di Calle Dahlström, che pattinerà sotto le volte della Cornèr Arena dalla prossima stagione, e che in questi giorni ha fatto una capatina a Lugano per una prima presa di contatto con quella che sarà la sua ‘casa’ nei prossimi mesi. A salutare la sua toccata e fuga in riva al Ceresio è stata una meteo che ha offerto il suo lato migliore quale regalo di benvenuto: niente di meglio per concedersi qualche momento di relax in attesa di mettersi al lavoro e sudare con la nuova maglia bianconera. Un’appetitosa cena a Gandria e un bel giro per Lugano, lo hanno subito fatto innamorare della città sul Ceresio.
Per le due prossime stagioni il 29enne svedese guiderà la difesa del Lugano. Fortemente voluto dallo staff tecnico, il suo profilo e la sua stazza fisica (193 cm x 96 kg) parlano di un difensore solido, che potrà sicuramente dare la sua impronta a un reparto difensivo che nell’ultima stagione ha avuto qualche problemino di ‘registrazione. Ma non è solo lì che il suo apporto dovrebbe farsi sentire: «Le mie caratteristiche mi portano a essere un giocatore molto presente nella zona difensiva del ghiaccio, ma non nascondo che mi stuzzica l’idea di contribuire in modo attivo pure in attacco, cosa che sinora non sono ancora riuscito a mostrare appieno, ma che conto di fare qui a Lugano, dove sono certo che avrò questa opportunità», premette il difensore svedese, che proprio quest’anno ha disputato le sue prime tre partite con la Nazionale delle Tre Corone.
Draftato al secondo turno dai Chicago Blackhawks nel 2013, ha trascorso sette anni oltre Atlantico, disputando 67 incontri in Nhl (con Chicago Blackhawks, Winnipeg Jets e Toronto Maple Leafs) e 261 incontri in Ahl (Rockford Ice Hogs, Henderson Silver Knights e Toronto Marlies), totalizzando 84 punti. La scorsa stagione ha poi fatto rientro in Svezia, vestendo i colori del Färjestad, con cui ha raggiunto i quarti di finale del campionato nazionale. «Rientrare in Svezia non è stato facile – spiega Dahlström –. Alla mia età, tornare da questa parte dell’Atlantico vuol dire chiudere in modo quasi definitivo la porta con quella realtà e quel mondo. Sono però stati diversi gli elementi che alla fine mi hanno portato a prendere questa decisione e mi hanno riportato in patria: non dimentichiamolo, per me è stata una sorta di ritorno a casa. La mia ragazza aveva trovato un’ottima opportunità di lavoro, e dunque quella di tornare in Svezia per noi era una scelta quasi scontata. Ho avuto diverse offerte sul tavolo, svedesi e anche svizzere, e alla fine mi ero deciso per il Färjestad. Dove penso di aver disputato una bella stagione. Ho giocato 54 partite (un gol e 16 assist). Poi, a fine gennaio è arrivata l’offerta del Lugano: ho parlato a lungo con Gianinazzi e Domenichelli, con cui mi sono trovato subito in sintonia. In carriera non ho ancora vinto niente, e mi piacerebbe cominciare a farlo proprio con il Lugano. C’erano ancora altre squadre che mi avevano contattato, ma la prospettiva di venire a Lugano era quella che mi intrigava maggiormente. Voglio essere sincero: ho parlato con molti giocatori che hanno già giocato in Svizzera, e anche con Rickard Wallin, che ha pure giocato a Lugano (stagione 2006/07, ndr) e che ne serbava un ottimo ricordo. In generale, tutti erano concordi nell’affermare che venire a giocare a Lugano era un’ottima scelta. Moltissimi mi hanno anche parlato in modo particolare di una partita speciale: il derby».
Agli appassionati di hockey ticinesi che ancora non lo conoscono, come si presenta Calle Dahlström? «Mi hanno offerto un contratto per la mia solidità e le mie capacità in boxplay. Il mio compito è quello di non lasciar segnare gli avversari. Uso molto il mio fisico, ma se ho la possibilità di rendermi utile anche davanti, sono pronto a farlo molto volentieri. Non conosco molto del campionato svizzero: mi è capitato di incontrare le squadre elvetiche nella Champions Hockey League. Ma so che, a differenza del campionato svedese, questo è un torneo in cui ci sono molti coach che arrivano da diversi Paesi, e quindi penso che ogni squadra giochi in modo differente. Non vedo l’ora di confrontarmi con questa nuova realtà». A proposito di coach, come è stato il primo impatto con quello bianconero? «Luca è un ragazzo giovane, con le idee ben chiare su come i giocatori devono muoversi sul ghiaccio. Il fatto che sia nato e cresciuto a Lugano, poi, trovo sia fantastico. Sento che ha voglia di costruire qualcosa di importante qui; le sue idee mi hanno convinto, e così il suo progetto, un progetto di cui volevo assolutamente far parte».
A Lugano, Dahlström non sarà tuttavia l’unico ‘Calle’ del gruppo. Ma l’ultimo arrivato, il 29enne di Stoccolma, spesse volte viene chiamato anche Carl... Qual è il nome giusto? «Entrambi sono corretti, e nessuno sbagliato. In Nordamerica e in Svezia tutti mi chiamavano Calle, e penso che anche per chi parla italiano, questo sia l’appellativo più facile da usare».