Dimenticata la delusione di Riga, Fischer e la sua nazionale iniziano un nuovo cammino: ‘La sfida è restare concentrati anche quando non tutto va liscio’
Giovedì con la sfida alla Finlandia di Saarijärvi, Riikola e Suomela nel contesto della Karjala Cup di Tampere inizia una nuova stagione della nazionale svizzera. A fine maggio gli uomini di Patrick Fischer scenderanno quindi sul ghiaccio di Praga e Ostrava per i Mondiali, con l'obiettivo di riscattare la dolorosa eliminazione ai quarti di finale di sei mesi fa contro la Germania. Ma per il selezionatore di Zugo quanto accaduto a Riga è ormai acqua passata: «Quella sconfitta è stata digerita e analizzata – confida il 48enne all'agenzia Ats –, continuo a credere che nulla accada senza una ragione. E apparentemente come squadra avevamo bisogno di ciò per imparare qualcosa».
Da quel 25 maggio cosa è successo?
Abbiamo guardato a che punto siamo nel nostro processo e cosa abbiamo realizzato negli ultimi anni. Siamo migliorati nel settore atletico, abbiamo migliorato il nostro comportamento nei duelli, abbiamo trovato un buon equilibrio tattico e restiamo attivi anche quando conduciamo nel punteggio. In passato invece andavamo spesso in difficoltà contro le squadre sulla carta più deboli, ma non è più il caso perché abbiamo appreso a creare più gioco in attacco.
E adesso la Svizzera a che punto è?
A mio avviso siamo nell'ultima fase, ora facciamo parte del novero dei favoriti. Tuttavia centrare il risultato con la grande pressione derivata da questo statuto è il passo più difficile da compiere. Come giocatore amavo queste situazioni, ma non è una caratteristica tipica dei giocatori svizzeri. Dobbiamo fare in modo che ognuno possa evolvere al suo miglior livello nel momento cruciale, cioè durante le partite a eliminazione diretta.
Come ci si può riuscire?
La sfida è rimanere sempre concentrati. La differenza tra un campione e un giocatore molto bravo è la capacità di non lasciarsi distrarre quando non tutto gira per il verso giusto e non tutti ci riescono. In un incontro a eliminazione diretta, è molto più complicato recuperare la concentrazione rispetto a uno della fase a gironi. I canadesi, per fare un esempio, adorano le partite da dentro o fuori. Quanto a noi, quando abbiamo l'impressione di dover vincere, iniziamo a innervosirci, riflettiamo troppo e a quel punto togliamo il nostro focus dal momento presente.
Ed è una cosa che si può imparare o bisogna prediligere giocatori con questa caratteristica?
È una gran bella domanda. Ovviamente abbiamo degli elementi in grado di rendere sotto pressione e che lo hanno dimostrato più volte e vogliamo portare gli altri a questo punto, mettendoli alla prova. Non deve fare alcuna differenza se si tratti di un match dell'Euro Hockey Tour in Finlandia o un quarto di finale ai Mondiali, è soltanto il contesto a essere diverso. Noi ci attendiamo che i giocatori siano al 100% e diano tutto, non importa se in allenamento o in partita. Convocheremo dei giocatori che riteniamo siano in grado di essere performanti al meglio quando conta. Investiremo molta energia in questa direzione, per esempio integrando degli allenatori esperti in tecniche di concentrazione.
Si è sempre più saggi con il senno di poi. In questo senso fareste le cose diversamente, rispetto agli ultimi Mondiali?
Sì, sicuramente cambierei alcune decisioni, come quella di lasciare a riposo alcuni giocatori per l'ultimo incontro della fase a gironi contro la Lettonia. Inoltre con le conclusioni attuali avrei anche preparato diversamente il quarto con la Germania. Lo abbiamo affrontato come le altre partite, oggi non sarebbe più così. Modificherei anche il mio coaching: dopo l'1-1 ho visto infatti che la squadra voleva troppo, indubbiamente perché giocare contro i tedeschi è sempre qualcosa di speciale. In seguito abbiamo incassato due penalità, che ci sono costate la partita, in quanto abbiamo perso il ritmo. Saremmo dovuti rimanere più dominanti, perché il nome dell'avversario non deve giocare alcun ruolo.
Un anno fa ha detto che prima o poi le deve riuscire il salto di qualità, altrimenti dovrebbe provarci un altro tecnico. Si è chiesto se dovesse continuare o farsi da parte?
Pensavo che nella scorsa stagione fossimo già pronti per fare questo salto. Dopo l'eliminazione la cosa più importante per me era che la squadra credesse ancora nello staff tecnico, non sono uno che getta la spugna se vedo che il processo funziona e il gruppo ne è convinto. In ogni caso anch'io devo imparare a essere più paziente.
Dunque il dialogo con i giocatori è stato positivo…
I giocatori si sono chiaramente espressi in nostro favore, sostenendo che la preparazione fosse corretta. È stato importante per me, perché sono un uomo di squadra e punto molto sulla fiducia reciproca, sia con chi mi sta sotto, sia con chi mi sta sopra. Fossimo stati eliminati ai quarti senza un'evoluzione positiva sarei stato il primo ad ammettere che non si poteva più andare avanti così.
Potrebbe fornire qualche dettaglio in più?
Ora giochiamo molto meglio rispetto a Copenaghen 2018, dove conquistammo l'argento. Agli ultimi Mondiali siamo stati ancor più dominanti rispetto all'anno precedente, quando avevamo chiuso la fase a gironi da imbattuti. Abbiamo concesso pochissime occasioni da rete ai nostri avversari, giocando molto solidamente in difesa e in attacco siamo stati produttivi, senza essere dipendenti dagli Nhler. Infatti Fiala è arrivato infortunato, Moser reduce da una stagione difficile con Arizona e Siegenthaler e Hischier dopo due turni di playoff, ciò che dimostra che siamo in grado di applicare il nostro gioco anche con l'80% della rosa proveniente dalla National League. Da questo punto di vista siamo sulla strada giusta, ora dobbiamo fare il prossimo passo, ovvero non percepire più un quarto di finale come una partita particolare. Spero di toccare i tasti giusti per far passare il messaggio ai giocatori.
Quest'estate avete rinunciato al Prospect Camp, una decisione che ha fatto discutere: quali sono le ragioni?
La situazione è cambiata, in passato in novembre disputavamo la Deutschland Cup con una compagine di ‘Prospect’, mentre in febbraio convocavamo giocatori di prospettiva futura. Ora con la partecipazione all'Euro Hockey Tour abbiamo solo sette-otto ragazzi di queste annate che sono vicini a una convocazione iridata. E questi li proviamo nelle prime due settimane del campo d'allenamento pre-mondiale. Non ha senso convocare gente molto distante dalla rosa titolare. Un altro fattore di rinuncia è la difficoltà a trovare avversari che possano elevare la qualità del campo.
A proposito di livello, dopo Hischier (prima scelta assoluta nel draft del 2017), solo un altro svizzero è stato scelto al primo turno da una franchigia di Nhl, Lian Bichsel, in diciottesima posizione da Dallas lo scorso anno. Come mai?
È un tema capitale: da noi manca la qualità degli allenatori nelle categorie più giovani. Un normale percorso da allenatore professionista dovrebbe prevedere prima o poi un passaggio nelle giovanili, così come è spesso il caso in Svezia, dove ci sono allenatori esperti, che hanno visto tutto, che vanno ad allenare i ragazzi, concentrandosi principalmente sul loro sviluppo. E capita di vedere quattro o cinque allenatori sul ghiaccio. Da noi invece c'è un responsabile della sezione giovanile professionista e poi dei padri che si occupano di queste categorie fondamentali. Il motivo è che abbiamo pochi allenatori svizzeri, poiché questi hanno scarse prospettive. In più da noi la forbice tra gli stipendi delle leghe professioniste e quelli delle leghe giovanili è nettamente superiore rispetto alla Svezia. Ridurre così questa differenza porterebbe automaticamente ad avere giocatori più bravi.