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Il nuovo Elias Bianchi. ‘Mi son detto: sei tu che sbagli’

Dal mondo del professionismo all’entusiasmo dei Gdt Bellinzona, che oggi assaporano la magia della Coppa Svizzera ospitando il Seewen nei quarti di finale

Un nuovo capitolo, dopo quasi 700 partite in Lega nazionale. ‘Avrei potuto fare di più? Sì, ma anche molto meno...’
16 novembre 2022
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La magia della Coppa. Da una prospettiva del tutto nuova, dopo una vita da professionista con quasi settecento partite in Lega nazionale alle spalle: stasera, con i colori dei Gdt Bellinzona, sul ghiaccio del Centro sportivo Elias Bianchi torna a tuffarsi nel clima di un trofeo che da quand’è stato reintrodotto (era il 2014) col passare degli anni ha suscitato sempre meno consensi, almeno non nei club che in Svizzera vanno per la maggiore, e ora che non coinvolge più i club di National e Swiss League sembra aver trovato la sua dimensione ideale. «Per me è una situazione nuova – dice il trentatreenne attaccante ticinese, che fino alla primavera scorsa era ancora l’assistente capitano dell’Ambrì –. È chiaro, un cambiamento c’è: parliamo di hockey dilettantistico, mentre per me prima era un lavoro. Da sportivo, però, le sfide attirano. Sempre. Per la squadra, per tutti, questa è un’occasione per fare qualcosa assieme: vincere è sempre un qualcosa di positivo, a qualsiasi livello, e ora che la Coppa Svizzera è rimasta senza squadre di A e di B, le formazioni di Prima Lega possono nutrire l’ambizione di vincere qualcosa. E parliamo di una competizione relativamente breve: con poche partite puoi ambire a raggiungere un successo a livello di squadra. Poi stasera sfidiamo un Seewen che è squadra di categoria superiore (la MyHockey League, in sostanza il primo scalino sotto il professionismo, ndr), quindi potremo misurare qual è il nostro livello.

È un’opportunità anche pensando al sogno che anima la società biancorossa da qualche anno, ovvero salire di un gradino nelle gerarchie dell’hockey nazionale.

Sì, non so quanto quello della promozione sia un obiettivo dichiarato, però è un’ambizione che il club ha. E trovo che abbiamo anche il gruppo per poterlo fare. Poi è chiaro, sull’arco di un’intera stagione devi dimostrare di avere la capacità di migliorarti, e non potendo allenarti come farebbero dei professionisti dovrai trovare degli accorgimenti che ti permettano di fare dei passi avanti, arrivando preparato alla fase decisiva. Principalmente penso che il punto sia quello, perché a livello di capacità abbiamo una buona squadra per provare a salire.

Del resto, lo dimostra la classifica: a quasi metà regular season siete a un solo punto dal capolista Wetzikon.

Se guardiamo alle cifre, ci sono però diverse cose da migliorare. Ad esempio siamo sì la squadra con il miglior attacco (addirittura 55 reti in undici partite, ndr) ma subiamo troppi gol, quindi dobbiamo trovare un equilibrio. Il discorso, però, è sempre un po’ lo stesso: a differenza di chi vive di quello, non hai tutto il tempo da dedicare all’hockey, quindi devi trovare altre soluzioni per crescere come gruppo, anche tatticamente. Tuttavia trovo che nell’ultima partita abbiamo già fatto un buon passo avanti a livello di disciplina, perché venivamo da un paio di partite in cui ci eravamo fatti rimontare.

Pensando a ciò che hai vissuto in carriera, non solo sulle piste ticinesi ma pure nelle parentesi di Zugo e Basilea, nello spogliatoio la tua voce non può non essere autorevole.

Sì e no: sono cambiato un po’ anch’io sul piano dell’attitudine. Pur rimanendo me stesso, ho preso la cosa principalmente sul piano del divertimento. Il che non vuol assolutamente dire non impegnarsi: semplicemente, non sono qui per imporre agli altri il fatto che un tempo giocavo in A. Il primo obiettivo per me dev’essere quello di divertirmi. Specialmente dopo aver vissuto una carriera in cui ho sempre cercato di farlo ma dove sapevo che il risultato era vitale, perché tra i professionisti è davvero l’unica cosa che conta. Adesso, se vedo qualcosa che non va a livello di gioco indubbiamente dirò la mia, ma ho anche imparato a lasciar andare. Questo non è più il mondo in cui ero fino a qualche mese fa, quindi non posso più essere quello che ero prima, perché vorrebbe dire essere troppo esigente, e trovo che ciò non si integri bene con la nuova realtà. O questa almeno è la mia visione.

L’hai capito col tempo oppure te l’eri già messo in testa prima di cominciare?

Un po’ l’ho capito strada facendo, perché ho dovuto anche farmi un esame di coscienza. All’inizio avevo ancora il livello di competitività che c’è nel mondo professionistico, e quando vedi che non ti riescono determinate cose ti arrabbi, e rischi anche di essere impulsivo. Poi, a poco a poco mi son detto: ‘Guarda che sei tu che stai sbagliando’. Infatti qui ci sono meno allenamenti, siamo a un altro livello. Non è stato facile. Ho fatto un po’ di fatica all’inizio, ma alla fine ho capito che sbagliavo io. Dovevo aiutare di più, diventando se vogliamo un elemento maggiormente positivo anche per gli altri. È chiaro, c’è un divario tra la Prima Lega e la A, ma il livello qui non è basso, quindi non è che puoi permetterti di giochicchiare, tuttavia giustamente cambiano alcune dinamiche. E se, banalmente, all’inizio dicevo le cose in maniera un po’ troppo secca, mi sono reso conto che dovevo provare a spiegare di più.

Sei tu, in fondo, quello che arriva da un altro pianeta. A proposito: è stato traumatico il distacco da quel mondo?

Io avrei fatto volentieri ancora qualche anno, però alla fine l’ho presa bene. Sono contento della mia carriera e sono comunque sereno dopo la scelta che ho fatto. Avrei potuto fare di più? Sì. Ma avrei anche potuto fare molto meno, quindi... Certamente ci sono delle cose che mi mancano, come l’adrenalina delle partite che contano, però se devo fare un bilancio direi che sono contento. E che non posso proprio lamentarmi.