Il 22 settembre i Gdt Bellinzona tagliano il traguardo dei cinquant’anni, con un vivaio da primi della classe. ‘Formiamo tanti giovani e ne andiamo fieri’
L’hockey è uno sport che vive di emozioni, ma anche di numeri. E le cifre dicono che in Ticino non ci sono soltanto Ambrì Piotta e Lugano: infatti, con i suoi oltre trecento giovani, gestiti da ben 35 allenatori, quello dei Gdt Bellinzona è il secondo più importante bacino giovanile a Sud delle Alpi, con dimensioni che fanno pensare più a un club di A che non a uno di Prima Lega. «È poco ma sicuro» dice Nicola Pini, da dieci anni coach della prima squadra biancorossa che sabato festeggia il debutto stagionale in quel di Wil, ma pure uomo-chiave di quei Giovani discatori della Turrita che il 22 settembre celebreranno il cinquantesimo di fondazione. «Negli ultimi sette, otto anni abbiamo investito particolarmente nelle categorie U9, U11 e scuola hockey. Abbiamo cercato di avere più qualità di quanta ne avessimo in passato, con più allenatori e un tecnico professionista per ciascuna fascia d’età, provando a portare anche qualche innovazione. Facendo giocare i bambini, ma nel vero senso della parola: ad esempio, mentre si lanciano in un percorso sul ghiaccio immaginando d’impersonare "Saetta" McQueen (un’automobile da corsa protagonista di un cartone animato, ndr), in realtà imparano a pattinare. E i risultati si vedono: praticamente abbiamo raddoppiato il numero di bimbi».
Tanto da venir eletto miglior club dell’intera Svizzera due anni fa quanto a reclutamento delle giovani leve: «E quest’anno siamo arrivati secondi – aggiunge Pini –, battuti per due soli punti dal Visp. Ma sono già quattro o cinque anni che siamo stabilmente tra i primi dieci».
Quale premio tangibile del primato nella graduatoria del ‘label di reclutamento’, l’anno scorso i Gdt hanno ricevuto nientemeno che la visita del selezionatore della Nazionale, Patrick Fischer. «Il men che si possa dire è che erano tutti emozionati. Conosco bene ‘Fischi’, è un amico e una persona molto cordiale: ha giocato con i bambini, li ha stregati, e loro lo guardavano con gli occhi spalancati. A molti di loro ha parlato negli spogliatoi, insistendo su quanto sia importante la camerateria nell’hockey e su quanto conti l’impegno. Davvero una gran bella giornata, e sono convinto che abbia lasciato il segno nella testa di quei piccoli giocatori».
A Bellinzona, però, non si guarda soltanto allo sviluppo dei migliori talenti: un’hockey senza preclusioni di sorta. «La nostra filosofia è far giocare tutti quanti, quindi non soltanto chi vi è davvero portato e sogna magari un giorno di giocare nel Lugano o nell’Ambrì. Il presupposto ideale, chiaramente, è che noi non abbiamo alcuna pressione a livello di risultati: non c’è né il peso di una maglia, né il dovere di vincere. Questo è un fattore molto importante. E non dimentichiamo neppure l’aspetto geografico, perché la centralità di Bellinzona permette a tanti bambini di accedere facilmente a ottime strutture».
Ottime strutture che danno ottimi risultati. Pensiamo a Michael Fora, a Luca Cereda, Gregory Sciaroni, Samuel Guerra, oppure al compianto Peter Jaks o a suo fratello Pauli: tutta gente partita dai Gdt e che si è fatta un nome nella massima Lega, e non soltanto. «È vero, ma oltre a tutti questi nomi conosciuti dal grande pubblico c’è tutta una serie di giocatori che sono riusciti ad affermare le loro qualità, come ad esempio un Giona Bionda che ora gioca in B, quindi a un livello già molto alto. Per non parlare, poi, di tutti quei ragazzi cresciuti nei Gdt e che dopo aver giocato magari negli U17 o U20 di Ambrì e Lugano, poi tornano a casa, da noi, in Prima Lega, dove la qualità è senz’altro interessante. Quindi sì – conclude Pini – la nostra è una società che forma sul serio tanti giovani, e ne siamo fieri. Al punto che quest’anno abbiamo iscritto al campionato una nuova formazione Under 20 e ben due squadre U17, cosa mai accaduta prima. A dimostrazione (sorride, ndr) che il sudore versato da piccolo ti porta a crescere».
Tutto ebbe inizio un venerdì, il 22 settembre del 1972. Quando un gruppo di amici diede ufficialmente vita ai Gdt in una sala dell’Albergo Turista di Bellinzona. «Venni sollecitato ad andarci ed entrai a far parte del comitato, mentre fu Remo Barenco a venir eletto, lui che neppure era presente» ricorda Giampiero Storelli, presidente onorario e memoria storica dei Gdt. Società, tra l’altro, nata sulle ceneri di un Hockey club Bellinzona costretto a dichiarare fallimento. «In verità bisogna partire anche da più lontano – racconta l’oggi 84enne ex dirigente biancorosso –. L’hockey da noi è nato ad Ambrì (era il 1937, ndr), ma subito l’anno dopo, credo, venne fondato l’Hc Sementina. Ecco, e da lì che veniamo. Poi, per ragioni finanziarie ci fu la fusione con l’Hc Bellinzona, che però, appunto, fallì».
Anche la fase di avviamento dei Gdt non fu tuttavia delle più semplici. «Il primo anno riuscimmo a chiudere i conti in pareggio, mentre nella stagione successiva salvammo le finanze solo grazie alla Coppa Spengler. E il perché è presto spiegato: quell’edizione la vinse lo Slovan Bratislava davanti a una squadra russa (il Traktor Chelyabinsk, ndr), e ricordo che in porta c’era un tale che si chiamava Dzurilla, ed era un fenomeno. Finita la Spengler ci proposero di organizzare a Bellinzona, nella vecchia pista scoperta, un’amichevole tra lo stesso Slovan e l’Ambrì. Decidemmo di farlo rischiando un po’, siccome non smetteva di piovere. Invece cessò, e riempimmo lo stadio, riequilibrando la situazione grazie a quell’incasso».
Bisognerà attendere fino al 1998, prima che avvenga l’inaugurazione dello stadio coperto. «Quella della pista esterna è stata la disgrazia dei Gdt... Quando salimmo in Prima Lega avevamo il ghiaccio solo a fine ottobre, e alle prime partite all’inizio magari si riusciva a resistere, poi però poteva capitare di incassare dieci o anche dodici gol».
È dura, senza preparazione... «Certo, andavamo a Varese ad allenarci, ma mica si poteva farlo. E poi una volta quel giocatore non c’era e quell’altro non poteva. Il sogno di trovare un tetto l’abbiamo sempre avuto: io, che sono stato in politica, quand’ero municipale tra i miei obiettivi avevo quello di far sì che sorgesse un impianto coperto, e mi prendevano in giro. Ricordo una bella vignetta sul giornale del Carnevale, su cui ero ritratto sdraiato all’interno della pista coperta».
Un po’ tardi, ma alla fine il palazzetto è arrivato. «Da socialdemocratico – ricorda – sono dovuto giungere a dei compromessi con il Municipio: sono io che ho proposto di fare casa anziani e pista coperta tralasciando i parcheggi sotterranei in Piazza del Sole e all’ospedale. Che sono diventati privati, ma almeno i nostri vecchi hanno la casa anziani e noi abbiamo pista e piscina coperte».
Altri tempi, altro mondo. «Già. Ricordo un’intervista che mi fece un trent’anni fa Plinio Gabuzzi sul vostro giornale, dal titolo: ‘Per un violino di capra’. Si riferiva al ricordo di una trasferta a Prato Sornico all’inizio degli anni Settanta, per una partita contro il Lavizzara, il cui biglietto d’entrata era di cinquanta centesimi e dava pure diritto a partecipare alla lotteria, il cui premio, appunto, era quel violino».
Un altro hockey, pure. «Se vi dico che negli anni Ottanta, in Seconda Lega, sugli spalti della pista scoperta, che se c’era vento era una roba incredibile, magari c’erano cinquecento spettatori? La radio annunciava che ‘quella sera alla pista Turrita il Chiasso avrebbe reso visita ai Gdt’, mentre sui giornali, il Dovere per primo, si potevano ancora leggere le cronache delle partite».
In mezzo secolo di avventure, Giampiero Storelli ne avrà viste di cose. «Un aneddoto? Ai tempi, quando dietro le gabbie c’era ancora la luce rossa, ricordo che un nostro tifoso si metteva a fare il giudice di porta, e praticamente a ogni tiro dei nostri accordava il gol (ride, ndr). Naturalmente poi lo cacciavano, siccome gli arbitri dicevano che era inammissibile una cosa del genere. Che dire, invece, di ciò che successe quando nacque la figlia di Jean Cienciala, che era un nostro giocatore? A quei tempi era il direttore del supermercato Jelmoli in Piazza Indipendenza, e per festeggiare il lieto evento invitò la squadra a un aperitivo all’interno del negozio. Ebbene, conciammo il posto per le feste, e ci fu persino chi dormì in vetrina... Ne abbiamo davvero vissute di cose in quegli anni. Io ero poco più vecchio dei giocatori, ed eravamo davvero una bella, allegra compagnia. Credo sia anche per questo che il club è sopravvissuto».