Stasera i Gdt tornano a sfidare il Wetzikon nella semifinale di Prima Lega, ma per Lakhmatov la partita vera si gioca in Ucraina. ‘Telefono ogni 3 ore’
«Vitaly?». «Da!» risponde, in russo, all’altro capo del telefono Vitaly Lakhmatov. Quasi come se il quarantenne attaccante nato a Kiev stesse aspettando quella chiamata da chissà dove. Lui che ai tempi del professionismo ha girato le piste di mezza Svizzera (da Ambrì a Martigny, in B, passando per Langnau, Zurigo e Friborgo), ma da cinque stagioni veste i colori dei Gdt di cui è il capitano, e che stasera, sul ghiaccio del Centro sportivo di Bellinzona, andranno in pista a caccia di quel punto che servirebbe loro per portare il Wetzikon a gara 5, così da giocarsi tutto giovedì nella decisiva sfida che mette in palio la finale di Prima Lega.
Tuttavia, e non può che essere così, per Vitaly la partita vera è un’altra. Cittadino svizzero a tutti gli effetti dall’anno duemila («dal Mondiale juniores con la nazionale Under20», ricorda), e che quando arrivò in Ticino all’età di tredici anni, in compagnia di un altro ragazzino ucraino formatosi nell’Ambrì, Oleg Siritsa, venne adottato – per modo di per dire – dall’allora responsabile del settore giovanile biancoblù, Ambrogio Bontadelli, da giorni ormai trascorre le giornate col cellulare in mano, in fremente attesa di buone notizie dalla città in cui è nato. «Ogni due, tre ore ci sentiamo al telefono con mia mamma. Lei cerca di tranquillizzarmi e mi dice che va tutto bene, ma credo sia normale: è mia madre e io sono il suo unico figlio, è comprensibile che non voglia preoccuparmi. Io, però (aggiunge sospirando, ndr) sono molto preoccupato. Per i miei famigliari, i miei amici, la mia gente. Non fatemi parlare... Dicevano che eravamo fratelli... Ma ora non ho parole, davvero».
A emergere sarà soprattutto il sentimento d’impotenza... «Senz’altro. Da qui, cosa posso fare? Però cerchiamo di dare sostegno in qualche modo: ad esempio la mia ragazza sta tentando di raccogliere soldi per chi sul posto si trova in difficoltà. Non solo pensando a ciò che succede adesso, durante la guerra, ma anche per ciò che verrà dopo: c’è gente che perderà tutto e dovrà ricominciare daccapo».
In questi giorni ti saranno senz’altro tornati alla mente frammenti del passato in Ucraina, quand’eri magari bambino e muovevi i primi passi nel Sokol Kiev, società in cui giocò un altro personaggio ben noto alle nostre latitudini, Petr Malkov. «Sì, ci penso. E in quei posti, dove allora vivevo adesso cadono le bombe. Penso al negozio del barbiere in cui andavo a tagliare i capelli, a qualche centinaio di metri dove abitavo, che è stato colpito. Su Youtube certe cose non le vedi, mentre su Telegram trovi dei video che ti mostrano tutto».
Quand’è l’ultima volta che sei stato a Kiev? «Credo fosse fine ottobre. Ma c’ero stato anche lo scorso agosto. Torno regolarmente al paese, diciamo per due o tre settimane all’anno».
C’è da ipotizzare che nessuno, a quel tempo, avrebbe immaginato che si sarebbe potuti arrivare a tanto. «No. Di tensioni ce ne sono sempre, vale un po’ dappertutto, in fondo, ma tutti si dicevano ‘parlano, parlano’. Nessuno avrebbe potuto credere che nel 2022 potessero ancora succedere cose del genere. Sul serio, com’è possibile? Chi avrebbe mai pensato che sarebbero potuti andare contro i loro ‘fratelli’? Mio nonno era russo, io stesso sono russo per metà, ma cosa importa di dove sei o quale lingua parli (sospira, ndr). Però...».
Però? «Però sono contento che tutto il mondo abbia visto ciò che succede. Che ci siano delle sanzioni. Che la Svizzera, l’Europa e gli altri Paesi abbiano deciso di dare una mano alla mia gente, di cui io ora sono fiero. Tuttavia, vorrei che sia chiara una cosa: io non ce l’ho certo con il popolo russo. Voglio bene ai russi, ho tanti amici là. Il problema è Putin, e non sono d’accordo con chi la pensa come lui».
Per scacciare quelle terribili immagini dalla mente, Vitaly potrebbe sfogarsi pensando all’hockey. Invece con tutta probabilità dovrà saltare la sfida di stasera contro il Wetzikon, in cui i biancorossi di Nicola Pini si giocano un’intera stagione, dopo essersi infortunato nei quarti contro l’Oberthurgau. «Già, mi sono strappato un muscolo – racconta –. Non so, forse potrei provare a tornare sul ghiaccio per vedere se riesco almeno pattinare, ma non so se ho la testa per farlo. Devo rifletterci. Da una parte mi dico che sì, mi farebbe bene per pensare ad altro. Infatti in questi giorni dopo l’infortunio ero a casa senza poter giocare né lavorare ed è stata dura: sei lì, praticamente tutto il giorno con gli occhi incollati al telefono, e il resto del tempo lo passi su internet, leggendo le notizie su siti ucraini per capire cosa sta capitando davvero. Non riesci mai a staccare. D’altronde, il cervello è così: puoi dirti che andrà tutto bene, poi leggi qualcosa che ti colpisce. E ti preoccupi. E magari ti metti a piangere. Non lo auguro a nessuno».