Il nuovo portiere del Lugano parla del suo passato in Svezia e a Bolzano, agli ordini di Ireland e con Plastino come compagno di squadra
Eccolo, finalmente, Leland Irving. Sul ghiaccio della Cornèr Arena, nell’allenamento della vigilia dell’ultimo impegno della fase a gironi della Champions League, contro il Berlino, c’è anche il trentatreenne portiere canadese ingaggiato dal Lugano per dare man forte alla squadra fino al termine della stagione e, in subordine, sopperire all’infortunio di Niklas Schlegel. Tra un esercizio e l’altro si sofferma a parlottare con Raphael Herburger, che per l’occasione veste la casacca rossa di chi non è ancora recuperato dall’infortunio. Poi, a fine seduta, si intrattiene a parlare delle sue prime impressioni della realtà ticinese; una realtà, di cui aveva comunque già sentito parlare a Bolzano. Per bocca dell’ex difensore biancoblù Nick Plastino, con cui aveva diviso lo spogliatoio lo scorso campionato, e dell’ex tecnico del Lugano Greg Ireland, suo allenatore nelle ultime due stagioni in Alto Adige. «A Bolzano Greg era arrivato subito dopo aver lasciato le rive del Ceresio, e ci aveva parlato della sua esperienza – racconta Irving –. Lo considero un amico, di quelli che ogni tanto chiami per sapere come sta. Ovviamente in questi giorni l’ho sentito, e mi ha dato qualche dritta su alcuni buoni ristoranti della zona. Come tecnico, Ireland ha fatto grandi cose a Bolzano: al suo arrivo, ai primi di gennaio del 2020, ha saputo plasmare una formazione davvero competitiva; forse non da titolo, ma poco distante. Peccato che nel momento topico della stagione si sia messo di mezzo il coronavirus, cancellando il campionato... Con Plastino, nell’anno in cui abbiamo condiviso lo spogliatoio, è nata pure una bella amicizia. Abitavamo nello stesso stabile; entrambi eravamo lì con tutta la famiglia, dunque, inevitabilmente spesso il nostro rapporto andava oltre a quello sulle piste di hockey. Abbiamo trascorso parecchio tempo assieme, divertendoci non poco. Mi piacerebbe rivederlo una volta o l’altra ora che sono tornato più o meno in zona: spero che durante la stagione Nick possa venire una volta a farmi visita qui a Lugano, assieme alla famiglia».
Da Bolzano a Lugano, passando per la Svezia: chiuso lo scorso campionato con le Volpi altoatesine, Irving all’inizio di questa stagione è volato a Malmoe per vestire la maglia della squadra locale dei Redhawks, da dove il Lugano l’ha prelevato. «Col club svedese avevo firmato unicamente un contratto a breve termine, finché il loro portiere, Oscar Alsenfelt, non si fosse ristabilito dal suo infortunio. E ora eccomi qui». Subito catapultato a piedi pari nella nuova realtà: «Ho appena avuto il tempo di familiarizzare un po’ con la nuova pista e il ghiaccio venerdì, poi sabato mi sono ritrovato a fare da spettatore al derby: è stato qualcosa di incredibile; non credo di aver mai visto qualcosa di simile, un’atmosfera così, specie così presto nella stagione». E se lo dice uno che di piste e campionati ne ha girati parecchi, dalla Nhl alla Khl, passando per quelli finlandese e svedese, qualcosa vorrà pur dire. Da un derby all’altro: quello di sabato scorso non è stato che il secondo dei sei capitoli che prevede la stagione regolare, e venerdì andrà già in scena il terzo atto. «Non fatico a immaginare che l’ambiente sarà altrettanto elettrizzante: non vedo l’ora di vivere una partita così da protagonista sul ghiaccio».
Come mai la scelta di trasferirti a Bolzano, dopo aver calcato i campionati più prestigiosi del mondo? «Se mi guardo indietro, posso essere contento del mio percorso e di quanto ho fatto. Ho giocato sia in Nhl, sia in Khl... La famiglia, però, ridisegna le priorità: Bolzano era il posto ideale per viverci con tutta la famiglia. Lì, i miei figli hanno potuto andare a scuola e imparare il tedesco, visto che, pur essendo Italia, in Alto Adige si parla prevalentemente tedesco, e pure un po’ di italiano».
A Lugano, ad ogni modo, Irving sarà confrontato con una realtà particolare, con due giovani portieri rampanti, Fatton e Fadani, e uno, Schlegel, che una volta ristabilito dall’infortunio, farà di tutto per rivendicare il suo ruolo di titolare. Senza parlare del fatto che una volta recuperati Josephs e Carr, il portiere canadese dovrà pure fare i conti con la concorrenza degli altri stranieri per un posto in squadra. «Preferisco non curarmi delle cose che non dipendono direttamente da me. Ciò che posso fare è sfruttare questa opportunità e imparare quanto più possibile. Anche da Michael (Lawrence, l’allenatore dei portieri, ndr), che mi sembra una persona molto competente. In carriera ho giocato un po’ dappertutto, e maturato tante esperienze, e credo che il mio ruolo in squadra sarà anche quello di essere una sorta di mentore per i due giovani portieri. Ricordo quanto siano stati importanti personaggi così quando a mia volta ero alle mie primissime esperienze nel mondo del professionismo. La figura dell’allenatore dei portieri è essenziale, ma anche poter confrontare le tue impressioni con qualcuno che occupa la tua stessa posizione è importante».