Dalle avvisaglie del mese d’agosto a un finale col fiatone. Ma se questa stagione è fallimentare non vuol dire che lo sia anche tutto il resto
Venerdì 27 aprile 2018. In quella che allora si chiamava Resega, il Lugano perde gara 7 della finale. Un anno dopo, con un abbondante mese d’anticipo, i bianconeri salutano la corsa per il titolo. Battuti in quattro partite dallo Zugo già allo stadio dei quarti di finale. È il punto finale di una stagione nata male, proseguita tra alti e bassi sfociati nell’affannosa rincorsa a un posto nei playoff, prima dell’epilogo durato appunto la miseria di quattro partite. Troppo poche, soprattutto per una squadra che in dote si portava il titolo di vicecampione svizzero. E di poca consolazione è la consapevolezza, bene o male, di aver comunque fatto meglio dello Zurigo campione, che quest’anno ha clamorosamente toppato la corsa ai playoff.
Alla Cornèr Arena, nei primi minuti di domenica mattina (perché gara 4, iniziata sabato sera, ha sforato di qualche minuto la mezzanotte) si è materializzato un quadro i cui contorni si erano già intuiti in tempi assolutamente non sospetti. Lo stesso Ireland, addirittura a fine agosto, aveva avuto il presagio che qualcosa non tornasse nei conti della squadra dopo averla vista all’opera sulla ribalta della Champions League in quel di Pilsen. E il tecnico di Orangeville non le aveva mandate a dire, esternando il suo disappunto circa l’atteggiamento della squadra. Avvisaglie che, di lì a qualche settimana, avevano trovato puntuale conferma con le prime uscite di regular season. Cinquanta giornate che hanno riservato sostanzialmente più ombre che luci, soprattutto nella prima parte. E se il bilancio della stagione regolare è sufficiente (ma in ogni caso non buono), lo è comunque stato solo grazie alla sua seconda metà: da Natale innanzi i bianconeri hanno sensibilmente migliorato il loro rendimento, con una media di punti a partita addirittura da capolista, centrando l’obiettivo minimo (o di ripiego che dir si voglia) di staccare almeno il biglietto per i playoff. Col fiatone, e con un notevole dispendio di energie. Le stesse che, anche, sono forse venute un po’ meno quando si sarebbe trattato di cambiare marcia per davvero. L’epilogo è stato tanto amaro quanto breve: quattro partite e tutti in vacanza. Certo, dall’altra parte c’era uno Zugo che, anche alla luce di come ha superato i quarti di finale, ha tutti i numeri per sognare davvero in grande, ma non basta questa consapevolezza a mitigare l’amarezza per una stagione deludente.
Qualcosa andrà fatto, e qualcosa, appunto, la dirigenza intende fare. E per arrivare a conoscere quale sarà l’esito di tale ragionamento con buona probabilità non si dovrà pazientare a lungo.
In ogni caso, la parabola del Lugano è la riprova che, come spesso accade nello sport, il passo più difficile da compiere è quello della conferma da una stagione all’altra. Quel passo che, appunto, i bianconeri stavolta non sono riusciti a fare. Ma chi oggi taccia di fallimentare la gestione del club in questi anni deve stare attento a non buttar via il bambino assieme all’acqua sporca. Perché, al di là di tutto, in quattro stagioni il Lugano ha pur sempre raggiunto un quarto, una semifinale e due finali. Di cui una, oltretutto, persa soltanto al termine di gara 7.