Hockey

'I Rockets non sono una punizione, bensì un'opportunità'

Jan Cadieux e i suoi Ticino Rockets sono pronti all’avvio di un nuovo ciclo. In una realtà ricca di sfide, ma pure di interessanti possibilità

Finalmente tra poco si comincia... (Ti-Press/Golay)
8 settembre 2018
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L’estate sta finendo. «Finalmente tra un po’ si comincia» dice Jan Cadieux, trattenendo a stento l’impazienza. «Non vedo l’ora, specialmente pensando ai miei ragazzi» dice il trentottenne tecnico dei Ticino Rockets. «Ma sul perché in B si cominci una settimana prima rispetto alla A (il 15 invece del 21), non saprei cosa rispondere – aggiunge –. Se non che è una decisione presa dalla Lega. Certo che se mi metto nei panni dei giocatori, credo sarebbe stato meglio un debutto più tardivo: infatti, in tal caso saremmo potuti andare sul ghiaccio a metà agosto, anziché a fine luglio».’estate sta finendo. «Finalmente tra un po’ si comincia» dice Jan Cadieux, trattenendo a stento l’impazienza. «Non vedo l’ora, specialmente pensando ai miei ragazzi» dice il trentottenne tecnico dei Ticino Rockets. «Ma sul perché in B si cominci una settimana prima rispetto alla A (il 15 invece del 21), non saprei cosa rispondere – aggiunge –. Se non che è una decisione presa dalla Lega. Certo che se mi metto nei panni dei giocatori, credo sarebbe stato meglio un debutto più tardivo: infatti, in tal caso saremmo potuti andare sul ghiaccio a metà agosto, anziché a fine luglio».

Per occupare il tempo, si fa per dire, spazio a ben nove amichevoli (l’ultima delle quali è in agenda domani, alle 19.45, alla BiascArena, contro i tedeschi del Friburgo). E dato che fin qui è arrivato un solo successo, il bilancio contabilmente è tutt’altro che positivo. Visto che, però, nei test precampionato l’ultima cosa che conta è il risultato... «Si possono dire due cose, del preseason – spiega –. La prima è che, se togliamo la sfida di martedì con l’Evz Academy, nelle prime sette amichevoli siamo stati perfettamente in partita fino al 40’. Anzi: in tutte, tranne quella con il Lugano, siamo addirittura stati almeno una volta in vantaggio. Segno che qualcosa di buono c’è, infatti la squadra ha saputo reggere il confronto. Tuttavia, il problema è che quegli incontri alla fine li abbiamo persi. Significa che non siamo stati in grado di concretizzare tutto quel lavoro. E so che non è un problema fisico: il punto è che dobbiamo ancora crescere sul piano della maturità».Anche perché ora devi fare i conti con un gruppo che ha ancor meno esperienza rispetto a quello dello scorso anno. Ma dovrai pure integrare gli innesti (a loro volta giovanissimi) in arrivo da Davos: si parla di quattro posizioni occupate da una dozzina di elementi a rotazione. Certo che non dev’essere facile dover stravolgere tutto ogni volta... «C’è un’unica soluzione, per gestire situazioni del genere: bisogna essere chiari con i giocatori, e noi lo siamo stati sin dall’inizio. Loro sanno qual è la situazione e devono imparare a gestirla. Sanno che al mattino possono scendere in pista nel warmup e giocare nella tal linea, mentre sul mezzogiorno, al termine degli allenamenti delle nostre due società partner (ovvero Lugano e Ambrì, ndr), le cose cambiano al punto tale che, di fatto, quella linea non esiste più. È questa la nostra realtà, ed è una sfida che noi allenatori dobbiamo essere pronti a raccogliere giorno dopo giorno».In un contesto simile, però, come si fanno a innescare i famosi automatismi? Non è che, poi, tra le tue idee e quelle di Cereda e Ireland, chi continua a spostarsi da e verso Biasca finisca per non capirci più nulla? «Piuttosto, io questa cosa la vedo come un’opportunità. So bene che non è facile giocare a fianco di qualcuno che non sai né cosa fa né come pensa, figuriamoci poi se parliamo di un’unica partita. Tuttavia, valutando la cosa dal punto di vista formativo mi dico che è positivo che questi ragazzi imparino a adattarsi alle varie situazioni, immagazzinando quante più cose possibili sul piano tattico. Trovo che questa sia una chance per imparare qualcosa di nuovo, che andrà a beneficio del loro sviluppo, siccome in futuro avranno più informazioni da poter sfruttare».

Viste le premesse, inconsciamente non si rischia di eccedere in semplificazioni? «A Biasca abbiamo una nostra linea. Ovviamente non vogliamo complicare troppo la vita a chi arriverà, ma non possiamo neppure adattarci alle sue esigenze. Starà a loro fare un passo nella nostra direzione, fa parte del challenge». Forse perfino più di altri sport, l’hockey vive però anche di emozioni. E non sono sempre soltanto positive: pensiamo, ad esempio, a come dev’essersi sentito Loïc Vedova quando ha saputo che non avrebbe fatto parte della trasferta del Lugano in Champions, ed è dovuto salire a Biasca. A contatto con dei giovani, gestire situazioni del genere non dev’essere facile: «Il vero punto è che noi allenatori dobbiamo far capire ai ragazzi che siamo qui per loro. Poi, la domanda è interessante ma io toglierei il verbo ‘dovere’: infatti, se non fossero esistiti i Rockets, Loïc sarebbe rimasto in Ticino ad allenarsi da solo, o con un paio di compagni e il preparatore atletico. Quella sì, che sarebbe stata una punizione. Al contrario, avere l’opportunità di giocare una partita in B non può esserlo. E quel giorno che i giovani avranno capito questo, avranno fatto un passo avanti». Già, la famosa maturità: «Ma è anche una questione di mentalità. Io vedo cosa succede, quando in campionato affrontiamo gli altri farmteam. Infatti quando Grasshopper ed EvzAcademy giocano contro di noi vogliono batterci a qualsiasi costo, mentre noi invece scendiamo in pista con in testa un’idea del tipo ‘ecco una partita in cui possiamo finalmente fare noi il gioco’. Questo è un altro gradino che dobbiamo salire». 

Il presidente Davide Mottis: ‘Prima eravamo un progetto, ora una realtà’

C’era una volta il progetto Rockets. «Ora, invece, siamo un’importante realtà del nostro hockey», dice Davide Mottis. Nel giorno in cui tiene simbolicamente a battesimo la terza stagione del farmteam di Ambrì e Lugano in Lega Nazionale B. «Ed è la più importante, oltre che la più difficile – spiega  il presidente –. Perché chiude un ciclo di tre anni. Che, tra virgolette, era un ciclo di prova, per saggiare le nostre possibilità, in qualche modo. E la Lega ci ha dato la possibilità di farlo». C’era una volta il progetto Rockets. «Ora, invece, siamo un’importante realtà del nostro hockey», dice Davide Mottis. Nel giorno in cui tiene simbolicamente a battesimo la terza stagione del farmteam di Ambrì e Lugano in Lega Nazionale B. «Ed è la più importante, oltre che la più difficile – spiega  il presidente –. Perché chiude un ciclo di tre anni. Che, tra virgolette, era un ciclo di prova, per saggiare le nostre possibilità, in qualche modo. E la Lega ci ha dato la possibilità di farlo». Tre anni di ‘immunità’, in attesa che l’anno prossimo (a meno che non capiti qualcosa nel frattempo) la relegazione venga reintrodotta anche nel campionato cadetto. «E vogliamo farci trovare pronti all’appuntamento. Dopo aver consolidato l’organizzazione avvalendoci dell’esperienza di Sébastien Reuille, a cui abbiamo affidato il ruolo di sport general manager, siamo giunti alla conclusione che il numero dei ragazzi in arrivo dai settori giovanili purtroppo non è sufficiente a garantire un livello tale da permetterci di costruire un futuro. Così abbiamo raccolto l’invito dello staff tecnico ad accrescere la concorrenza interna». È a quel punto che sul carro è salito pure il Davos, che fornirà ai Ticino Rockets un difensore e tre attaccanti per l’intera stagione. «Posti che verranno occupati da una dozzina di giocatori, a rotazione, anche tenendo conto degli impegni scolastici di questi ragazzi» spiega coach Jan Cadieux. Che ha un obiettivo in testa, oltre naturalmente a quello formativo, che è poi scopo ultimo della società basata alla BiascArena: «Tornare a giocare la Coppa Svizzera». Per riuscirvi, la sua squadra dovrà chiudere il campionato tra le prime dieci classificate.Nell’attesa, a parlare sono altre cifre. La più importante è il numero di giocatori usciti dai Rockets e che hanno trovato posto in Lega nazionale nelle prime due stagioni: ben dodici in A e due in B. Per un club che quest’anno può vantare un budget al rialzo (1,55 milioni di franchi, di cui 450mila sotto forma di prestazioni da parte di Ambrì e Lugano), a cui naturalmente non è estraneo l’aumento della quota dei diritti tv