Dopo tante delusioni accumulate sulle strade di casa, il monegasco ha finalmente rotto l'incantesimo, imponendosi nel Gp di Montecarlo
Alla fine, il ranocchio è diventato principe. Charles Leclerc ha finalmente vinto il Gran Premio in scena tra le viuzze di Montecarlo. Monegasco per nascita, al contrario di tutti gli altri piloti trapiantati nel Principato, fino a domenica, nella corsa che si svolge tra le strade dov’è di casa, Leclerc non era salito nemmeno sul podio per un’indicibile serie di sfortune. Nel 2021 prese la pole position al sabato, ma finì per rompere un semiasse nell’ultimo giro buono e non prese parte alla gara. Nel 2022 fu penalizzato da una folle scelta strategica del muretto Ferrari, che lo riportò ai box per il cambio gomme nel momento sbagliato. Nel 2023 la pioggia sparigliò le carte, come spesso succede a Monaco, a tal punto da concedere una mano buona, oltre a Leclerc, persino a Fernando Alonso su una Aston Martin poco competitiva. Alla fine il trofeo finì, nemmeno a dirlo, tra le mani di Max Verstappen. Domenica è arrivato il bacio della principessa Charlene di Monaco, oltre alle lacrime del principe Alberto. Leclerc si è tolto un peso: oltre alla cabala sfortunata relativa al Gran Premio di casa, aveva da sfatare anche una serie negativa di dodici pole position al sabato, che non era stato capace di trasformare in vittorie. Il monegasco è stato l’unico, negli ultimi quindici Gran Premi, capace di contendere la partenza dal palo a Max Verstappen, ma il ruolino di marcia dell’olandese alla domenica è stato ben più proficuo.
Proprio Verstappen si è detto arrabbiato, poi annoiato. La sua Red Bull non va e il campione del mondo, davanti ai microfoni, non le ha mandate a dire: «Sfido chiunque a fare di più con questa macchina». Una tirata, alla maniera diretta che hanno gli olandesi, per mettere la squadra sulla corda. La monoposto austriaca è un oggetto estremamente complesso, forse più di ogni altra monoposto. Per trarre il massimo della prestazione aerodinamica, deve viaggiare a un’altezza da terra bassa e costante. Per questo i tecnici impongono ai piloti un assetto meccanico rigidissimo, che si sposa male con le asperità degli asfalti più sconnessi. A Monaco, come a Imola una settimana fa, i cordoli sono alti quasi quanto i marciapiedi, e quando ci salta sopra, la Red Bull si scompone in maniera eccessiva. Verstappen guadagnava nei tratti veloci del rettilineo box e del tunnel; perdeva nel misto. Ha provato a metterci una pezza con il suo talento, ma il saldo è rimasto comunque negativo. L’altro pilota, Sergio Perez, che a Imola aveva mancato il Q3, la parte finale delle qualifiche a cui sono ammessi i migliori dieci, qui a Montecarlo si è fermato addirittura nel Q1.
Monaco è una pista da compromessi, dove la coperta per le monoposto è sempre corta. La macchina migliore, per le caratteristiche del tracciato, al sabato l’aveva forse la McLaren, con un anteriore preciso e un’aerodinamica che funziona bene alle basse velocità. Oscar Piastri ha fatto il suo dovere, prendendosi la prima fila. Lando Norris, invece, non ha mai trovato ritmo per tutto il weekend. La Ferrari non era perfetta e Leclerc ha dovuto metterci del suo. L’asse anteriore non era gradevole come in altre occasioni: poco prima di scendere in pista per l’ultimo tentativo, Leclerc ancora chiedeva regolazioni all’ala anteriore. Al contrario, il posteriore è stato finalmente perfetto, ed è andato incontro alla guida del monegasco con un grande spunto in trazione. Il resto ce l’ha messo il pilota: su un giro da un minuto e dieci, Leclerc ha dato un decimo e mezzo al secondo, quasi tre decimi al compagno di squadra Carlos Sainz.
Fin qui la cronaca delle qualifiche, chi prende la pole a Monaco ha il 70% di possibilità di vittoria. È in pratica l’unico posto dove la gara si decide prima dell’accensione dei semafori. Al via c’è stato il caos: Kevin Magnussen si è infilato all’interno di Perez, sulla salita verso il Casinò, innescando una carambola che ha messo fuori gara, oltre sé stesso e il messicano della Red Bull, anche il compagno di squadra Nico Hulkenberg. Prima della bandiera rossa, per la pista inondata di pezzi di carbonio e dei rottami di tre auto, Esteban Ocon ha fatto in tempo a saltare in arcione al compagno di squadra Pierre Gasly, non una novità per i due puledrini francesi. Il congelamento della corsa ha permesso ai primi quattro in classifica – i due ferraristi e i due della McLaren – di passare dagli pneumatici a mescola media a quelli duri. Senza più l’obbligo della sosta, i quattro hanno formato un trenino per tutta la durata della corsa, settantasette giri in fila indiana, con distacchi che sono cresciuti solo nel finale. Leclerc, Piastri, Sainz e Norris si sono marcati come ciclisti in fuga a pochi passi dall’arrivo. Nessuno voleva prendersi un rischio: basti pensare che, nelle retrovie della corsa, subito dopo il cambio gomme, Lewis Hamilton ha fatto segnare il giro più veloce in 1’14”4, quando il passo dei quattro di testa era di ben quattro secondi più alto.
Il primo giro, stracolmo di emozioni, ha anestetizzato il resto della corsa. Valtteri Bottas ha illuso con un recupero dal fondo dello schieramento che, dopo un paio di guizzi, si è fermato alla tredicesima posizione. Guanyu Zhou è stato, senza tema di smentita, il peggior pilota in pista, non solo per aver chiuso in ultima posizione, ma anche per la semplicità con la quale è stato passato, su una pista dove difendersi sarebbe un gioco da ragazzi. Sauber delude, e dire che un anno fa gli uomini di Inwil aspettavano per tutto l’anno gare come questa: Monaco, Ungheria e Messico erano i circuiti a cui la Sauber chiedeva punti.
Tra due settimane la Formula 1 farà una puntata in Canada, pista storicamente favorevole alla Ferrari. Poi, al ritorno in Europa, un filotto di gare che sorridono alle caratteristiche della Red Bull: Spagna, Austria e Gran Bretagna. I punti di differenza tra Verstappen e Leclerc sono solo 31, un po’ più di quelli assegnati da una vittoria. Il tempo ci dirà se assisteremo a una rivoluzione in rosso o una restaurazione in blu.