I variegati tifosi inglesi e olandesi nei minuti che precedono la semifinale continentale in cartellone a Dortmund
Nottingham (Forest), Coventry (City), Manchester (City, senza United), Sunderland, Burnley, tutti nomi più o meno noti tra gli appassionati di calcio. Ma anche Reading, Macclesfield e Port Vale, luoghi e squadre per intenditori e gente che si è persa, negli anni, nei meandri delle serie minori con Football Manager, preferendo scalate virtuali alla Premier League davanti a uno schermo agli esami universitari, alle uscite con gli amici; insomma, alla vita vera.
Non mancano posti del tutto sconosciuti come Adderbury e Bideford oppure noti per via di sport aristocratici che non necessitano di palle che rotolano, come il tempio sacro dell’ippica legato alla famiglia reale britannica, Ascot (United, che infatti nello stemma, diviso in diagonale, ha per metà un campo di calcio e nell’altra metà l’ippodromo).
Sono le cartoline al contrario dei tifosi inglesi, che al posto di spedire in famiglia un rettangolo di carta firmato con sopra una foto del posto che stanno visitando, fanno l’esatto contrario e mostrano a chi c’è da dove sono arrivati. Bandiere su bandiere, tutte simili, con sopra la Croce di San Giorgio e dentro nomi di città e club, tributi a chi non c’è più e messaggi indecifrabili se non si è del pub del quartiere.
Tutta questa tappezzeria ha cambiato il volto del centro di Dortmund, bisogna dire la verità, migliorandolo, anche perché bastava poco. Le stesse bandiere erano state appese un po’ ovunque su pali, lampioni, ombrelloni dei bar e in tutto quello a cui si poteva agganciare una bandiera, anche a Düsseldorf, qualche giorno fa, quando gli inglesi hanno giocato contro la Svizzera.
E anche qui come a Düsseldorf c’è polizia ovunque, anche perché gli olandesi, a differenza degli svizzeri, non godono di buona reputazione, in particolare in questi ultimi anni.
A passare tanti giorni dentro a un Europeo poi va a finire che incroci la stessa gente, come Rütger, l’olandese con la giacca più olandese che si possa immaginare (formaggi, mulini a vento, olandesine, zoccoli, mucche, birre e tulipani), incontrato in stazione a Düsseldorf mentre dalla sua Venlo, al confine con la Germania, andava verso Monaco a vedere l’ottavo di finale contro la Romania. Io stavo andando a Lipsia a seguire Austria-Turchia. Mi lasciò ridacchiando e dicendo “magari ci si rivede più avanti, tanto mi riconosci subito”. E infatti l’ho riconosciuto subito – in mezzo a maglie arancioni, qualche simil-Gullit con la parrucca e un tizio con una forma di Gouda in testa – fuori da una birreria del centro, la Wenkers am Markt, la stessa in cui – avevo notato – costa più un boccale d’acqua (del rubinetto, 2 euro e 90) che uno di birra (2 e 60). Boccale sì, perché niente bicchieri qua, siamo pur sempre nella Ruhr.
Quando lo avvicino mi dice, “l’altra volta ho dovuto attraversare mezza Germania, questa volta sono a un’ora di auto”. Ma l’eventuale finale è a Berlino. “Per la finale mi attrezzerei anche se fosse a Tokyo”.
Sotto la Croce di San Giorgio del Nottingham Forest ho ritrovato anche il tifoso inglese che a Düsseldorf pareva uscito da un film di Ken Loach e a quanto pare non è ancora rientrato: sdentato, ubriaco, la stessa maglia nera tecnica che sembra uscita da Decathlon, ma con il marchio Lacoste, a contrastare con il cappellino demodé con la scritta “Fiat South Coast”. Biascica, esattamente come a Düsseldorf, e il mio inglese – ammetto a me stesso – non è abbastanza buono per capire cosa dice. Piccola consolazione, chiedo a un inglese (di Portsmouth) cosa sta dicendo e mi risponde che non ha capito nemmeno lui.