Siamo andati a visitare il Corpo militare che dal 1506 difende il Papa e che a differenza dei giocatori della Nati può ancora girare a Roma a testa alta
C’è una Svizzera che a differenza della nazionale di Vladimir Petkovic, può camminare a testa alta a Roma. Stiamo parlando della Guardia Svizzera Pontificia, che dal 1506 difende – magari Sommer e compagni avessero fatto altrettanto con la propria porta mercoledì sera – il Papa e la sua residenza, all’interno dei confini della Città del Vaticano nonché durante i suoi viaggi apostolici. Qualche contatto giusto e alcuni biglietti di calcio e hockey procurati alle Guardie in visita in Ticino ci aprono le porte della Santa Sede e più precisamente della caserma adiacente alla Basilica di San Pietro e che non perdiamo l’occasione di visitare guidati dal Sergente Maggiore Guillaume Favre. Ci rendiamo subito conto dell’organizzazione e del rigore svizzeri che regnano all’interno di quello che è a tutti gli effetti un ordine militare, composto da 135 guardie provenienti da tutta la Confederazione (requisito fondamentale, così come essere uomo, avere tra i 19 e i 30 anni, celibe, aver completato un apprendistato o conseguito la maturità e aver svolto la scuola reclute nell’Esercito elvetico), come testimoniano le bandiere dei 26 cantoni appese nell’atrio, sotto le quali è indicato il numero di militi originari dalle varie regioni attualmente in servizio (sotto quella ticinese leggiamo un 7).
«Ci teniamo molto alla nostra identità svizzera, è quello che ci accomuna – ci racconta Guillaume, classe 1987, originario di St. Barthélemy (sì come Wawrinka) e nel Corpo ormai da 13 anni –. Ognuno ha le sue ragioni per essere qui ma l’orgoglio per la nostra Patria ci lega tantissimo e fa sì che viviamo come in una grande famiglia. Per quel che mi riguarda, ricordo che da piccolo ho visto una Guardia Svizzera in televisione e ho chiesto a mia mamma chi era quel clown, lei mi ha spiegato velocemente ma a me è rimasta la curiosità, così dopo l’adolescenza e la scuola reclute, mi sono informato meglio e ho deciso di candidarmi per tre motivi: sono appassionato della vita militare, volevo conoscere una nuova lingua e una nuova cultura e infine la fede, sono arrivato qui in cerca di risposte, alcune le ho trovate, altre non ancora. Ed eccomi ancora qui, sposato con un’americana conosciuta proprio qui a Roma e fiero di far parte di questa istituzione».
Il Sergente del «più piccolo e antico esercito in attività al mondo» ci accompagna attraverso il refettorio («fino a 20 anni fa le cuoche erano pure svizzere, poi Giovanni Paolo II ha affidato l’incarico a cinque suore polacche, creando un interessante scambio culturale»), ci mostra le iconiche divise a strisce verticali blu e gialle «in onore della famiglia della Rovere di Papa Giulio, iI fondatore della Guardia, mentre il rosso ricorda la famiglia De Medici di Papa Clemente VII, salvato dalle Guardie durante il Sacco di Roma nel 1957») composte da oltre 150 pezzi di tessuto per un totale di 6 kg, la cappella dei Santi Sebastiano e Martino «che così silenziosa e immacolata una volta al suo interno ci fa dimenticare di essere a Roma e ci riporta in Svizzera» e infine il famoso Passetto, il passaggio segreto che collega il Vaticano con Castel Sant'Angelo attraverso il quale durante il citato Sacco di Roma i 42 militi elvetici sopravvissuti (su 189) all’assalto delle truppe di Carlo V d’Asburgo misero in salvo il Papa.
Diciamo che una sorta di “Passetto”, avrebbe fatto comodo anche a Xhaka e compagni mercoledì all’Olimpico. E la chiudiamo qui.