Fresca del suo quinto posto ai Campionati svizzeri, la promessa ticinese Linda Zanetti spera di partecipare alla prossima edizione dei Mondiali
A una trentina di chilometri dalla conclusione la corsa si infiamma: assicuratasi gli sprint intermedi, Linda Zanetti lascia (a sorpresa) il plotone e, accompagnata dall’olandese Femke Beuling, scatta coraggiosamente in fuga. Il margine lambisce i trenta secondi ma, imboccato da poco l’ultimo giro, l’ex pattinatrice su ghiaccio viene riassorbita dal gruppo e la portacolori dell’Uae Development Team rimane da sola. Poco male. Già, perché la 21enne di Camignolo mette in risalto tutte le sue qualità. E conquista la prima gara della carriera fra le professioniste, la classica del Nord Epz Omloop van Borsele corsa nei pressi di ’s-Heerenhoek. Dalla mountain bike alla strada in sella a una bicicletta da corsa. Linda ha accantonato la scrivania accaparrandosi un posto nel circuito del World Tour nel momento più ideale, quando il ciclismo femminile prometteva grandi prospettive di crescita. Un percorso iniziato la passata stagione grazie alla figura di Rubens Bertogliati, direttore sportivo. Da ‘apprendista’ la ticinese ha incamerato esperienza, finché nel mese di gennaio è passata sotto l’egida della squadra formativa. «Non è stato facile elaborare questa scelta perché all’inizio pensavo di essere stata declassata e di non essere all’altezza delle migliori».
Linda non si è tuttavia mai fatta condizionare da nulla o nessuno, dimenticando questa delusione a suon di risultati. «A metà stagione posso essere soddisfatta di questa scelta: la finalità era di crescere ulteriormente e imparare senza l’assillo della pressione, che, chiaramente, emerge nella squadra principale. È una delle migliori formazioni al mondo, perciò è normale che pretenda dei frutti. Qui, invece, c’è la possibilità di maturare». Il farm team della franchigia emiratina concentra infatti la propria attenzione sullo sviluppo delle giovani atlete, offrendo loro più palcoscenici in cui esprimersi. E, chiaramente, «l’esperienza aiuta a essere più in forma e performanti». Spagna, Croazia e Italia, con la cronometro del Trofeo Ponente in Rosa conquistata proprio dalla Uae. La stagione è iniziata un po’ in sordina, poi, come un motore diesel, la 21enne è riuscita a carburare... «Sono consapevole di aver bisogno di macinare qualche chilometro prima di ingranare. Di prendere il ritmo. C’è ancora molto da migliorare, ma sono comunque soddisfatta del mio rendimento». Nel panorama femminile non esiste la categoria under 23, questa tappa intermedia permette quindi di prendere le misure con il mondo del professionismo: «Si passa dalle gare junior a correre spalla a spalla con le migliori del mondo. Lo scalino è molto grande. Questa squadra di sviluppo permette di rendere meno scioccante il passaggio, ad esempio partecipando a competizioni di alto livello, ma spesso non del World Tour». La struttura della franchigia è paragonabile a quella maschile. Ogni ragazza ha a disposizione un allenatore dedicato alla preparazione e all’analisi delle prestazioni in modo da arrivare «il più in forma possibile alle differenti corse».
E, finora, sembra essere fruttuoso. La 21enne in stagione ha infatti conquistato pure il Gp del Ticino e la seconda frazione del Gracia Orlová (in Cechia), senza contare il secondo posto alla Vuelta Andalucia. «Nei Paesi Bassi è stato molto emozionante perché la vittoria non era assolutamente cercata e aspettata: non ero la leader della squadra, ma a una trentina di chilometri dalla fine sono uscita dal gruppo e nessuno è più stato capace di prendermi. A distanza di qualche giorno ero incredula. Non riuscivo a crederci. Da quel momento ho preso maggiore confidenza, e consapevolezza delle mie capacità, però, ripeto, c’è tanto da migliorare» La strada imboccata sembra promettente. Corse di più giorni o classiche, quale dunque quella preferita? «Quest’anno ho capito di apprezzare di più i percorsi un po’ ondulati, fatti di saliscendi. Non tutti piatti, ma nemmeno da scalatrici pure. Diciamo un po’ mossi, penso di essere adatta alle corse a tappe abbastanza brevi, anche se purtroppo quest’anno fra cadute, e altro, non sono ancora riuscita a completarne una e avere una buona classifica generale. Non mi dispiacciono neppure le classiche, le gare di un giorno». Questa malleabilità è da ricondurre ai primordi in mountain bike, sui tracciati sterrati. «La multidisciplinarità ricopre un ruolo molto importante. Non sembra, ma anche in sella a una bicicletta da corsa è necessaria la tecnica: devi essere veramente capace a guidare il mezzo in modo da salvarti in qualsiasi situazione un po’ critica. A cronometro, inoltre, aiuta il fatto di essere abituati a uno sforzo breve ma prolungato; sono un po’ più facilitata rispetto alle mie compagne che, magari, non sono inclini a sostenere un’ora a tutta. È stato un percorso che mi ha lasciato qualcosa, ma ora l’ho tralasciato». Non è stato facile neppure imparare a pedalare a stretto contatto con le avversarie rispetto all’essere a ruota. «Nelle prime gare ho fatto un po’ fatica perché il livello è davvero molto alto. Da fuori non sembra, ma si è vicine. Molto vicine l’una all’altra. Ora ho preso la mano e non ho nessun problema, anzi riesco a muovermi in gruppo con abbastanza disinvoltura».
L’anno scorso Linda ha partecipato alla seconda edizione del Tour de Suisse, accompagnata lungo il percorso da amici e familiari. «Essere tutto l’anno all’estero e poi gareggiare in casa è qualcosa di indescrivibile». Un’emozione sperimentata di recente anche ai Campionati svizzeri, corsi in un clima mesto a causa della prematura scomparsa del rossocrociato Gino Mäder. «È stato un weekend particolare: giovedì era in programma la cronometro, ma è stata posticipata a data ancora da stabilire (a fine estate); sabato, invece, c’è stata una pedalata sino al velodromo in onore di Gino. C’erano molte persone e un’aria abbastanza dimessa. Fra i presenti è comunque prevalsa la voglia di correre e cercare di superare questo momento difficile. Non è stato facile». Un quinto posto fra le élite non è da buttare. «Sì, anche perché l’ultimo periodo è stato abbastanza difficile. Dopo il secondo posto alla Vuelta Andalucia mi sono dovuta ritirare a causa di un incidente con la vettura della giuria. Mi sono fermata una quindicina di giorni, senza allenamenti. È stata una gara molto dura, ma sono contenta di come si è conclusa viste le premesse iniziali». Marlen Reusser ed Elise Chabbey, su tutte, in Svizzera le atlete sono poche ma «fare risultato è difficile. Le prime quattro dei Campionati sono tutte fortissime, inserite in squadre World Tour». Durante la corsa Linda ha avuto modo di scambiare qualche parola con la bernese, impostasi con due minuti sulla concorrenza. Una ragazza, confida, molto gentile. Da gregario di lusso a capitano di una delle squadre più forti del panorama femminile. E pensare che, sino a qualche anno fa, la 31enne concentrava tutta la sua attenzione sugli studi in medicina. «Io, Marlen ed Elise siamo partite assieme in fuga riuscendo a riprendere la battistrada, poi nell’ultimo giro non ce l’ho più fatta a tenere il loro ritmo. Mi sono staccata e ho chiuso da sola, mentre le altre (esclusa la bernese, ndr) hanno duellato per il secondo posto». Linda era comunque la più giovane in lizza. «Ho fatto un gran passo avanti, sto crescendo e spero un giorno di arrivare al loro livello». E, chissà, magari già il Campionato nazionale under 23 in programma domenica potrà risaltare le sue caratteristiche. «Una settimana più tardi sarò impegnata in una gara in Belgio prima di osservare un periodo in altura a Livigno. La speranza è poi di essere selezionata da SwissCycling per i Mondiali di Glasgow». Il programma è serrato, Linda avrà poco tempo a disposizione per rilassarsi.