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Strapotere ultrà, quando la curva fa paura

Diciannove arresti, quaranta indagati. L’inchiesta sui metodi mafiosi dei tifosi di Inter e Milan mette in luce i rapporti oscuri con le società

La curva del Milan
(Keystone)
4 ottobre 2024
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I provvedimenti del Tribunale di Milano sono scattati lunedì 30 settembre, agli sgoccioli di un turno di campionato vittorioso sia per il Milan che per l’Inter, e alla vigilia degli impegni in Champions League: sedici persone in custodia cautelare, tre agli arresti domiciliari, quaranta indagati per reati gravi come associazione a delinquere (talvolta con metodo mafioso) ed estorsione.

Questo il nucleo dell’inchiesta del Tribunale di Milano sulle tifoserie organizzate di Inter e Milan e su alcuni dei loro capi, accusati di ricavare denaro e altri vantaggi dalla loro posizione con metodi non esattamente concorrenziali. Ai margini dell’inchiesta, una serie di parole chiave che sembrano fatte apposta per fare friggere gli algoritmi dei motori di ricerca e dei social: il ministro Matteo Salvini e il rapper Fedez sono i due nomi più noti che, pur non indagati né direttamente coinvolti nell’inchiesta, rimbalzano sui giornali per le frequentazioni con alcuni degli inquisiti.

La sudditanza dei club

Secondo le ordinanze di custodia cautelare, i tifosi estorcerebbero alle società biglietti per le partite, da rivendere poi a prezzo molto maggiorato. Il giro di affari illeciti si allargherebbe fino alla gestione dei parcheggi dello stadio e alla vendita delle bibite durante le partite. Le società e i loro dirigenti non sono indagati, ma si troverebbero secondo i magistrati in una condizione di “sudditanza” rispetto agli ultras.

In una delle intercettazioni più clamorose e imbarazzanti, il capo ultrà Marco Ferdico parla direttamente con l’allenatore nerazzurro Simone Inzaghi, chiedendo altri biglietti per la finale di Champions League 2023 oltre ai 1’000 che – si desume dall’intercettazione stessa – ha già ricevuto e smistato. Inzaghi gli risponde che ne parlerà coi principali esponenti della società: il vicepresidente Javier Zanetti, l’amministratore delegato Beppe Marotta e il club manager Riccardo Ferri. Nelle ordinanze non c’è la risposta finale di Inzaghi, ma da un’altra intercettazione risulta che il capo curva abbia infine ricevuto altri 500 biglietti.


Keystone
Simone Inzaghi tirato dentro per la questione biglietti

Ferdico e un altro degli arrestati, Renato Bosetti, fino a poco tempo fa condividevano la reputazione di capi della curva interista con Antonio Bellocco, rampollo dell’omonimo clan della ’ndrangheta, e Andrea Beretta, che un mese fa aveva ucciso proprio Bellocco e per questo si trova in carcere.

Il quadro che emerge, al di là delle responsabilità individuali, è di strapotere su società particolarmente docili da parte degli ultras, capaci di minacciare l’astensione dal tifo in finale di Champions League per ottenere tagliandi da rivendere, o di pretendere un colloquio diretto col difensore Milan Skriniar quando questi nel 2023 rifiuta di rinnovare il contratto, per poi compiacersi al telefono nel raccontarsi che il calciatore “tremava per la paura”.

Il patto di non belligeranza

A dispetto di ogni logica di appartenenza, dalle carte emerge anche una sorta di alleanza (definito “patto di non belligeranza”) tra le tifoserie rivali di Inter e Milan, alla vigilia del derby in semifinale di Champions League del 2023. L’accordo prevedeva una sorta di assicurazione per gli ultras della squadra che avrebbe perso la partita, ai quali sarebbe comunque stato destinato un certo numero di biglietti per la finale da cui trarre profitto.

Ed è proprio dalla tifoseria del Milan che emerge il personaggio che fa da tratto di congiunzione tra l’inchiesta e alcuni personaggi celebri. Tra gli arrestati infatti compare il nome di Luca Lucci, noto alle cronache politiche per una celebre foto con Matteo Salvini e a quelle di costume per i rapporti con diversi musicisti e rapper, tra cui i rapper Fedez ed Emis Killa, la cui casa è stata perquisita con l’esito del sequestro di 40mila euro in contanti, armi, coltelli e tirapugni.


Keystone
Curva nord dell’Inter al centro delle indagini

In custodia cautelare anche Christian Rosiello, che proprio di Fedez è uno dei bodyguard. Agli atti c’è una telefonata del rapper – vero nome: Federico Lucia – a Lucci, nel tentativo di distribuire la sua bevanda energetica, la ‘Boem’, all’interno dello stadio. In sintesi Fedez propone una percentuale in cambio di un’entratura a Lucci, che accetta e rilancia: “Se vuoi mi muovo anche con l’Inter”.

Tra gli arrestati c’è anche il consigliere regionale lombardo del centrodestra Manfredi Palmeri, accusato di aver indirizzato la gestione dei parcheggi di San Siro verso l’imprenditore Gherardo Zaccagni (ai domiciliari) in cambio di favori.

Si apre uno squarcio su un demi-monde di personaggi che si muovono tra le curve e agenzie di autisti o di personal security, attraverso le quali si procacciano affari e stabiliscono, al contempo, contatti e amicizie con personaggi influenti della politica e dello spettacolo.

La cronaca nera

I fatti di cronaca che coinvolgono leader delle curve o di gruppi organizzati sono all’ordine del giorno, e spesso si tratta di avvenimenti clamorosi: nel 2019 a Roma fu assassinato con un colpo di pistola Fabrizio Piscitelli detto “Diabolik”, leader degli ‘Irriducibili’ della Lazio, mentre solo due anni fa una coppia di killer in moto aveva freddato sulla strada di casa il capo ultrà dell’Inter Vittorio Boiocchi. La notizia arrivò durante Inter-Sampdoria, e gli ultras procedettero a un incredibile “sgombero” per lutto della Curva Nord, costringendo a uscire dallo stadio a partita in corso famiglie e bambini e cacciando con calci e spintoni chi si rifiutava.

“La passione sportiva appare mero pretesto”, scrive ancora il gip Domenico Santoro, tratteggiando uno scenario in cui gli indagati sono riusciti a “trasformare San Siro in un territorio franco, fuori da ogni controllo di legalità”. Non è una novità, in Italia, che le curve degli stadi siano luoghi dove viene confinata la marginalità, con la funzione di valvole di sfogo per la violenza sociale altrove repressa e talvolta perfino di bacini elettorali.

Ciò che colpisce è un vero e proprio capovolgimento di senso rispetto a come gli ultras, perfino nella demonizzazione, venivano intesi fino a relativamente pochi anni fa. In Italia il fenomeno del tifo organizzato esplode negli anni Ottanta e in un certo senso rappresenta una palliativo al cosiddetto “riflusso nel privato” e allo scolorimento delle passioni politiche dei decenni precedenti. Il movimento ultras in qualche modo cristallizza in una società postideologica le posture dell’estremismo politico degli anni Settanta, dalla complicata tassonomia dei gruppi al culto degli striscioni, fino allo sfogo degli scontri tra gruppi e con la polizia. Nasce però anche come movimento radicalmente antagonista, che contrappone localismo, radicalismo e un’attività sfacciatamente antieconomica come seguire una squadra di calcio su e giù per lo stivale ai (dis)valori di un “mondo moderno” spesso confusamente inteso ma profondamente detestato.


Keystone
A volto coperto allo stadio

Questa inchiesta ci consegna invece dei capi ultras di un nuovo fenotipo, criminali nei mezzi ma fondamentalmente integrati nei fini. Questi ultras-bagarini, questi ultras-parcheggiatori, questi ultras-paninari in fondo non fanno altro che desiderare una fetta dei giganteschi profitti del business a cui sono contigui, e prendersela coi metodi e nelle forme alla loro portata.

Lessico da film

Perfino il lessico e l’immaginario sono perfettamente accomodati allo spirito dei tempi, a bagno nel tiepido liquido amniotico della cultura pop: gli intercettati fanno il verso a “Romanzo Criminale”, Lucci è soprannominato “Il Joker”. Secondo molti osservatori la contiguità coi rapper e altre figure pubbliche è una forma di legittimazione, simile a quella tradizionale dei camorristi con i neomelodici, da perseguire perfino a rischio di esporsi eccessivamente e favorire gli inquirenti.

Resta da capire la posizione delle società e dei loro esponenti, fin convenientemente presentati dai media come vittime e non indagati ma comunque oggetto di un cosiddetto “procedimento di prevenzione”, una misura soft che non prevede sanzioni ma l’obbligo di dimostrare in un contraddittorio di aver interrotto i comportamenti criminogeni, in questo caso i rapporti con gli ultras.

Inzaghi, Zanetti, Skriniar e Calabria sono stati convocati dai magistrati come testimoni, e dovranno dare la loro versione sui contatti che hanno avuto con gli ultras.

“Tutto quello che so sulla moralità e sui doveri degli uomini lo devo al calcio” diceva Albert Camus, e probabilmente da questa storia avrebbe tratto preziosi insegnamenti.

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