Scatta la Serie A numero 123. Tutti a caccia dell'Inter con i nuovi corsi di Juventus (Motta), Milan (Fonseca) e Napoli (Conte). E occhio all'Atalanta
Ci siamo: si parte oggi 17 agosto 2024 (ore 18.30: gradi previsti, oltre 30) e si arriva al traguardo domenica 25 maggio 2025. In mezzo una corsa lunga 281 giorni, 38 giornate e 20 squadre. In palio lo Scudetto, il premio più ambito in Italia, almeno se giochi a calcio. Che Serie A 2024/25 dobbiamo aspettarci? Alcuni appunti pratici e novità: è l’edizione numero 123, il calendario anche questa volta sarà asimmetrico, cioè con un girone di ritorno con un ordine diverso rispetto a quello di andata; c’è un solo turno infrasettimanale e quattro soste per la Nazionale. Spariscono i raccattapalle, sostituiti da dei conetti a bordo campo dove saranno poggiati i palloni (l’idea è di limitare le perdite di tempo, permettetemi di dubitare) e arriva anche il sesto cambio, ma solo in caso di trauma cranico. Per gli amanti della filatelia: il sorteggio del campo sarà eseguito dall’arbitro con una moneta speciale coniata per l’occasione. Se invece siete nostalgici del calcio della domenica alle 15, ho una brutta notizia per voi: a pieno regime ogni giornata sarà spezzettata su nove diversi turni di partite, spalmati su quattro giorni, dal venerdì al lunedì. Le televisioni pagano, le televisioni ottengono.
Ora veniamo al campo, a come si presentano le squadre al via, a chi può vincere, chi perdere, a chi è cambiato (molti) e chi è rimasto uguale (pochi). Dopo tre stagioni in cui vincitori e vinti si sono alternati in maniera democratica (Milan campione d’Italia 2021/22, Napoli 22/23 e Inter 23/24), l’Inter parte come forte favorita a ripetersi. Come si dice in questi casi: lo dicono anche i bookmaker, che spesso ci vedono lungo. La squadra di Inzaghi ha semplicemente dominato lo scorso campionato, mostrando una maturità tattica che raramente si è vista in Italia e una superiorità tecnica straripante. Ha mantenuto praticamente intatta la rosa (rinnovando anche il contratto di Lautaro Martinez) e in più puntellato la panchina. A parametro zero sono arrivati Mehdi Taremi, per migliorare e allungare il reparto offensivo, forse unico punto debole, e Piotr Zieliński, per aumentare ancora di più la qualità del centrocampo e offrire a Inzaghi ancora più opzioni, in una stagione che sarà particolarmente lunga, visto il nuovo formato della Champions League che appesantirà un calendario già pesante. «Siamo l’Inter, non sbaglieremo» è stato il claim di Mkhitaryan, a intendere che anche i calciatori sentono di doversi ripetere, alla faccia di Paganini.
Chi proverà a intromettersi? Difficile dirlo, visto che alle spalle dell’Inter le squadre di vertice hanno cambiato tutte e molto. Anzi, sono ancora in fase di cambiamento, perse nei meandri del mercato e della ricostruzione. Difficilmente ne vedremo il vero volto prima di settembre inoltrato. Il Milan, secondo l’ultima stagione, è chiamato a mostrare di poter stare almeno vicino ai rivali cittadini. A maggio ha dato il benservito a Pioli per accogliere in panchina Paulo Fonseca e cambiare filosofia. Non la prima scelta, ma una buona scelta: l’allenatore portoghese arriva da una esperienza positiva in Francia al Lilla e conosce la Serie A, grazie al suo passato alla Roma. Fonseca proverà a costruire un Milan che recupera il pallone in alto e se lo tiene, meno diretto di quello di Pioli, ma più fluido, organizzato. Dal mercato finora sono arrivati Morata per l’attacco, Fofana per il centrocampo e Pavlovic per la difesa. Ibrahimovic, che oggi ricopre un ruolo da Senior Advisor della società, con la solita umiltà ha detto che «Dio creò il mondo in 7 giorni, noi siamo al quarto...». Vedremo: c’è interesse.
La Juventus invece è nel pieno di una rivoluzione quasi culturale: cacciato in malo modo Allegri dopo lo sbrocco con l’Atalanta, in panchina è arrivato Thiago Motta, che la scorsa stagione col Bologna ha creato un piccolo gioiello (arrivando fino in Champions League). A Torino sperano finalmente di vedere un calcio divertente e rilassato, una squadra in grado di risollevare il morale dei tifosi e ricostruire quell’aura di invincibilità che manca da qualche anno. L’inizio però non è stato dei migliori: la Juventus ha perso qualche amichevole di troppo, con i giocatori in evidente difficoltà nel recepire le nuove disposizioni tattiche. Il calcio di Thiago Motta non è semplice: richiede continue rotazioni, difensori che attaccano, attaccanti che difendono, scambi di posizioni, scelte difficili. Servirà tempo. A preoccupare però sono anche le scelte ortodosse sul mercato: i giovani Soulé e Huijsen ceduti sull’altare delle plusvalenze, Chiesa fuori dal progetto e l’inseguimento a Koopmeiners e Nico Gonzalez che brucia tempo ed energie (e soldi). Interessanti però gli arrivi a centrocampo di Douglas Luiz e Khéphren Thuram (figlio di Lilian e fratello di Marcus). L’esordio di lunedì col Como sarà forse la partita più seguita della Juventus da anni: la curiosità di capire che squadra sarà è alle stelle.
Ha cambiato anche il Napoli, che ha scelto Antonio Conte per rimettersi in carreggiata dopo una stagione tremebonda. Sceglierlo è scegliere un regime militare, fatto di intransigenza, sudore e conferenze stampa al vetriolo. L’allenatore ha già chiesto rinforzi e disciplina, ma il mercato stenta a decollare: si attende la cessione di Osimhen (che da tempo ha le valigie pronte) e l’approdo a Napoli di Lukaku, ma è un affare difficile. Per il resto sarà interessante vedere come Kvaratskhelia e il nuovo allenatore legheranno: le ali dribblomane e un po’ anarchiche non si incastrano bene col gioco di Conte, ma perdere per strada anche il georgiano sarebbe un delitto.
Se invece cercate certezze, l’Atalanta è la vostra squadra. Gasperini è rimasto, la rosa è più o meno la stessa e dopo l’incredibile vittoria dell’Europa League l’obiettivo è fare il meglio possibile in campionato. Quanto meglio? Il sogno sussurrato è lo Scudetto, ma avere costanza di rendimento per 38 giornate è la sfida impossibile per una squadra come l’Atalanta. Inoltre l’infortunio di Scamacca (rottura del legamento e di altre parti del ginocchio) e l’ammutinamento di Koopmeiners hanno già messo in salita la stagione. In ogni caso rimane una squadra con un’idea di calcio precisa e accattivante, forgiata sull’uno contro uno e l’intensità di una batteria di quattrocentisti (per rimanere al tema Olimpiadi).
Continuando a scorrere questa ipotetica griglia di partenza, continuano i cambi e i dubbi: la Roma si è tenuta Daniele De Rossi, subentrato a Mourinho la scorsa stagione, e ora sta cercando di costruirgli una rosa più adatta al suo calcio associativo. Sono arrivati Dahl, Le Fée, Soulé e Dovbyk (capocannoniere dell’ultima Liga), ma in queste ore i tifosi tremano per il destino di Dybala in odore di Arabia Saudita. L’argentino è stato il centro nevralgico del gioco dei giallorossi, nonché uno dei calciatori più belli e risolutivi visti in Serie A nell’ultimo decennio. Sarebbe una perdita non solo per la Roma, ma anche per il campionato nel suo complesso, se almeno pensate al calcio come a una forma d’intrattenimento e non a una seduta dal dentista. Anche sull’altra sponda del Tevere c’è movimento: Tudor, che aveva finito la scorsa stagione in panchina al posto di Sarri, ha salutato tutti e al suo posto l’allenatore della Lazio è diventato Baroni, reduce da una bella salvezza col Verona. Hanno lasciato Luis Alberto e Immobile, praticamente l’anima tecnica e caratteriale della Lazio e un nuovo ciclo è pronto a partire. Con molte incognite però, anche se Lotito sbandiera i suoi acquisti, che sono molti ma tutti da testare.
So che a questo punto sembra uno scherzo, ma anche la classe media della Serie A è stata tutto un cambiare, scambiare, chiudere vecchi cicli e aprirne di nuovi. La Fiorentina ha lasciato andare Italiano (finito al Bologna al posto di Motta) per prendere dal Monza Palladino (con il Monza che ha preso Alessandro Nesta, scelto da Galliani per il suo passato al Milan). Con lui sono arrivati Colpani, De Gea (!), Kean, Richardson (occhio, se ne parla bene) e Gudmundsson. Li cito perché mi sembra un buon mercato e la Fiorentina una possibile sorpresa, se cercate una sorpresa. C’è invece meno fiducia che il Bologna riesca a ripetersi: non è tanto, o almeno non solo, il cambio di allenatore, quanto la cessione di Zirkzee e Calafiori, due degli eroi della scorsa stagione, comprati a suon di milioni dalla Premier League. Alcune cose non cambiano mai.
Ci sarebbe ancora tanto da dire sulle squadre che partecipano alla Serie A 2024/25. Il calcio italiano negli ultimi anni non è stato certo il più ricco o quello con gli allenatori più innovativi o i giocatori più forti, ma ha sicuramente mostrato una vitalità fatta di proposte tattiche peculiari, calciatori che fioriscono in contesti più o meno impensabili e tifoserie sempre appassionate. Anche tra le neopromosse, per dire, c’è grande interesse: il Parma dei giovani, il Venezia con la sua rosa hipster, soprattutto il Como, che ritorna in Serie A dopo 21 anni e che per l’occasione si è regalato un Fabregas (2 Europei, 1 Mondiale, più tanti altri trofei) in panchina e un Raphaël Varane in campo (1 Mondiale, 4 Champions League, 3 Liga, ma è già infortunato). I lariani saranno una delle storie più interessanti della stagione: hanno due proprietari ricchissimi (i fratelli Hartono, indonesiani che hanno fatto fortuna producendo sigarette ai chiodi di garofano), una gestione sportiva spagnola e una manageriale all’inglese. Se sarà un successo, lo scopriremo strada facendo.
Non che tutto vada bene: vedere il calcio allo stadio o in tv è sempre più costoso, gli stadi sono spesso fatiscenti, la Lega Calcio pensa solo all’interesse di alcuni presidenti e non a rinnovare un prodotto a cui manca appeal all’estero e in cui i soldi sono sempre meno (e meno soldi = meno calciatori forti). Sono problemi atavici che forse non verranno mai risolti, almeno prima di trovarsi sul baratro, ma il baratro è vicino. Come molte cose all’italiana, anche la Serie A è un misto di contraddizioni, un posto dove il vecchio e il nuovo si mescolano, come il basso e l’alto, il bello e il brutto, il ricco e il povero.
Ogni tanto, comunque, ci si diverte pure: provare per credere.