Calcio

Inter e Inzaghi, un trionfo in crescendo

Partiti senza i favori del pronostico, i nerazzurri col tempo hanno trovato compattezza, bel gioco e Scudetto: soprattutto per merito del loro tecnico

In sintesi:
  • Smembrata dopo le operazioni di mercato della scorsa estate, la squadra nerazzurra all'inizio del campionato non godeva certo dei favori del pronostico
  • Col passare dei mesi, però, grazie al lavoro del tecnico Simone Inzaghi il gruppo si è compattato e il gioco è andato di volta in volta migliorando
  • Alla fine, la squadra del portiere elvetico Yann Sommer ha primeggiato in tutte le classifiche, aggiudicandosi uno Scudetto più che meritato; unico rimpianto, l'eliminazione dalla Champions League per mano dell'Atletico Madrid
23 aprile 2024
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Non poteva essere più luminosa la seconda stella dell’Inter. Campionato dominato col piglio del tiranno e Scudetto conquistato in casa del nemico nel derby cittadino, come non era mai accaduto prima. Cosa c’è di più bello? L’Inter arriva al suo ventesimo titolo di campione d’Italia lasciandosi dietro il Milan fermo a diciannove e lo fa con un percorso quasi netto: 27 vittorie, 5 pareggi, una sconfitta. Miglior attacco e miglior difesa, con ampio margine su tutte le altre. Soprattutto la sensazione di una squadra che gioca leggera, che in campo diverte e si diverte.

La genesi del successo

Sarebbe esagerato parlare di vittoria sorprendente, eppure non è così scontata come ci appare oggi nella sua nitidezza. Certo, l’Inter si affacciava alla stagione 2023/24 da vicecampione d’Europa, capace di fare partita pari con il mefistofelico Manchester City di Guardiola, ma era anche una squadra reduce da uno scialbo terzo posto in campionato, che sarebbe stato il quarto senza la penalizzazione della Juventus. Soprattutto aveva mostrato una cronica fragilità nelle competizioni lunghe, incapace di essere costante come si richiede a chi vuole vincere lo Scudetto. In Serie A le sconfitte erano state ben dodici, alcune delle quali contro squadre nettamente inferiori come Spezia, Empoli e Monza. Un peccato originale che il suo allenatore Inzaghi si portava dietro da anni e che sembrava irrisolvibile.

Era stato proprio lui in estate, però, a rivendicare l’obiettivo Scudetto, mentre tutte le altre erano impegnate a nascondersi: «Il Dna dell’Inter è la vittoria. Lo Scudetto è il grande obiettivo. Abbiamo il dovere di cercare la seconda stella». All’Inter spettava allora di fare la corsa sul Napoli, teoricamente favorito – per quanto visto l’anno prima –, ma anche scottato dalla scioccante separazione da Spalletti; sulla Juventus, che è sempre la Juventus, e che al terzo anno di Allegri sembrava pronta a tornare all’assalto del titolo, e sul Milan, la squadra che, almeno sulla carta, aveva fatto il mercato più interessante. In estate va così: le previsioni si fanno più sugli acquisti e le cessioni che non sul percorso. Il mercato dell’Inter invece era stato movimentato, ma interlocutorio nella sua somma: fuori colonne come Handanovic, Onana, Skriniar, Gosens, Brozovic, Dzeko, Lukaku; dentro Sommer, Bisseck, Pavard, Frattesi, Cuadrado, Carlos Augusto, Arnautovic e Thuram.

Buona entrata in materia

La rosa, quindi, era meglio o peggio dell’anno scorso? Era questa la domanda che aleggiava ai blocchi di partenza della Serie A. La risposta era arrivata quasi subito: nelle prime tre giornate l’Inter centra tre vittorie, segna otto gol e ne subisce zero. Inzaghi si toglie subito un sassolino dalla scarpa: «Fino a tre settimane fa eravamo scarsi, adesso ci dicono che dobbiamo vincere pure l’Europeo. Ma non ci tiriamo indietro», dice.

La giornata successiva lo aspetta il Milan, anche lui a punteggio pieno e ben lanciato. In Italia è ancora estate, la gente sta rientrando negli uffici, si gira ancora con le camicie arrotolate e l’Inter dà una prima spallata al campionato. Vince 5 a 1, è un massacro nel punteggio e nel gioco. Per i nerazzurri tutto sembra girare nel verso giusto: Calhanoglu davanti alla difesa è ormai al livello dei migliori al mondo, Mkhitaryan ringiovanisce invece di invecchiare, Lautaro è diventato un centravanti spietato e Marcus Thuram si scopre il suo perfetto compagno d’attacco, grazie alla fisicità e a un’intelligenza tattica rara. Il suo gol è la copertina della vittoria, un destro scagliato all’incrocio dopo aver scherzato Thiaw nell’uno contro uno.

Tenere il passo dell’Inter diventa una corsa a rompersi l’osso del collo. Il Napoli, che non ha digerito il cambio in panchina, molla in fretta; il Milan subisce il tracollo psicologico dell’ennesimo derby perso. Resta allora la Juventus di Allegri, che si aggrappa alla sua solidità difensiva e all’assenza delle coppe per rimanere in scia. L’Inter segna tanto e subisce pochissimo, perde col Sassuolo, una sconfitta inaspettata che però rimarrà l’unica in campionato (fin qui), e pareggia col Bologna, ma per il resto è uno schiacciasassi. Alla 13ª giornata c’è il primo scontro diretto con la Juventus e sceglie di non rischiare. Subisce il gol di Vlahovic, pareggia subito con Lautaro e poi addormenta la partita, accontentandosi di un 1 a 1 che lascia tutto aperto.

Il duello con la Juventus

Si arriva a dicembre con Inter e Juventus separate da due punti. Ne nasce una danza delle parti a tratti snervante. La squadra di Inzaghi gioca prima e allunga, poche ore dopo quella di Allegri torna sotto; la settimana dopo è la Juventus a sorpassare, prima di subire il controsorpasso dell’Inter. La rivalità tra queste due squadre, senza essere geografica, è storica e avvelenata, accende gli animi come non si vedeva da tanto tempo. Se in campo l’Inter vince giocando sulle punte (3 a 0 al Napoli, 4 a 0 all’Udinese, 5 a 1 al Monza), la Juventus invece quasi si trascina, difendendosi coi denti, segnando gol nel recupero; fuori dal campo Allegri cerca di trascinare gli avversari in un neanche tanto sottile gioco psicologico.

L’allenatore della Juventus ricorda ogni volta che può che loro giocano per il quarto posto, mentre l’Inter deve vincere lo Scudetto. Hanno speso un sacco di soldi, è il loro obiettivo da anni. Inzaghi guarda e tace, è lui quello che non può fallire: perdere anche questa volta lo infilerebbe inevitabilmente nella cerchia dei perdenti. È anche per questo che l’Inter, per una volta, sacrifica un po’ il resto: in Coppa Italia esce ai quarti, in Champions League fa turnover pur di non mollare nulla in campionato, il risultato è un secondo posto nel girone che sarà sanguinoso col senno del poi. A gennaio vince la Supercoppa italiana in Arabia Saudita, battendo Lazio e Napoli nel miglior momento di forma. Torna in Italia e trova la Juventus sopra, lo scontro diretto è dietro l’angolo. Allegri punzecchia ancora: «Se guardiamo l’età, noi dovremmo essere Sinner e loro Djokovic. Però non so, perché se no poi la prendono male… permalosi…».

Il messaggio implicito è che poi è Sinner ad aver vinto, anche se quell’altro era Djokovic. Inzaghi non risponde neanche questa volta, ha deciso che non è il microfono il posto per battere la Juventus. Lo è il campo, il 4 febbraio, il giorno dello scontro diretto. È una sfida Scudetto atipica: l’Inter, che è davanti, potrebbe coprirsi e minimizzare i rischi, la Juventus dovrebbe invece attaccare. Succede però il contrario. La squadra di Inzaghi gioca come su una nuvola, con sicurezza e decisione. Avvolge la squadra di Allegri e la stritola, crea diverse occasioni. Il gol decisivo arriva verso la fine del primo tempo ed è una giocata indicativa della differenza tra le due squadre oggi: una guidata dal talento creativo, l’altra da una forza reattiva uguale e contraria. Pavard, Barella e Darmian si associano sulla fascia destra, Dimarco crea lo spazio con il solo movimento. Sul pallone in mezzo di Barella, Thuram costringe Gatti a un goffo autogol. Game, set e match.

La vittoria delle idee

Dopo per l’Inter è stato come viaggiare in prima classe. Il vantaggio sulla Juventus si è dilatato di giornata in giornata, le partite sono diventate prove di forza, di superiorità. Nel 2024, contando tutte le competizioni, sono arrivate tredici vittorie consecutive. Sono vittorie reboanti: 4 a 2 alla Roma, 4 a 0 all’Atalanta, 4 gol anche a Salernitana e Lecce. Se il vantaggio è striminzito, come con la Fiorentina, ci pensano Sommer a parare un rigore o Pavard a salvare un gol già fatto.

Quando sembra tutto anche troppo perfetto arriva il passo falso, nel ritorno degli ottavi di Champions League contro l’Atletico Madrid. L’Inter si fa trascinare ai rigori e perde. È un brutto colpo, che per qualche settimana oscura quanto di buono hanno fatto Inzaghi e i suoi calciatori. Ma fermarsi lì, al rigore sparato da Lautaro sopra la traversa, come ha provato a fare più di qualcuno, sarebbe come guardare coi paraocchi una volta affrescata con finezza.

La vittoria di lunedì contro il Milan certifica tutto il valore di questa squadra, che aveva iniziato la stagione con la voglia di prendersi la seconda stella e che se l’è presa con largo anticipo, in un finale teatrale. Vincerla così è la ciliegina sulla torta, un regalo ai tifosi, perché – certo – vincere è bello, ma farlo in faccia all’altra metà di Milano è meglio.

Subito dopo il fischio finale è iniziata la festa, che durerà per settimane. Ci sarà tempo per celebrare la personalità e le parate di Sommer, la qualità di Bastoni e Pavard, la duttilità di Darmian, la geometrica precisione di Calhanoglu, i polmoni e la testa di Mkhitaryan, la plastica onnipresenza di Barella, la forza di Thuram, l’inevitabilità di Lautaro e tutto il resto. Il primo nome da citare è però quello di Simone Inzaghi, che con questo primo Scudetto mette a tacere le voci che lo volevano come un allenatore monco; sì bravo, ma incapace di reggere alla pressione, di vincere qualcosa che non fosse la Coppa Italia.

«È stato magnifico. La salita sta per finire, adesso vogliamo vedere il panorama», ha detto Inzaghi due giorni fa, con un senso di sollievo che è anche difficile quantificare. È lui che ha costruito questa squadra in tre anni, che non si è fatto problemi a cambiare interpreti perché l’importante è non cambiare le idee dietro. Inzaghi ha reso l’Inter una squadra fluida ed elettrizzante, ricca di rotazioni, scambi di posizione, difficile da arginare. Una squadra raffinata tatticamente, in qualche modo, concedetemi il termine, poco italiana nella mentalità e nella proposta di gioco e che però oggi è la migliore in Italia. Sembra poco, ma, vi assicuro, non lo è.