Domani nei quarti di Coppa Svizzera contro il Lugano in panchina ci sarà il presidente Christian Constantin. È rottura tra Super Mario e i tifosi
Come sono lontani gli anni Novanta, durante i quali l’Fc Sion aveva messo in bacheca quattro Coppe Svizzere e due titoli, con la clamorosa doppietta nella stagione 1996-97, griffata in panchina da Alberto Bigon, uno capace, qualche anno prima, di portare il Napoli di Maradona alla conquista del secondo Scudetto. E come sono lontani gli anni di Geiger, Wicky, Brigger, Bonvin, Rey, Brégy (...), quando il Tourbillon batteva al ritmo di un cuore vallesano. È trascorso un quarto di secolo e, nonostante la ferrea presidenza di Christian Constantin, al timone una prima volta dal 1992 al 1997 e poi dal 2003 ad oggi, per la principale realtà sportiva vallesana il nuovo millennio ha portato più delusioni che gioie: dapprima la retrocessione al termine della stagione 2001-02, alla quale hanno fatto seguito quattro campionati in Challenge League, poi un costante barcamenarsi nelle mediocrità di una Super League che negli ultimi 16 anni ha visto i vallesani chiudere 11 volte nella seconda metà della classifica e solo tre tra le prime quattro. Il Sion è un club intento a barcamenarsi in una crisi che invece di trovare uno sbocco sembra voler peggiorare anno dopo anno: gli ultimi quattro campionati si sono conclusi con un settimo, un nono e due ottavi posti, sempre a flirtare con una possibile retrocessione.
E quello che si appresta a ricevere il Lugano nell’ambito dei quarti di finale di Coppa Svizzera non è soltanto un club in crisi, è letteralmente nel caos. Mercoledì in panchina ci sarà proprio Christian Constantin, il quale prenderà il posto di Fabio Celestini. Ma il vodese non è stato esonerato, il presidente lo ha sospeso per una settimana e i risultati delle prossime due partite – ambedue contro il Lugano – determineranno il futuro dell’ex tecnico bianconero: due buone prestazioni sotto la guida di Constantin, starebbero a significare che lo spogliatoio ha smesso di seguire le indicazioni del tecnico, ragion per cui la sua permanenza al Tourbillon risulterebbe difficilmente difendibile. E diventerebbe l’ennesima vittima di un presidente che in Svizzera non conosce eguali per la voracità con la quale divora i suoi allenatori. Nei 25 anni della sua presidenza, ne ha cambiati qualcosa come 48, in media quasi due a stagione. Senza contare gli interimati da lui stesso assicurati. E il muro dei 50 è lì, pronto a cadere, nonostante l’imprenditore vallesano abbia annunciato la sua uscita dal club per il 2024, a seguito di una sentenza del Tribunale di Friborgo, per la quale dovrebbe pagare delle tasse arretrate per alcune violazioni delle regole di sponsorizzazione. La sua partenza, secondo lo stesso Constantin, metterà fine al calcio professionistico in Vallese, "perché non credo vi sarà qualcuno disposto a rilevare il club".
Se i problemi con i quali il Sion si trova confrontato fossero soltanto quelli di un allenatore sulla graticola e di un presidente seduto in panchina, società e spogliatoio potrebbero dirsi ampiamente vaccinati. Le magagne nelle quali da troppi anni si contorce il club vallesano vanno ben oltre le scelte azzardate o completamente errate in merito alla conduzione tecnica. C’è una crisi d’identità che da anni sta logorando lo spogliatoio. Con l’apertura indiscriminata dei mercati, il Sion ha perso quell’anima vallesana che lo aveva sempre contraddistinto. Certo, la sentenza Bosman ha rappresentato un punto di svolta per tutte le squadre europee, tuttavia il Sion più di altri club era sempre stato fortemente legato al territorio, con un nocciolo duro cresciuto all’ombra o nei dintorni del castello (o comunque di provata fede romanda). Da anni, purtroppo, il Tourbillon è diventato un vero porto di mare, con arrivi e partenze che a ogni stagione si contano a decine. Di certo non le prerogative migliori per costruire uno zoccolo duro capace di dare continuità nel corso degli anni. Se a questo scenario si aggiungono elementi tossici per l’ambiente, alla fine non risulta molto difficile capire le ragioni delle difficoltà nelle quali si dibatte la società.
L’ultimo caso, il più clamoroso ma anche il più prevedibile, è quello di Mario Balotelli, arrivato in pompa magna la scorsa estate nel tentativo di rilanciare una carriera rovinata dagli eccessi di chi non è mai stato in grado di gestire la fama e il denaro piovutigli addosso dopo un inizio di carriera folgorante. E così, "balotellata" dopo "balotellata", l’ex Super Mario è scivolato da Inter, Manchester City e Milan a Brescia, Monza e Adana Demirspor, prima di approdare in Vallese con l’aura della grande star che però da troppo tempo non era più. E i comportamenti al di sopra delle righe non sono mancati nemmeno nella pacata Svizzera. Eccessi che, tuttavia, sono stati inversamente proporzionali al suo rendimento in campo. In Super League ha disputato 12 partite, soltanto due volte è rimasto in campo 90’ e ha messo a segno cinque reti, tre delle quali dal dischetto. Statistiche striminzite per un giocatore che avrebbe dovuto fare la differenza, ma la differenza non l’ha fatta. Di lui si è parlato soprattutto fuori dal contesto prettamente calcistico, per le serate in discoteca, per l’attacco via social contro la Swiss Football League, accusata di essere mafiosa, corrotta, ingiusta e incapace, o per il dito medio mostrato ai tifosi del Basilea: delle sei partite in programma nel 2023, Balotelli ne ha trascorse la metà in tribuna, due per squalifica, una per sospensione interna (per essere arrivato in ritardo all’allenamento di rifinitura). Gli atteggiamenti da prima donna troppo spesso tenuti fuori e dentro il campo, alla fine hanno fatto imbestialire i tifosi vallesani, i quali nella sconfitta di sabato con il San Gallo hanno apertamente preso di mira l’attaccante italiano. Quando Celestini lo ha tolto dal campo al 70’, dalla tribuna è partito il ritornello "suda la maglia o vai via", mentre a fine partita la Kop vallesana ha appeso alla rete di protezione una maglia numero 45 (quella di Balotelli) e le ha dato fuoco. Un gesto di rottura definitiva tra un giocatore che non ha mai mostrato con i fatti ciò che di lui si diceva a parole e una tifoseria che rimane tra le più fedeli della Svizzera, nonostante troppi anni di frustrazioni e delusioni. Difficilmente il rapporto tra Balotelli e i tifosi (ma anche tra il giocatore e la società) potrà essere ricucito nei mesi a venire. A meno di un’inversione di tendenza nel rendimento in campo, a giugno l’attaccante italiano lascerà il Vallese e nei libri di storia il suo nome verrà ricordato come uno dei più grandi flop di mercato dell’era Constantin.
È dunque un Sion completamente allo sbando quello che si appresta ad affrontare il Lugano prima in Coppa, poi in campionato. E quella di mercoledì rischia di essere la partita della svolta: un successo applicherebbe un po’ di mastice tra le crepe di spogliatoio e società, una sconfitta rischierebbe di far colare a picco l’intero bastimento.