Dopo un anno difficile sul piano personale e deludente in campo, Ignacio Aliseda è tornato sereno: ‘Voglio mostrare al Lugano tutte le mie qualità’
Mattia Croci-Torti, il concetto lo ha espresso in più di un’occasione: per lui, Ignacio Santiago Aliseda ha tutte le carte in regola per diventare un rinforzo invernale dell’ultima finestra di mercato, al pari di Jhon Espinoza. Con un anno di ritardo, aggiungiamo noi, ma meglio tardi che mai. E intanto, nell’attesa di capire se l’occhio del tecnico bianconero ha visto lungo anche questa volta, l’attaccante argentino è reduce dal gol firmato contro il Grasshopper e che ha preservato il Lugano dalla prima sconfitta del nuovo anno. Un gol, per altro di ottima fattura, con un dai e vai chiesto a Zan Celar, che per il porteño cresciuto nel Defensa y Justicia ha il sapore della ripartenza. Si tratta del secondo centro nelle ultime quattro partite, dopo quello infilato allo Zurigo lo scorso 6 novembre, come a voler dar ragione alle aspettative del Crus… «Quella appena trascorsa per me è stata una settimana davvero buona, durante la quale mi sono sentito in piena fiducia. La rete contro il Gc è stata importante per ritrovare tutta l’autostima della quale ogni calciatore ha bisogno e, nel contempo, per far capire alla squadra che sono in grado di giocare a questo livello e di fare la differenza. Siamo un gruppo sano e in questi giorni ci siamo preparati con scrupolo alla sfida di domenica a Winterthur che dobbiamo assolutamente vincere se vogliamo continuare a flirtare con il secondo posto in classifica».
"Nacho" Aliseda ha impiegato praticamente un anno intero per trovare la sua collocazione, nello spogliatoio come in città. Sin qui, infatti, la sua esperienza nel calcio svizzero ha lasciato poche tracce, ma infortuni vari e problemi personali hanno frenato la sua crescita, fino a metterlo ai margini della squadra… «È stato un anno difficile, adesso ho superato tutti i problemi e sono determinato a dare il meglio di me stesso a favore della squadra. In questi mesi ho imparato ad accettare i consigli che mi vengono dati e a non più chiudermi a riccio. Sto attraversando un momento personale positivo, tuttavia so che rimane molta strada da percorrere prima di poter mostrare al pubblico bianconero il vero Aliseda».
I dubbi e le incertezze di Aliseda trovano la loro genesi molto prima dell’arrivo in Ticino. Il trasferimento da Buenos Aires a Chicago, ancora 19enne, era stato digerito a fatica, tra una nuova cultura da conoscere, la lontananza dalla famiglia e, in particolare, da mamma Lorena e un lockdown da gestire in solitaria causa l’impossibilità di spostamenti e viaggi... «In questi mesi il principale cambiamento è avvenuto nella mia testa. Da Chicago avevo trasferito a Lugano tante preoccupazioni che non ero in grado di gestire e perciò le portavo anche in campo, con un logico effetto negativo sul livello del gioco. A un certo punto mi sono detto che si imponeva un cambiamento capace di focalizzare tutta la mia energia sul calcio: non volevo lasciare il ricordo di un giocatore poco impiegato, dal rendimento scarso e troppo spesso infortunato. Anche i numerosi stop fisici, a mio modo di vedere, erano una diretta conseguenza della situazione mentale nella quale mi trovavo. Andavo in campo con la testa concentrata su cose tutte mie e non riuscivo a focalizzarmi al 100% su quella che è la mia professione. In un primo tempo si trattava di una situazione della quale faticavo a rendermi conto e per la quale non ero in grado di trovare una soluzione. Ero convinto che tutto andasse bene, ma in effetti non era così e un giorno ho aperto gli occhi. Ho capito che c’era qualcosa che non funzionava e ho deciso di rivolgermi a uno psicologo affinché mi desse qualche consiglio e mi aiutasse a ritrovare me stesso. Cosa che è riuscito a fare, per cui adesso mi sento davvero un "Nacho" diverso».
Quando ha rivelato a mamma Lorena che si sarebbe trasferito a Lugano, a una distanza praticamente doppia rispetto a quella che separa Buenos Aires da Chicago, la reazione è stata più positiva di quanto ci si potesse immaginare... «Mia mamma ha sempre lasciato che le decisioni le prendessi io. Ciò nonostante, quando ho saputo della possibilità di venire a Lugano ne ho subito parlato con lei e non è stata affatto dispiaciuta, perché nonostante la Svizzera fosse più lontana rispetto all’Illinois, sarebbe stato molto più semplice venire a trovarmi qui che non a Chicago. Io desideravo avere più contatti con la famiglia, volevo che mi vedessero giocare, cosa impossibile negli Stati Uniti nei mesi di lockdown. E in effetti sono già venuti a trovarmi, la città a mia mamma è piaciuta molto e torneranno qui tra poco più di un mese, per il mio compleanno (14 marzo, ndr)».
Tra la fine di agosto e ottobre, lo staff tecnico bianconero ha deciso di mandare Aliseda per qualche settimana nella seconda squadra, in Prima Lega… «Sono state partite importanti (tre con quattro reti, ndr) che mi hanno aiutato. Non è mai facile scendere di categoria, non è ciò che un calciatore si aspetta, ma ero al rientro da un infortunio che aveva compromesso la prima parte di stagione, per cui i minuti giocati in Prima Lega mi hanno permesso di ritrovare un minimo di condizione. Adesso, ovviamente, sono felice di aver reintegrato la prima squadra, spero che la mia perseveranza possa servire ai ragazzi del mio quartiere a Buenos Aires per capire come con l’impegno e la dedizione i sogni si possono avverare».
Ora il prossimo step è rappresentato dalla conquista di una maglia da titolare. Ma sulla fascia, con i vari Amoura, Mahou e Steffen, i pretendenti non mancano… «È vero, ma trovo positivo che vi sia tanta concorrenza. Non sai mai se sarai il prescelto per scendere in campo e questo ti obbliga a dare il massimo in ogni allenamento. Lo scorso anno ho giocato poco e non ero stato in grado di rappresentare una vera concorrenza per i miei compagni. Quest’anno, per contro, sto bene e sono pronto sia a giocare dal primo minuto, sia a sostenere chi dei miei compagni dovesse essere scelto al mio posto».
Tra le tante cose che possono aiutare Aliseda a costruirsi una nuova dimensione, anche la consapevolezza di essere l’esponente di una nazione campione del mondo… «Sono molto orgoglioso della Selección e di essere argentino. Tuttavia, a volte la mia provenienza rappresenta una responsabilità in più da caricarsi sulle spalle, perché, in particolare in questo momento in cui abbiamo vinto il Mondiale, ai calciatori argentini – un po’ come succede ai brasiliani – si chiede un livello di rendimento costantemente superiore alla media. Ciò detto, non potrei essere più fiero del mio Paese e di quanto fatto in Qatar».