Calcio

Il viaggio di Sinisa Mihajlovic, coerente anche coi suoi difetti

Carisma a palate in campo e in panchina, trascinatore nato. Nazionalista con amicizie controverse e mai rinnegate: di piacere non gliene importava nulla

1969-2022
(Keystone)
16 dicembre 2022
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Ruvido come carta vetrata, trascinatore nato, autentico personaggio senza diventare mai macchietta, nazionalista di quelli veri e coerente con le proprie idee – anche le più controverse – fino alla morte, arrivata oggi dopo un improvviso aggravarsi della leucemia diagnosticata nell’estate del 2019. Una vita, sportiva ma a suo modo più politica di molti eletti, passata a non compiacere nessuno, evitare compromessi e andare avanti dritto per la sua strada. Pure quando era palesemente sbagliata. Ma era la sua, tanto bastava.

Sinisa Mihajlovic per chi è nato alla fine degli anni Ottanta come lo scrivente fa parte dei molti per carità – ma con ’sto carattere e ’sta presa ben pochi – che ci son stati alla prima puntata di Novantesimo minuto vista in quel tempo lontano quando le partire della Serie A italiana erano ancora quasi tutte la domenica pomeriggio, e che improvvisamente, senza capire neanche come, li abbiamo visti in panchina. Prima con l’auricolare quando era vice di Mancini all’Inter, poi con una carriera senza vittorie – ha allenato uno dei Milan più squinternati della storia recente, quello di Luiz Adriano, Kucka, Suso e Rodrigo Ely per intenderci – ma con quel carisma a palate che conquistava anche quei tifosi cui non fregava un emerito nulla di Bologna, Catania, Torino o Fiorentina.

Andare oltre, sempre

No, su questa cosa Mihajlovic non ha mai giocato. Da personaggio non è mai diventato macchietta. I suoi scatti d’ira, il suo appendere al muro in spogliatoio certi calciatori viziati dal passare più ore dal parrucchiere che a correre, le sue sfuriate con gli occhi iniettati di veleno e cattivissime intenzioni non erano né voglia di apparire né bisogno da espletare. Era lo spingere prima se stesso, poi i suoi compagni e i suoi giocatori, oltre ogni ostacolo, ogni pouf comodo, ogni momento a rifiatare dopo una sgroppata sulla fascia. Perché in campo prima, in panchina dopo Mihajlovic ha messo sempre se stesso. E tra i suoi se stesso, c’era anche il convinto nazionalista serbo con amicizie largamente finite o sotto processo per genocidio o che quantomeno hanno calcato i gradini d’ingresso del Tribunale dell’Aja.

Adem Ljajic, discreto trequartista esterno poi persosi da solo per strada, venne cacciato dalla Nazionale serba allenata da Mihajlovic perché non cantò l’inno prima di una partita, lui, musulmano e con legami familiari vicini al confine col Kosovo. Che doveva fare un allenatore che, si diceva, ricordò commosso la morte di un riconosciuto criminale come Zeljko Raznatovic, meglio noto come ‘Tigre Arkan’? O che definì Ratko Mladic "un combattente"? O che venne accusato di vari atteggiamenti razzisti in campo?

Era anche questo Sinisa Mihajlovic. Tacerlo oggi quando il mondo non solo del calcio lo piange sarebbe ipocrita verso una persona che ipocrita non è mai stata e che di piacere non gli è mai interessato niente. E probabilmente davanti ai consueti panegirici che santificano il morto cui siamo costantemente abituati il primo a – scusate – incazzarsi sarebbe proprio lui.

Quattro istantanee

Primo flashback: 13 dicembre 1998, Lazio-Sampdoria 5-2. Nei cinque gol laziali, il record in Italia di tre reti su punizione diretta. Perché con quel sinistro Mihajlovic faceva bellamente quel che voleva.

Secondo flashback: 25 agosto 2019, Verona-Bologna 1-1. Dopo un mese e mezzo di lotta contro la leucemia, con un permesso strappato ai suoi medici del Sant’Orsola di Bologna Mihajlovic si presenta a sorpresa in panchina a seguire i suoi ragazzi nella prima partita di campionato. Dimagritissimo. Emaciato. Un filo d’erba nella bufera. A incazzarsi come sempre con chi non corre abbastanza dietro al pallone.

Terzo flashback: 6 settembre 2022, Bologna. La squadra non ingrana, Mihajlovic graffia poco, i nuovi acquisti non giocano, la tifoseria rumoreggia, la società si stanca e vuole cambiare guida. Da una parte chi critica chi licenzia un malato; dall’altra chi ricorda che lui stesso non ha mai voluto essere trattato da malato. In mezzo Mihajlovic, che davanti all’offerta di risoluzione consensuale risponde: posso cambiare la situazione, siete voi a licenziarmi se volete.

Quarto flashback: 1 dicembre 2022, Roma. L’allenatore Zdenek Zeman presenta la sua autobiografia con alcuni suoi ex giocatori. Dal niente, quando viene citato dal boemo, compare anche Mihajlovic, simbolo della Lazio quando Zeman allenava la Roma. Sorride. Senza essere incazzato.

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