Senza Messi, e in crisi economica e d’identità, i catalani hanno ritrovato gioco e risultati con l’ex capitano, reincarnazione dei suoi predecessori
Improvvisamente il Barcellona è tornato. Appena la scorsa estate ha divorziato dal giocatore più forte della propria storia, Messi, e solo sei mesi fa sembrava profilarsi una stagione da metà classifica nella Liga. Nelle ultime tre stagioni il Barcellona ha sperimentato umiliazioni cocenti in Champions League, contro il Liverpool, il Bayern, il Psg, tutte squadre che un lustro prima avrebbe affrontato alla pari, o da favorito.
Nell’ultimo triennio ha smesso di essere competitivo ai massimi livelli, ha perso la supremazia nella Liga a favore dei grandi rivali di sempre e, infine, anche la sicurezza economica. Dopo anni di gestione societaria discutibile la pandemia ha dato il colpo di grazia al modello economico della squadra: l’assenza di introiti da stadio, diritti tv e la rinegoziazione al ribasso degli sponsor ha reso impossibile mantenere uno dei monte stipendi più alti dello sport professionistico.
Xavi alla firma del contratto da allenatore (Keystone)
Il Barcellona non ha un miliardario alle spalle, la squadra è tutta dei soci-tifosi che eleggono una giunta per gestire la squadra. Come in politica, anche il modello di gestione del Barcellona spacca l’elettorato in correnti di pensiero. Tra queste c’è quella cruyffiana, che un anno fa ha eletto Joan Laporta, presidente già dal 2003 al 2010. Laporta ha ereditato Koeman in panchina, ma quando la situazione è precipitata ha chiamato a casa Xavi. Con tutto quello che significava, dentro e fuori dal campo.
Abituati al lento declino degli ultimi anni, è stata sorprendente la velocità con cui la squadra catalana è tornata invece ai livelli che le competono, in termini di gioco e risultati, due cose che per il Barcellona più di ogni altra squadra vanno di pari passo. Nei mesi successivi all’arrivo di Xavi la squadra è tornata a far vedere un calcio che sembrava ormai impossibile e ha risalito la classifica fino a tornare nella preziosissima zona di qualificazione alla prossima Champions League. La vittoria per 4-0 nel Clásico di ritorno al Bernabeu è stata il simbolo della rinascita. Il Barcellona di Xavi non ha soltanto battuto il Real Madrid a Madrid, l’ha dominato, dando un’immagine di squadra totalmente in controllo e che avrebbe potuto fare anche più gol. Il legame fra risultati e gioco si è consolidato con i successi di Cruyff e Guardiola.
Xavi con l’ex compagno di squadra Piqué (Keystone)
Cruyff è stato un giocatore del Barcellona negli anni 70 e da allenatore ha avviato una rivoluzione culturale che ha trasformato il club, trascinandolo sul tetto del calcio mondiale. Sotto Cruyff – dalle varie giovanili fino alla prima squadra – si gioca seguendo una filosofia di gioco chiamata gioco di posizione, basata su princìpi specifici e allenata seguendo metodologie specifiche che si traducono in campo nella ricerca continua della superiorità (posizionale, numerica e qualitativa) attraverso l’utilizzo del possesso del pallone e dei movimenti senza palla. Il nome è dovuto all’importanza assegnata all’occupazione delle posizioni giuste per i giocatori rispetto a dov’è il pallone sul campo.
Cruyff premiato con la Coppa del Re del 1978 (Keystone)
Se Cruyff è stato il Profeta di questo modo di pensare calcio, Pep Guardiola, che ne era il pupillo da giocatore, ne è diventato il principale divulgatore. Un filosofo che sviluppa ulteriormente le intuizioni ricavandone un’opera anche più completa che di fatto cambia la storia del calcio contemporaneo imponendo canoni in termini di risultati ed estetici ritenuti ancora difficilmente raggiungibili. Xavi, che del Barcellona di Guardiola era stato il regista, è lo studente modello. Cruyff lo chiamava "il più sveglio della classe", Xavi è sia quello che meglio conosce i concetti che quello più attento a studiarli, un secchione che riporta in campo tutto quello che significa il gioco di posizione. Xavi è cresciuto quando le idee del Profeta avevano ormai messo le radici a ogni livello: "Avevo 11 anni quando sono arrivato, era l’età dell’oro del ‘Dream Team’, Cruyff allenava dalla stagione ’88/89 e io sono entrato nel ’91". Poi era in campo quando Guardiola si è seduto sulla panchina blaugrana.
Johan Cruyff quando era allenatore del Barcellona (Keystone)
Dal momento in cui si è ritirato, Xavi ha iniziato a preparare la sua carriera da allenatore del Barcellona. "Mia moglie mi dice che guardo troppo calcio" aveva scherzato qualche tempo fa. Per salvarsi dal periodo più delicato degli ultimi vent’anni, Laporta ha fatto all-in su uno dei simboli della storia del Barcellona. Il gioco di posizione ortodosso è tornato come promesso e i risultati sono arrivati prima del previsto.
L’addio di Messi non aveva solo abbassato il livello della squadra, aveva costretto il Barcellona a ripensarsi. Doveva trovare un sistema più equilibrato rispetto a quello eliocentrico sviluppato nell’ultimo lustro. Con Koeman è stato dato spazio e fiducia ai giovani come Pedri, Araujo, Ansu Fati e Gavi, ma è con l’arrivo di Xavi e il suo lavoro a livello tattico che si sono realmente raccolti i frutti del ricambio generazionale in atto. Perché gli è stato costruito un ecosistema attorno al quale farli maturare. Anche giocatori che sembravano in declino come Sergi Busquets e Gerard Piqué sono rinati sotto Xavi e chi non era ancora sbocciato del tutto rispetto alle attese – come Frenkie de Jong e Ousmane Dembélé – ora è tra le stelle della squadra.
Xavi, Sanchez, Iniesta e Messi (Keystone)
Innanzitutto con Xavi la pressione e la riaggressione è diventata obbligatoria per tutti i giocatori in campo, proprio come lo era per lui quando giocava ed esisteva la regola dei cinque secondi di pressione successiva alla perdita del possesso. Con il tempo questo aspetto si era annacquato, venendo a patti con l’età avanzata della rosa.
Anche il modo con cui si sviluppa dal basso la manovra è stato ritoccato: bisogna sempre mantenere superiorità numerica dietro e chi ha il pallone deve sempre avere, di volta in volta, diverse opzioni di passaggio. Non è tanto importante il modulo quanto la capacità di disegnare triangoli continui per far avanzare il pallone fino alla trequarti avversaria. È naturale che in questo contesto giocatori come Busquets, Gavi e Pedri si siano subito trovati a loro agio. Ma è davanti che è arrivato un cambio radicale nel modo con cui il Barcellona si schiera perché per Xavi l’ampiezza e la profondità la devono dare: da lì bisogna partire per aprire le maglie della difesa avversaria. Un’idea ben diversa dal sistema che girava attorno a un Messi nella fase calante della carriera. Appena arrivato Xavi ha dato fiducia e minuti a giocatori della seconda squadra che, per quanto inesperti, avevano quelle caratteristiche. Per questo, soprattutto, c’è stata la ricostruzione da zero del tridente offensivo una volta riaperto il mercato a gennaio, con tre giocatori in grado di garantire ampiezza sull’esterno e profondità centrale.
Guardiola con Messi e Xavi (Keystone)
La dirigenza ha fatto un lavoro enorme sul mercato, fra giocatori arrivati in prestito, gratis o con formule di particolari rateizzazioni da pagare dall’estate. È arrivato un nuovo tridente completo, tra l’ala destra Adama Traoré in prestito, la punta Aubameyang gratis e l’attaccante esterno Ferran Torres, per 55 milioni distribuiti su più anni. La conferma che Xavi non è solo quello che allena, ma una voce influente a livello di progettazione: aveva chiesto due attaccanti e un’ala con determinate caratteristiche e quelli sono arrivati. È con l’arrivo dei nuovi attaccanti che è iniziata la crescita evidente nelle prestazioni della squadra sia nella Liga che nell’Europa League.
Il Barcellona è riuscito insomma a tornare competitivo affidandosi alla propria storia e tradizione, anche se i veri risultati sono attesi il prossimo anno. La rosa è piena di giovani sempre più sicuri dei propri mezzi, giocatori e tifosi concordano sul fatto che la squadra debba giocare così. Come aveva detto Xavi stesso davanti alle telecamere del documentario ‘Take the ball, pass the ball’: "Noi crediamo in questa filosofia di gioco, che è migliorata ogni anno e da ogni allenatore del Barcellona. Ma il giorno in cui le cose iniziassero ad andare male, e speriamo non accada per altri 200 anni, ma dovesse succedere, non dobbiamo mai considerare di cambiare il nostro stile di gioco. La nostra peculiare filosofia di gioco non dovrebbe mai cambiare. Mai".
Guardiola portato in trionfo dopo la Champions del 2011 (Keystone)