Il 21enne ginevrino alla sua prima convocazione: ‘Ho sempre saputo che un giorno avrei vestito la maglia della Svizzera’
“Mors tua, vita mea”, verrebbe da dire. Sì, perché l’ecatombe di infortuni con la quale la Nazionale svizzera si sta confrontando nelle ore precedenti alla sfida decisiva con l’Italia, se da un lato non promette nulla di buono, dall’altro garantisce la possibilità a diversi neofiti di assaporare il gusto del clan rossocrociato. Per far fronte alle defezioni a raffica, Murat Yakin ha scelto di affidarsi a ragazzi alle loro prime esperienze in rossocrociato. Al campo d’allenamento di Lugano si sono dunque aggregati il portiere Philipp Köhn, il difensore classe 2003 Bryan Okoh, l’attaccante Noah Okafor (tutti e tre del Salisburgo) e il centrocampista Kastriot Imeri che da un paio di stagioni brilla nel campionato di Super League con la maglia del Servette. Il ginevrino è uno dei leader della U21 di Mauro Lustrinelli ed è considerato come uno dei talenti più puri espressi negli ultimi anni dal calcio svizzero… «La chiamata da parte di Yakin rappresenta per me un immenso onore, un sogno da bambino che si avvera. Sono fiero di poter portare questa maglia e con me lo è tutta la mia famiglia».
La chiamata del coach elvetico è giunta soltanto domenica in serata… «Ero già venuto a conoscenza della selezione da un colloquio con Lustrinelli prima e con Alain Gieger poi. Prima della partita con lo Zurigo, tutti erano già stati informati, tranne me. Ed è stato meglio, in quanto ho potuto concentrarmi al 100% sull’impegno del Servette, senza essere deconcentrato da quella che è senza dubbio la notizia più bella della mia carriera. Purtroppo, la mia prestazione non è servita a portare la squadra al successo: stiamo attraversando un periodo difficile, ma non fasciamoci la testa, ne usciremo e risaliremo la china».
Kastriot Imeri è nato a Ginevra il 27 giugno 2000, ma le sue origini sono kosovare, per cui dalle parti di Pristina si sperava che la scelta del giocatore cadesse sulla Nazionale allenata da Primoz Gliha… «Per me è sempre stato chiaro che, un giorno o l’altro, avrei vestito la maglia della Svizzera, non ho mai avuto dubbi in proposito. La Svizzera mi ha dato tutto, è qui che ho tirato i primi calci al pallone, è qui che ho seguito l’intera formazione calcistica, per cui la possibilità di giocare per il Kosovo non è mai stata un’opzione valida».
A volte, però, la pressione da parte dei genitori o degli ambienti legati alle etnie di origine possono mettere a dura prova le convinzioni di un giovane… «Da questo punto di vista, non ho mai percepito insistenza alcuna. La mia famiglia mi ha sempre dato fiducia, mostrandomi le scelte a disposizione, ma senza forzarmi in alcun modo a imboccare una strada piuttosto che un’altra. Sono molto legato alla famiglia e spesso parliamo di queste cose, ma non sono mai stato messo sotto pressione».
La scalata di Kastriot Imeri ai vertici del calcio elvetico è iniziata soltanto quattro anni fa, quando è stato inserito in pianta stabile nella prima squadra del Servette… «Non avrei mai pensato di raggiungere la Nazionale così in fretta, ma non ho mai dubitato sul fatto che un giorno avrei centrato questo obiettivo. La mia formazione si è svolta come da copione, ma ciò nonostante sono stati molti i sacrifici ai quali mi sono dovuto sottoporre per poter arrivare dove sono adesso. Quali sacrifici? Ad esempio tutto il discorso legato alla nutrizione, perché quando si è giovani a queste cose ci si pensa poco. E poi l’importanza del riposo e del sonno, altro aspetto che spesso non viene considerato. Senza dimenticare la necessità di dover allenare muscoli sui quali, di norma, si lavora poco. La vita del calciatore è fatta di un insieme di piccole cose che, messe una vicina all’altra, ti permettono di rendere al massimo quando si scende in campo».
Gli allenatori che nelle squadre giovanili hanno avuto la possibilità di incrociare la crescita calcistica di Imeri parlano del ginevrino come di un ragazzo dalla forza di volontà ampiamente superiore alla media… «Il calcio è una professione, quella che sognavo di fare fin da quando ero bambino. Di conseguenza, il pallone è sempre stato il mio migliore amico. Da piccolo, ogni volta che uscivo di casa, fosse solo per andare a visitare dei parenti, avevo costantemente un pallone sotto il braccio. Per me, il calcio ha sempre rappresentato il piano A, per cui sarebbe stato oltremodo irrispettoso nei confronti di molte persone non impegnarmi ogni giorno al 100%. Ho lavorato con molta forza di volontà affinché questo piano A si potesse concretizzare e oggi posso dire di essere qui anche e soprattutto grazie alla tenacia dimostrata in tutti questi anni».
Difficile che l’esordio di Imeri avvenga all’Olimpico di Roma, più probabile che Yakin lo mandi in campo lunedì a Lucerna contro la Bulgaria. Questa prima convocazione, per il ginevrino rappresenta soprattutto la possibilità di prendere contatto con un ambiente che, tutti ne sono convinti, negli anni a venire avrà l’opportunità di frequentare con assiduità… «Non so se avrò a disposizione qualche scampolo di gioco, ma mi preparo per essere pronto all’eventualità. Alla causa della Nazionale posso portare la mia determinazione, il mio coinvolgimento, la mia voglia. Per i prossimi due impegni mancano tanti giocatori, ma occorre guardare avanti e pensare a vincere le partite che ci rimangono».
E non ci sarà neppure colui che Kastriot Imeri considera un modello… «Non ho mai nascosto di avere un’ammirazione per Granit Xhaka, per ciò che fa in campo e per la sua leadership. Mi sarebbe piaciuto poterlo conoscere, così come avrei preferito vedere una squadra al completo, ma per me questo rappresenta un primo passo nel mondo della Nazionale: spero di venir richiamato anche in occasione delle prossime convocazioni, così da avere la possibilità di conoscere Xhaka».
Nell’attesa, ha potuto inserirsi in un gruppo nel quale figurano già numerosi giocatori importanti… «Di molti di loro sono stato tifoso quando ero ragazzino e adesso me li ritrovo fianco a fianco. Conoscevo già un paio di ragazzi e nel complesso sono stato ricevuto molto bene. Tra l’altro, diversi di loro arrivano dalla U21, segno che il passaggio generazionale funziona bene. Anche perché Yakin è un coach in grado di valorizzare i giovani. E nella U21 di giovani in grado di compiere il salto non ci sono soltanto io. Anzi, da questo punto di vista il ricambio generazionale sembra garantito. Certo, io spero di poter avere tempo di gioco, ma a Roma a contare sarà il risultato, non certo il numero di minuti a mia disposizione».
Per Murat Yakin, l’ultimo grattacapo si chiama Mario Gavranovic. Ieri il ticinese non si è allenato, vittima di una botta al piede destro rimediata con il suo Kayserispor nel campionato turco. Le analisi radiologiche non hanno rivelato fratture o danni ai legamenti, per cui lo staff medico spera di poterlo recuperare per venerdì. Per precauzione, però, Yakin ha convocato anche Cédric Itten.