Angelo Renzetti: ‘Alla fine ci è mancato un pizzico di coraggio’. E sulla cessione della società: ‘Tre le opzioni sul tavolo, tra una decina di giorni la decisione’
Negli ultimi novanta minuti della stagione, venerdì a Lucerna, il Lugano si giocherà un piazzamento finale tra il quarto e il sesto posto. Il sogno della Conference League è sfumato a favore di Basilea e Servette e ai bianconeri rimane un pizzico di amaro in bocca per quello che sarebbe potuto essere e invece non è stato. A stagione praticamente archiviata, le prime considerazioni giungono dal presidente Angelo Renzetti… «Le dichiarazioni del nostro allenatore, per cui tutti ci davano per spacciati e quindi la salvezza rappresentava il nostro vero obiettivo, non mi trovano pienamente d’accordo. Il mio ragionamento parte dal presupposto che lo scorso anno, nel periodo del lockdown, avevamo ottenuto risultati eccellenti e che tra una stagione e l’altra la società si era impegnata affinché la rosa non venisse smantellata, ma ulteriormente rafforzata. L’intelaiatura era rimasta la stessa, con la sola partenza di Rangelo Janga, comunque sostituito prima da Odgaard, poi da Abubakar. Al di là delle idee dei nostri avversari, vale a dire che eravamo destinati alla retrocessione, io non la pensavo affatto allo stesso modo, perché i fatti dicevano cose ben diverse».
Quindi… «Quindi la squadra era stata costruita per disputare un campionato solido, in grado di ripagare la società per gli sforzi fatti. Era previsto che con questa rosa a disposizione facessimo un campionato senza patemi d’animo. E così è stato: un campionato nella norma, ma tenendo conto dei sacrifici fatti, nulla di eclatante».
Nella voce del numero uno bianconero si percepisce un pizzico di malcelato rammarico… «Che deriva, in parte, dalla sfortuna. Sì, perché proprio in occasione del quarto di finale di Coppa Svizzera contro il Lucerna abbiamo pagato a caro prezzo quella giornata di vento impetuoso che ha di fatto falsato la partita. È vero, noi all’ultimo minuto abbiamo sbagliato un rigore, ma loro non avrebbero mai segnato due reti senza l’aiuto del vento. E quella è stata una partita che ha condizionato il prosieguo della stagione: sia in Coppa, dove avremmo potuto arrivare fino alla finale, sia in Super League, dove nelle partite seguenti abbiamo pagato lo scotto psicologico e morale dell’eliminazione, con una serie di risultati negativi dai quali abbiamo faticato a riprenderci».
Ma non c’è stata soltanto la sfortuna… «E questo è il secondo rammarico: non abbiamo avuto coraggio a sufficienza. Dopo aver raggiunto quota 43 punti, avremmo dovuto essere più spregiudicati, cercare di cambiare modo di giocare per poter essere maggiormente propositivi, come abbiamo fatto sabato contro il Sion. D’altro canto, rischi non ne correvamo più e avremmo avuto soltanto da guadagnare. Abbiamo peccato di coraggio. Capisco che se giochi a tennis e sei un pallettaro da fondo campo, diventa difficile inventarsi di punto in bianco mago del serve and volley, ma contro il Sion abbiamo avuto la dimostrazione che con un assetto un pizzico più propositivo, con quattro difensori e un centrocampista in più, il gioco lo abbiamo comandato noi e le soluzioni le abbiamo trovate anche in zona offensiva. Se poi penso alla partita con un Servette reduce da dieci gol incassati in due partite, sarebbero bastati quei tre punti a fare la differenza con i ginevrini e ritrovarci oggi in Europa. In quel caso, sì che sarebbe stato un campionato entusiasmante: così, invece, è stato il campionato che mi aspettavo».
C’è stato spazio pure per qualche brivido di paura? «Paura no, mai. E questo accresce il rammarico. In tutte le stagioni di Super League abbiamo avuto momenti di timore, eppure due volte siamo comunque riusciti a qualificarci per l’Europa League: questa volta, invece, proprio quando la retrocessione non è mai stata un tema d’attualità, l’Europa ci è sfuggita di mano».
Una critica velata a Maurizio Jacobacci e al suo staff? «È una critica per tutti, a partire dal presidente. Basterebbe prendere ad esempio la gestione di Marcis Oss. Abbiamo dovuto aspettare la penultima giornata per capire che è un giocatore sul quale fare affidamento. È un nazionale lettone, uomo di esperienza, contro il Sion nel gioco aereo non ha fatto vedere il pallone a Hoarau e ha proposto precisi lanci di 30-40 metri che da noi non ho mai visto fare a nessuno. Eppure, ogni volta che ci ritrovavamo senza Maric sembrava dovesse cascare il mondo… Questo è un esempio di responsabilità comune: dell’allenatore e dello staff che avrebbero dovuto dargli maggiore fiducia, del giocatore che si sarebbe potuto comportare in modo diverso, del presidente che ha visto il problema, ma non è intervenuto. A me spiace mettere il becco, perché poi passo per un presidente interventista, ma spesso le cose le vedo in anticipo e invece di prendere il toro per le corna mi rodo dentro fin quando reagisco. E la reazione non è mai un bene, perché prevenire sarebbe meglio che curare. Quando nasce un problema, la responsabilità va suddivisa in parti uguali tra tutti gli attori».
Il simbolo di questo Lugano… «Non ce n’è stato uno in particolare, ma ritengo che Mattia Bottani abbia disputato la sua migliore stagione di Super League, tant’è che le sue assenze hanno pesato sull’economia del gioco. In carriera avrebbe potuto fare sicuramente di più, ma a 30 anni ha dimostrato tutto il suo valore. Per la squadra il discorso è analogo: poteva fare di più, ma ha comunque mostrato solidità e non ha rischiato nulla».
Quello che si sta per concludere è stato un campionato vissuto per intero sotto il segno della pandemia… «Per mantenere intatta la rosa sono stati fatti grandi sacrifici, in condizioni difficili per l’assenza di pubblico. A fine stagione ci ritroviamo con una squadra solida, in grado di giocarsela con qualsiasi avversario, ma a livello societario e finanziario le cose stanno in modo diverso. Il mercato si è spento a causa della generale mancanza di liquidità e il pubblico non ha mai potuto venire allo stadio, con tutte le tematiche annesse e connesse. Così, da società solida e senza debiti, ora ci ritroviamo con un debito nei confronti della Sfl, per altro comune a tutte le società svizzere. E questo è un passivo che pesa sulle trattative per un eventuale acquisto del club».
Dopo tanti tentativi andati a vuoto, il passaggio del pacchetto azionario sembra in dirittura d’arrivo… «È da molto tempo che se ne parla, adesso è giunto il momento di concretizzare. Per ora, le opzioni sono tre. Da una parte un gruppo di interessati facenti capo a Leonid Novoselskiy, il quale manterrebbe il suo 40%. Le trattative sono in fase avanzata e la Swiss Football League sta portando avanti le verifiche per la concessione della mini licenza, una procedura prevista per avere la certezza che un’eventuale nuova proprietà abbia i requisiti per rilevare la licenza di gioco per la prossima stagione. Nel frattempo si è fatto avanti l’ex presidente del Basilea Bernhard Heusler, a capo di una società di consulenza assai reputata nel mondo sportivo, in qualità di intermediario per un fondo straniero – del quale lui non fa parte – interessato al 100% delle quote. Non andasse in porto la prima opzione, si punterebbe sui clienti di Heusler, ma in quel caso Novoselskiy dovrebbe essere d’accordo di cedere il suo 40%. Infine, c’è la terza opzione, vale a dire lo statu quo, nel caso in cui entrambe le trattative andassero a ramengo. A quel punto, bisognerebbe fare i salti mortali e avremmo bisogno di un colpo di mano sul mercato o nella gestione della società. Non possiamo nemmeno pensare a un ridimensionamento importante, in quanto potrebbe andarci di mezzo la sopravvivenza in Super League, rischio che non possiamo permetterci di correre, anche alla luce del dossier per il nuovo stadio. Finora la licenza della Sfl è sempre stata coperta dall’azionista, ma adesso è un gioco che non mi posso più permettere, per cui le risorse andranno trovate con il mercato, oppure con l’aiuto, anche esterno, di terze persone. Stiamo lavorando per non farci trovare spiazzati».
Individuare potenziali finanziatori rappresenta una sorta di caccia al tesoro… «Ovviamente, mi sono già mosso, ma non vi è nulla di concreto, in caso contrario non avrei messo in vendita il mio pacchetto azionario. Aspetto risposte: dalle persone che ho contattato, così come dalla Sfl in merito alla concessione della mini licenza al gruppo di Novoselskiy. Con i clienti di Heusler sempre alla finestra… Nel giro di dieci giorni si dovrebbe giungere a una decisione. Anche perché chi si ritroverà a capo della società dovrà avere il tempo necessario per fare mercato».
A ottobre saranno undici anni di presidenza… «Di ricordi belli ce ne sono tanti, ma a farmi davvero piacere è il sentirmi apprezzato per ciò che ho fatto. Il ricordo più amaro? Molti penseranno alla sconfitta nella finale di Coppa Svizzera, ma quella partita ci era caduta dal cielo tra capo e collo, tanto che alla fine ero stato più felice per il raggiungimento dell’atto conclusivo che rammaricato per la sconfitta. Ad avermi davvero fatto male, in questi anni di presidenza, sono stati tutti i compromessi ai quali mi sono dovuto piegare, in un mondo del calcio nel quale ho scoperto tanto egoismo. Con il carattere che mi ritrovo, ho sempre fatto fatica ad accettare tutto ciò e vedere persone approfittarsi delle necessità e delle difficoltà altrui».
Un ultimo tema, quello dell’allenatore. Maurizio Jacobacci ancora non conosce la sua sorte… «Nel giro di una settimana, chiarito l’assetto societario, se ne potrà discutere. Se dovessi rimanere io – ma per quanto ne so, pure nel caso in cui arrivasse il gruppo di Novoselskiy – non avrei nessuna difficoltà a confermare Jacobacci. Certo, se venisse a dirmi di aver ricevuto un’offerta importante non sarei certo io a tarpargli le ali, non l’ho mai fatto con nessuno. È vero, di errori ne sono stati commessi, come capita a tutti, ma si può sempre correre ai ripari per migliorare ciò che non ha funzionato. Non butterei via assolutamente nulla: gli aspetti positivi sono di gran lunga superiori a quelli che reputo debbano essere corretti».