Il direttore delle squadre nazionali dice la sua sulla ripresa del calcio in Svizzera e sulla svolta da dare ai campionati. ‘Per il bene dei giovani’.
Un primo passo verso la normalità. È così che Pier Tami, direttore delle squadre nazionali, definisce la sua presenza domenica alla Pontaise, in occasione del quarto di finale di Coppa Svizzera tra il Losanna e il Basilea che ha segnato la riapertura ufficiale del calcio nei confini nazionali. Una 'prima', alla quale il dirigente ticinese, accompagnato dal commissario tecnico della Nazionale Vladimir Petkovic, non ha voluto mancare. «Volevamo esserci - esordisce Tami -. Ai miei occhi la nostra presenza aveva una duplice importanza: era la Coppa Svizzera, competizione organizzata dall'Associazione svizzera di calcio che rappresentiamo, e segnava la ripresa ufficiale. Volevamo dare un segnale tangibile, proprio per significare l’importanza che la ripresa ha per l’intero movimento calcistico nazionale. Abbiamo voluto essere testimoni di un evento inteso come ritorno alla normalità, anche se di normale non c’è ancora niente, Ce ne siamo resi conto subito: solo 300 spettatori allo stadio, controlli, compilazione obbligatoria di un formulario con un sacco domande utili per il tracciamento… Diciamo quindi che è stato un primo passo verso la normalità. Trovo giusto che anche il calcio dia un segnale di ritorno alla normalità, come è stato chiesto a tutto il mondo economico e imprenditoriale».
Anche Pier Tami esce da un lungo periodo segnato dall’isolamento, dal precariato, da scenari che, come dice lui stesso, sono solo scenari, ai quali si lavora senza sapere se si riuscirà a concretizzarli. «L’Asf - precisa Tami per sgombrare il campo dalla confusione che regna, anche tra gli addetti ai lavori - rappresenta il calcio nelle regioni, attraverso le Associazioni regionali che curano il calcio di base, fino alla Seconda Lega. Poi, naturalmente, la nostra vetrina principale è costituita da tutte le squadre nazionali, siano esse maschili e femminili, dalla prima squadra all’ultima delle selezioni giovanili. La competizione che organizziamo è la Coppa Svizzera. Fatta questa premessa, ricordo che nell’autunno del 2019 era già partita la riorganizzazione di tutte le nostre strutture e dell’organigramma della nostra associazione. Tant’è vero che il nuovo concetto verrà probabilmente presentato tra luglio e agosto. Il lockdown ha permesso a chi era coinvolto in questa operazione di lavorare su tutti i suoi aspetti e su nuovi progetti che saremo poi in grado di implementare quando sarà possibile ripartire a pieno regime. D’altra parte, l'isolamento ha però bloccato tutto, a tutti i livelli. Noi siamo abituati a pianificare, programmare e ad agendare con largo anticipo il nostro futuro. Il lockdown ha azzerato tutto, perché se c’era una cosa certa, beh questa era l’incertezza. Abbiamo vissuto giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, l’evoluzione della crisi, prendendo delle decisioni man mano che si ricevevano delle informazioni in più. Eravamo impegnati a lavorare su differenti scenari. Scenari, appunto, mai certezze. Si viveva nell’attesa di poterli concretizzare. Quando agisci a livello dirigenziale, diventa molto complicato farlo, a tutti i livelli, non solo nel calcio. All’inizio della crisi, il ragionamento che facevi una settimana prima, la settimana successiva lo potevi tranquillamente buttare via, per iniziare a farne uno nuovo, in un’altra direzione».
L’allentamento delle misure restrittive e una progressiva riapertura… del mondo, ha permesso a Tami e Petkovic di riallacciare i contatti con i giocatori. «Vlado segue tutti i campionati. Oggi con le risorse che abbiamo riceviamo i video di tutte le partite. Per certi campionati e per certe squadre riceviamo anche i 'tactical video' con le immagini dei movimenti di ciascuno dei nostri giocatori. Da questo punto di vista il distacco è stato un distacco che abbiamo potuto superare, tutto sommato. Abbiamo però anche cercato, nel limite del possibile, di ristabilire un contatto umano raccogliendo 50 persone, tra nazionali e staff tecnico, in una videoconferenza nella quale abbiamo fornito qualche indicazione ai nostri giocatori, per quanto possibile in un momento storico in cui non c'erano certezze, se non la cancellazione delle date internazionali di marzo e giugno e lo slittamento degli Europei. Erano passati tanti mesi dall’ultimo incontro, ci era parso giusto farci vedere e sentire. Abbiamo condiviso quanto sapevamo sul calendario europeo a partire dall’autunno (definito mercoledì dall’Uefa, ndr) circa le competizioni europee per club e Nazionali. Regnava ancora grande incertezza, c’erano enormi differenze tra le varie realtà, per calciatori impegnati in Italia, Germania, Svizzera o in Inghilterra. Solo le squadre della Bundesliga erano già al lavoro, le altre ancora no. Ora possiamo ricominciare a contattare società e giocatori per valutare più da vicino la loro condizione. In tal senso, sono le partite a fornirci le indicazioni più attendibili».
Nel weekend riparte anche il campionato svizzero. Che torneo sarà? È stato deciso di farlo ripartire tanto per chiuderlo? «Direi di no, perché in palio c’è ancora tanto. Ci sono squadre che giocheranno per mantenere il posto in Super League, altre che si contendono la promozione. Le società coinvolte nella lotta per la permanenza in Super League sono almeno tre, forse quattro, anche se da ticinese non me lo auguro. Ma ci si gioca tanto anche al vertice, nella lotta per il titolo e per una posizione di privilegio nelle competizioni europee. In termini non solo di prestigio, ma anche economico. La partecipazione a Champions ed Europa League può modificare molto le strategie economiche di una squadra, poiché ballano cifre davvero cospicue. La qualificazione incide in maniera pesante sul budget di una società. Nel nostro campionato, sono quattro o cinque le squadre che hanno tutti gli interessi del caso a finire nel modo migliore questa stagione».
Nelle scorse settimane ha tenuto banco il dibattito sulla formula dei campionati. La riforma (uno dei punti cardine era l’allargamento a dodici squadre della Super League) paventata da alcuni club (tra i quali il Lugano) è stata bocciata. L’attuale struttura dei nostri campionati è ancora funzionale alle esigenze dell’Asf e delle selezioni nazionali giovanili? «Nell’attuale struttura dei nostri campionati vediamo un problema, esteso dalla massima serie alla Quinta Lega. Siamo dell’avviso che la riforma dei campionati debba toccare tutte le categorie e avere come obiettivo primario l’inserimento dei nostri giovani, sui quali tanto investiamo. Devono trovare la collocazione giusta al livello giusto. Oggi l’attuale struttura pone troppi ostacoli ai nostri giovani, nel loro processo di crescita verso il livello più alto. Gli argomenti sul tavolo toccano il calcio a tutti i livelli, dal movimento professionistico di Super e Challenge League, alla Prima Lega (che gestisce anche la Promotion League, ndr), nella quale ci sono squadre che giocano troppo poche partite, limitando molto il potenziale dei giovani che vi militano e che in una stagione contabilizzano solo 28 partite: poche, troppo poche. La riforma deve toccare tutte le categorie, nelle quali bisogna scovare tutte le specifiche priorità. Attenzione, però: non possiamo fare solo un discorso in termini economici. L'aspetto finanziario è importante, ci mancherebbe, soprattutto nel calcio professionistico. Bisogna tenerne conto. Ma è altrettanto importante, se non addirittura prioritario, quello sportivo. Sono ragionamenti che devono essere fatti in parallelo».
C’è un modello che l’Asf propugna, utile ai fini soprattutto della formazione e dei talenti sui quali a livello nazionale si fanno molti investimenti? «Purtroppo si è persa una prima importante occasione, quella di allargare a dodici squadre la Super League. Nel frattempo, però, è operativo un gruppo di lavoro che farà dei ragionamenti a partire dalla Challenge League - campionato che, mi sento di dire, per come è concepito adesso, non ha senso - con un obiettivo importante: deve tenere conto di tutti gli aspetti, già dando delle raccomandazioni anche alla Super League, pur sapendo che probabilmente la formula della massima serie non verrà ritoccata per altri quattro anni, fino alla scadenza del nuovo contratto per i diritti televisivi. Una riforma ha senso se prende in considerazione tutto, dal vertice alla base, dalla Super League all’ultimo dei campionati. Benché il ragionamento debba essere fatto solo a medio termine, anche la Super League va riformata, tanto per cominciare con l’aumento delle squadre dalle attuali dieci. Se a corto termine ci saranno dei cambiamenti dalla Challenge in giù, ben vengano. Il passo decisivo, però, non può prescindere dal coinvolgimento, nella riforma auspicata, della Super League».