Il 21enne da lunedì è tornato ad allenarsi (seguendo un preciso protocollo) assieme ai compagni del Grasshopper, unica formazione di Sfl a farlo assieme al San Gallo
«Siamo calciatori e allenarsi fa parte del nostro quotidiano. Ma non intendo allenarsi da soli come abbiamo comunque potuto fare negli scorsi mesi, bensì in gruppo, che è tutta un’altra cosa e che rappresenta l’essenza di uno sport di squadra come il calcio. È soprattutto lì, sudando assieme sul campo, che ci si sprona e ci si motiva a vicenda, è lì che si creano i legami e la complicità fondamentali per vincere le partite. Ed è lì che a noi giocatori piace stare».
Sì, per il giovane difensore ticinese del Grasshopper Allan Arigoni la giornata di lunedì ha rappresentato quasi una liberazione, un piccolo grande passo verso quella normalità che tanto gli è mancata nei poco meno di due mesi trascorsi dal 16 marzo, giorno in cui per arginare il diffondersi dell’epidemia di Coronavirus il Consiglio federale aveva dichiarato lo stato di necessità e il conseguente divieto di allenarsi anche per i club professionistici. Una restrizione ritirata per questi ultimi appunto da lunedì, con il Gc che assieme al San Gallo (gli unici due club a farlo) ne hanno subito approfittato tornando in campo per preparare un’eventuale ripresa del campionato, che in ogni caso non avverrà prima del 19 giugno (a tal proposito la Swiss Football League si riunirà il 29 maggio, due giorni dopo che le autorità nazionali si saranno espresse sull’effettiva entrata in vigore della fase tre di allentamento delle restrizioni, nella quale rientra anche la possibilità di tornare a disputare partite a porte chiuse). Le altre società delle due massime categorie del calcio elvetico (Lugano e Chiasso compresi) hanno preferito rimandare la ripresa, anche per non perdere il diritto di beneficiare dell’indennità per lavoro ridotto.
«La società avrà fatto le sue valutazioni, io così come i miei compagni siamo solo contenti di rivederci e di essere tornati ad allenarci tutti assieme - continua il 21enne di Cugnasco, approdato al Letzigrund nel 2016 dopo aver vestito le maglie di Riarena, Locarno e Team Ticino e ormai diventato un titolare fisso delle Cavallette (18 presenze condite da 5 assist in questa Challenge League) -. Certo, la situazione è particolare, bisogna ancora fare attenzione e infatti ci sono diverse misure e procedure da seguire, ma passano comunque tutte in secondo piano di fronte alla gioia di essere tornato in campo, mi era davvero mancato in questi mesi. E lo stesso vale per i miei compagni, tanto che nonostante tutto l’umore del gruppo è molto buono, anche perché per noi il campo rappresenta un po’ un’isola felice all’interno della quale cerchiamo di non portare le preoccupazioni esterne, a maggior ragione in questo particolare contesto. Siamo tutti motivati al massimo e la speranza è di poterci giocare la promozione (nel campionato cadetto fermo a 23 giornate il Gc occupa il terzo posto, dietro solo per la peggior differenza reti al Vaduz secondo ma a 15 lunghezze dal leader Losanna, ndr), per cui ci alleniamo come se il campionato ripartisse effettivamente tra poco più di un mese, vogliamo farci trovare pronti».
Ma come si svolge ai tempi del Coronavirus una giornata di allenamento del terzino ticinese? «Vivo in un appartamento a pochi minuti dal nostro centro di allenamento (il Gc Campus a Niederhasli, alle porte di Zurigo, ndr) assieme all’altro ticinese Giotto Morandi e a un ragazzo della U21. Come prima, a volte ci rechiamo al campo a piedi, altre in bici o in auto, ma ora lo facciamo già vestiti con la tenuta di allenamento. Arrivati alla struttura non possiamo entrare, dobbiamo aspettare di essere chiamati uno a uno dal team manager o dai fisioterapisti, che poi ci misurano la temperatura. Se è in ordine, bisogna disinfettarsi le mani e poi si può raggiungere il terreno da gioco, tutto questo sempre mantenendo una distanza di due metri uno dall’altro. Nel limite del possibile cerchiamo di farlo anche durante la sessione e in questa prima settimana devo dire che non è stato troppo problematico, in quanto sono volutamente stati programmati degli esercizi più improntati sulla tecnica e senza contrasti, anche per ridurre al minimo il rischio di infortuni, più alto nelle prime settimane dopo un lungo stop».
Una situazione quest’ultima che non spaventa più di tanto il giovane locarnese, conscio che «fa parte del gioco» e suo malgrado già abituato a convivere con i problemi fisici… «Purtroppo sono già stato parecchio infortunato, ma non ho mai mollato e ho sempre cercato di imparare anche da queste situazioni. Anche quest’anno mi sono fatto male, all’inizio del girone di ritorno in allenamento mi sono strappato parzialmente il collaterale del ginocchio e il muscolo popliteo e sono dovuto stare fermo quasi due mesi, anche se con l’interruzione del campionato alla fine in quel periodo la squadra ha disputato solo tre partite (l’ultima prima dello stop è stato il 3-0 rifilato allo Sciaffusa il 20 febbraio, ndr)».
Come dire che nella drammaticità dell’emergenza sanitaria, Arigoni ha perlomeno avuto il tempo per recuperare fisicamente. Ma non solo… «All’inizio del “lockdown” sono tornato in Ticino per 3-4 settimane e ne ho approfittato per stare un po’ con la mia famiglia, visto che solitamente non ho molto tempo da dedicarle. Un periodo che devo dire da questo punto di vista ho molto apprezzato. Ciò non toglie che - come per tutti immagino - è stato difficile rimanere a lungo chiuso in casa. Inoltre la società ha fornito a noi giocatori un programma di preparazione individuale, ma non è stato sempre evidente riuscire a motivarsi per allenarmi da solo. Poi sono tornato a Zurigo per lavorare con un preparatore atletico privato in modo da recuperare al meglio dall’infortunio e farmi trovare pronto alla ripresa. E così è stato, ora sto bene e a maggior ragione sono felice di poter essere tornato in campo con i compagni».