Calcio

Ma quale problema…

Secondo Immersi la realtà del Team Ticino è simile a quella della Nati: ‘Tutti si identificano e danno il massimo’

9 luglio 2018
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«Nei nostri effettivi abbiamo parecchi ragazzi originari di altri Paesi ma non c’è nessun problema, anzi... Si sentono tutti appartenenti al Team Ticino e alla nostra regione e allo stesso modo penso che chi indossa la maglia della Nazionale dia sempre il meglio di sé».

È con queste parole che Massimo Immersi, nuovo responsabile tecnico del Team Ticino ma già da 5 anni attivo nell’Associazione, butta acqua sul fuoco della polemica relativa ai giocatori di origine straniera nella Nazionale rossocrociata, alimentata negli scorsi giorni dal segretario generale dell’Asf Alex Miescher, il quale ha ipotizzato la possibilità di chiedere ai giocatori che vogliono vestire la casacca rossocrociata di rinunciare al doppio passaporto... «Dopo una manifestazione così, con un’eliminazione del genere, sarebbe stato meglio non parlare troppo a caldo, lasciare passare un po’ di tempo e solo in seguito, a bocce ferme, analizzare la situazione – afferma il 38enne ex difensore di Bellinzona, Lugano, Locarno e Chiasso –. Sicuramente, pensando alla formazione, fa perlomeno strano vedere un ragazzo che svolge tutta la trafila nelle selezioni giovanili in Svizzera per poi, al momento di passare alla Nazionale maggiore, scegliere il suo Paese d’origine. A tutti sarebbe piaciuto vedere Rakitic o Petric giocare per la Svizzera. Però non penso proprio che obbligare un ragazzo di 15 anni a scegliere o a rinunciare al doppio passaporto sia la strada corretta. Sarebbe più giusto andare alla radice del problema, capire da dove arrivano determinate scelte. Ma sono convinto che con il passare degli anni questa situazione si presenterà sempre meno, perché questa ad esempio è la prima generazione di ragazzi provenienti dai Balcani, ma già la seconda sentirà meno questo dualismo. Io stesso ho origini italiane, ma sono sicuro che le mie figlie si sentiranno svizzere al cento per cento. Per me non c’è un reale problema, se ne parla solo perché c’è stato quel gesto dell’aquila, ma tra un po’ le acque si saranno calmate e si potrà andare avanti».

Già, l’aquila bicipite mimata da Xhaka, Shaqiri e Lichtsteiner nel match del girone E dei Mondiali vinto 2-1 contro la Serbia con reti proprio dei due giocatori di origine kosovara... «A me non ha dato per nulla fastidio. Viviamo in una nazione multiculturale, cosa ci aspettiamo? È normale che anche la Nazionale rappresenti questa multiculturalità. Giocano per la Svizzera, danno il massimo per la maglia che indossano, ma nelle loro vene scorre anche sangue del loro Paese di origine, per cui è anche normale, oltretutto se provocati, avere delle reazioni del genere. Per me non esiste un problema in questo senso, dopotutto basta guardare anche le altre nazioni, tra cui le più forti: molte sono nella stessa situazione ma non ci sono tutte queste polemiche. Che tra l’altro, oltre a essere cicliche ma sterili, se ci fossimo qualificati per i quarti di finale non ci sarebbero nemmeno state...».

A proposito di quarti, la mancata qualificazione per questo stadio della Coppa del mondo da molti è stato visto come un fallimento... «Io non sono per nulla deluso, perché seppur sarebbe evidentemente piaciuto anche a me vedere la Svizzera ai quarti, arrivare agli ottavi entrando tra le migliori sedici squadre al mondo, rappresenta pur sempre un bel traguardo. A maggior ragione in un girone per nulla facile con Brasile, Serbia e Costa Rica. Certo, sarebbe stato possibile battere la Svezia, ma allo stesso tempo la sconfitta non rappresenta un fallimento. Forse negli ultimi anni siamo stati viziati dalla Nazionale, si è fatto il palato a certi risultati e si vuole sempre di più, però bisogna essere realisti e consci che siamo e rimarremo sempre la Svizzera».