Il celebre astronauta italiano ripercorre la sua carriera, fra passioni sportive e condizioni di vita sulla Stazione spaziale internazionale
«Allo sport guardato preferisco quello praticato: essere protagonisti è sempre meglio che essere spettatori. Però, se c’è una bella partita di calcio in tv, un match d’alto livello, lo seguo volentieri». Parola di Paolo Nespoli, astronauta brianzolo di fama mondiale. Sessantacinque anni, 188 cm, una grave malattia sconfitta, e un fisico che pare ancora scolpito nel granito, la stessa pietra delle pareti che scalava quand’era più giovane. «Nessun ottomila», minimizza. «Solo vette italiane, ma comunque nelle nostre zone ci sono montagne bellissime». Roccia e speleologia sono passioni che Nespoli coltivava già da ragazzo, ai tempi del liceo scientifico, prima ancora del servizio militare, dove diventò paracadutista. «Prima di lanciarci dagli aerei, per allenarci ci buttavamo da 11 metri d’altezza su un minuscolo telone, nemmeno troppo fermo, tenuto a braccia dai commilitoni. Se superi certe prove, poi non hai più paura di nulla». Dopo un anno e mezzo di naja, mette la firma e sceglie l’esercito come professione. «Reparti speciali: diventai in pochi anni tenente degli incursori. Anche lì, ovviamente, la preparazione fisica, sportiva, era molto importante. Dall’82 all’84 prestai servizio in Libano, a Beirut, col contingente italiano delle Forze di pace». Poi, a 25 anni, la scelta di congedarsi e migrare negli Stati Uniti per diventare ingegnere aerospaziale. «Gli altri ufficiali erano increduli, mi davano del pazzo vedendomi lasciare un lavoro sicuro come quello. Ma io non ascoltai nessuno, sognavo di diventare astronauta fin da bambino, e gli Usa mi parevano l’unica soluzione possibile».
Paolo Nespoli, alla fine, Oltreoceano ci resterà ben venticinque anni. «Durante i quali, per la prima volta, mi appassionai agli sport di squadra, specie baseball e basket, che cominciai a seguire assiduamente». Ma, soprattutto, in America – dopo anni passati a istruire in campo ingegneristico i futuri cosmonauti – Paolo divenne finalmente egli stesso astronauta, coronando l’antico sogno. «Non fu facile, venni selezionato soltanto dopo tre tentativi, quando avevo già quarant’anni, cioè quando ormai avevo superato la fascia d’età utile, che in quel campo va dai 27 ai 37 anni. Ma per me la Nasa e l’Agenzia spaziale europea fecero un’eccezione». Sta di fatto che negli anni successivi Paolo Nespoli ha partecipato a ben tre missioni – per un totale di 313 giorni fuori dall’atmosfera terrestre – a bordo della Stazione spaziale internazionale, maxi laboratorio in ambiente senza gravità (grande più di un campo di calcio) che orbita attorno alla Terra, come fosse in caduta libera, alla pazzesca velocità di 28mila km/h. «Ma prima di volare ho dovuto, come tutti i miei colleghi, superare diverse prove fisiche e psichiche. Ad esempio, per testare la nostra capacità di resistenza allo stress – e di gestione dei conflitti personali – siamo stati mandati a vivere per alcuni giorni in condizioni estreme. Ad esempio, abbiamo trascorso periodi in grotte e cunicoli sotterranei, oppure sott’acqua, nel deserto del Sahara e in Alaska, circondati dai grizzly e muniti soltanto di minuscoli kayak per poterci spostare. Tutto ciò, ovviamente, richiede un fisico sano e una buona preparazione atletica».
Da profano gli chiedo se ciò che si vede nei film – con gli astronauti sottoposti ad allenamenti estremi – corrisponde a realtà. «Gli sforzi richiesti una volta in orbita sono notevoli, dunque è imprescindibile un buono stato di forma. Ma non bisogna esagerare: i drogati di allenamento non vanno bene, perché sulla Stazione non hai certo la possibilità di scaricare le energie come eri abituato a fare sulla Terra, e dunque qualcuno eccessivamente sportivo si troverebbe in difficoltà. Ci vuole insomma un giusto equilibrio. Ad ogni modo, ogni astronauta durante le missioni è tenuto a fare esercizi fisici almeno per due ore al giorno, per evitare che la massa muscolare – ma anche lo scheletro – subiscano troppe riduzioni per via dell’assenza di gravità. Lo scheletro è simile al rinforzo del cemento armato, che serve a contrastare la forza di gravità. Se questa è assente, lo scheletro serve a poco, e il corpo – giustamente – decide di smettere di lavorare e di spendere energie per mantenere attiva una cosa divenuta inutile. E così, non soltanto non lo mantiene, ma addirittura lo smantella. Ecco dunque spiegata la necessità delle due ore al giorno di allenamento a bordo della Stazione spaziale. Succede spesso che, al rientro dalle missioni, proprio grazie a questi esercizi regolari gli astronauti sbarchino con più massa muscolare rispetto a quando erano partiti. Una condizione fisica particolarmente performante è richiesta in realtà soltanto a chi deve effettuare passeggiate spaziali, perché si trova a lavorare per molte ore dentro una tuta scomoda, senza mai fermarsi e senza poter mangiare nulla. Il dispendio di energie, in questi casi, è simile a quello registrato durante una maratona, e non tutti sono in grado di sopportare sforzi del genere». Al ritorno sulla Terra, quali problemi fisici si riscontrano, di solito? «Restando per mesi in assenza di gravità – senza punti di riferimento come l’alto e il basso – si registra un peggioramento a livello del sistema vestibolare, che regola l’equilibrio. Ci vuole qualche giorno prima di ristabilire la normalità. E poi bisogna riaggiustare un po’ i movimenti e i riflessi, anche i più semplici. Ad esempio, ti fanno fare esercizi all’apparenza molto banali, ma che in realtà non lo sono, credimi. Quando lanciamo un oggetto sulla Terra, sappiamo per esperienza che l’oggetto in questione segue una traiettoria a parabola per via della forza di gravità. Sulla Stazione, invece, l’oggetto segue una linea retta, dopo che gli hai impresso la forza di spinta. Al rientro ti fanno dunque lanciare una pallina contro il muro, chiedendoti di afferrarla al volo quando torna indietro. Ebbene, non ci riesci quasi mai, perché ti piazzi a ricevere la pallina al posto sbagliato, in genere troppo in alto, non essendo più abituato a considerare la forza di gravità – che spinge gli oggetti verso il basso – e devi dunque tener conto di parametri che per mesi ti eri abituato a non più considerare. Pare impossibile finché non ci provi, stenti a credere che possa succedere davvero». E oggi, pensionato e conferenziere, Paolo Nespoli come si tiene allenato? «Fino a poco tempo fa correvo parecchio, specie la mattina, ma poi mi sono rotto un piede in modo banale e ora a correre faccio più fatica, quindi mi dedico a un po’ di sollevamento pesi».