MOTOCICLISMO

Lo sprint finale di Tom Lüthi. ‘Era il momento giusto’

Campione del mondo delle 125cc nel 2005, il bernese lascia le corse a fine stagione. 'Quando sei ancora in Moto2 alla mia età, qualche pensiero lo devi fare'

Il suo futuro è da dirigente, al Prüstel Gp. Con un nuovo talento, il basilese Dettwiler. 'Spero riuscirà a tener viva la scena motociclistica in Svizzera' (Keystone)
19 agosto 2021
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Non basta certo il nono posto ottenuto domenica al Spielberg, pur sempre il suo miglior risultato in questo 2021. Al termine di un'altra stagione complicata in Moto2, la seconda consecutiva dopo la parentesi ingloriosa in MotoGp (era il 2018) e che culminerà senza un contratto, visto che non è riuscito a convincere il suo datore di lavoro, gli spagnoli del team Pertamina Mandalika, Tom Lüthi decide che è questo il momento giusto per dire basta. «Di certo non sono stato influenzato da ciò che è successo domenica in Austria – esordisce il campione di Oberdiessbach, che compirà 35 anni il 6 settembre –. Quella di lasciare non è stata una decisione che ho preso stanotte, ma è il frutto di una scelta ponderata, al temine di un'analisi che ha preso in considerazione più fattori. Non ho pensato soltanto a ciò che sta succedendo ora, ma ho dovuto riflettere anche sul futuro, prendendo in considerazione cos'avrei potuto fare una volta terminata la carriera».

Infatti, e lo stesso Lüthi non può negarlo, alla base della decisione di appendere la moto al chiodo a novembre, una volta che il Motomondiale sarà andato in letargo, c'è soprattutto ciò che sta vivendo di questi tempi il campione bernese, che nel 2005 arrivò sul tetto del mondo nell'allora classe 125cc riportando in Svizzera un titolo motociclistico vent'anni dopo l'ultimo dei quattro trionfi filati di Stefan Dörflinger, dietro al manubrio di una 80cc. «Certo, è logico, quando hai la mia età e sei ancora in Moto2 qualche pensiero lo devi pur fare – dice, schietto, Lüthi –. Ti chiedi come andranno avanti le cose, per quanto tempo potrai ancora correre, eccetera. Ma per me non c'era solo questo: mi sono sempre detto che se avessi deciso veramente di continuare l'avrei fatto solo se mi fossi ritrovato per le mani un buon package, che mi permettesse di avere delle prospettive di successo, di poter tornare sul podio. A un certo punto, però, tutto questo è diventato difficile. È diventato difficile arrivare in vetta, perché i giovani premono, mentre da sempre per me è importante riuscire a essere performante. Credo quindi che questo sia il momento giusto per smettere».

Al termine di una carriera quasi ventennale (infatti il bernese fece il suo esordio tra le 125cc nel 2002, in sella a una Honda del Team Elit, prendendo li posto del ceco Jakub Smrz), condita purtroppo non solo dai diciassette Gran premi vinti, ma pure dai tanti momenti complicati. «È stato un periodo molto lungo, in cui ne sono successe di cose. E non sono state unicamente cose positive: ci sono state fasi dure, difficili, ma che alla fine mi hanno anche permesso d'imparare parecchie cose che mi serviranno nella vita di tutti i giorni, e che mi hanno reso più forte».

In Svizzera quello di Tom Lüthi è una specie di brand, indissolubilmente legato al mondo delle moto. E lo sarà anche in futuro, dato che il pilota bernese non ha alcuna intenzione di abbandonare il pianeta corse. «Continuerò a respirare l'aria del paddock – aggiunge –, il qualità di direttore sportivo al Prüstel GP, scuderia tedesca attiva in Moto 3 dove spero di riuscire a portare l'esperienza accumulata in questi anni».

Dove lavorerà anche con il diciassettenne basilese Noah Dettwiler. «Il management ha deciso di puntare su di lui: è un ragazzo di talento, e io spero che sappia tener viva la scena del motociclismo in Svizzera».

A immagine dello stesso Lüthi, insomma. Il quale, dall'alto della sua longevità, ha saputo lasciare la sua impronta in un ambiente difficile come quello del Motomondiale, in cui c'è un costante ricambio a livello di piloti, e nonostante ciò il trentaquattrenne dell'Emental è riuscito a tornare sul podio per un'ultima volta nell'autunno del 2019, in Moto2, a Valencia, oltre sedici anni dopo il suo primissimo appagamento, ovvero il secondo posto tra le 125cc in Catalogna: soltanto gli italiani Valentino Rossi, pure lui fresco di annuncio di ritiro, e Andrea Dovizioso possono dire di aver fatto meglio. 

'Per essere uno svizzero non è stata una brutta carriera'

Quella stagione 2019, conclusa al terzo posto nella generale, sarà stata anche l'ultima ricca di soddisfazioni per Lüthi, che a partire dalla stagione successiva non è più riuscito a trovare le giuste sensazioni, ma neppure il miglior 'setup' per la sua Kalex dopo aver cambiato scuderia e meccanici, ciò che l'ha costretto a rinunciare al sogno di rivaleggiare con i migliori, costretto com'era a lottare in mezzo al gruppo. Provando a restarvi comunque aggrappato con le unghie e con i denti, attorniato da giovani a volte persino due volte più giovani di lui, il più delle volte senza riuscire a trovare riferimenti, e dopo le sconfitte neppure delle spiegazioni. «Tuttavia posso dire di essere in pace con me stesso – aggiunge Lüthi –. Per essere un pilota svizzero, direi che la mia non è stata una brutta carriera. Anzi: il mio nome nell'ambiente ha una buona reputazione, l'ho potuto verificare di recente quando si è trattato di cominciare a ragionare sul mio futuro professionale. Ne sono felice, e spero che anche in futuro continuerà a essere così».

Di grossi rimpianti, invece, per l'elvetico sembrerebbero non essercene. «Anche se ci sono un paio di cose che non abbiamo fatto al momento giusto, e una di queste è senz'altro il fatto di aver atteso un anno prima di passare alla 250 dopo aver vinto il titolo della 125. Certamente, però, non mi torturerò per questo, non dopo una carriera del genere».

Senza contare che, alla fine, Lüthi è arrivato fin qui senza grossi acciacchi, in un'attività pericolosa come lo sono le corse in moto. «Uno degli effetti delle cadute e degli infortuni è che per sentirsi davvero bene sei costretto a restare molto attivo sul piano della preparazione atletica, ciò che mi sta davvero bene – conclude –. Certo, questo o quest'altro graffio me lo porterò dietro, ma è senz'altro un successo svegliarsi al mattino senza avvertire dolori, in uno sport come questo».