Il successo di Mladjan e compagni sulla Serbia si somma ad altri grandi momenti per i colori rossocrociati, che rimangono tuttavia troppo isolati
Torniamo alla nazionale e al suo exploit contro la Serbia. L’amico Maurice Monnier, ex giocatore, ex allenatore di club e della selezione rosocrociata, ci aiuta a ricordare, con alcuni esempi, come la Svizzera anche in passato abbia avuto momenti di gloria con risultati eclatanti. Nel 1951, a Losanna, batté la Jugoslavia che aveva in campo Stankovic, mitico giocatore prima, poi allenatore che ho conosciuto a Cantù, e infine segretario generale della Federazione internazionale (Fiba). Nel 1960, nel torneo preolimpico a Bologna i rossocrociati batterono l’Australia, a quei tempi quarta nazione mondiale, partita nella quale Monnier fu uno dei protagonisti. Poi, al torneo di qualificazione a Mans, la squadra elvetica superò la Grecia. Da ultimo, un decennio fa, con al timone Aleksic, la vittoria contro i russi che poi si ”vendicarono” alla grande nel match di ritorno sommergendoci, tanto bruciò quella sconfitta. Il trionfo contro la Serbia di sabato nelle qualificazioni all'Europeo del 2022 ha aggiunto un altro tassello a questa piccola lista di successi senza tempo.
Qualcuno potrà anche sorridere nel vedere come, in settant’anni, siano stati veramente pochi i grandi successi contro nazioni decisamente più forti di noi, selezioni con una tradizione acquisita nel basket e capaci di produrre giocatori di livello mondiale. Segno evidente di strutture adeguate, percorsi a livello giovanile al top, con allenatori e strutture di primo livello e una formazione di grande qualità, cose che noi continuiamo a progettare senza mai arrivarne a una. Si dirà che la nostra nazionale è comunque il frutto di un lavoro fatto bene nei club ma se riusciamo a produrre risultati di livello ogni dieci anni, forse significa che solo con quelle scadenze nascono dei talenti veri. Il fatto di avere due giocatori che militano in Nba come Sefolosha e Capela ci dà un certo orgoglio, ma è altrettanto vero che la crescita di questi giocatori, dopo il percorso nei nostri club a livello giovanile, è avvenuta fuori dai confini elvetici.
La nostra nazionale è uscita a testa alta dalla bolla di Espoo perché ha saputo essere squadra fino alla fine. Merito del coach e del suo staff che sono riusciti a dare un’identità di gioco e di carattere che hanno permesso ai rossocrociati di giocarsela contro qualsiasi avversario. Poi si ribadirà che le assenze dei migliori giocatori serbi, quelli dell’Nba e dell’Eurolega, hanno pesato, ma i conti si fanno sempre con quelli che vanno in campo. Anche la Georgia, che è molto forte in alcuni elementi – e poco importa se naturalizzati o meno perché le regole valgono per tutti – appena ha cominciato a giochicchiare avanti di 15, si è ritrovata in affanno negli ultimi 4 minuti, dopo il recupero di Kovac e compagni. Segno evidente che, molto spesso, se non c’è l’atteggiamento adeguato per 40 minuti, rischi anche contro squadre sulla carta più deboli.
Ecco perché si può guardare con una certa fiducia alla finestra di febbraio, quando si dovranno fare i conti con Finlandia e ancora Serbia per non arrivare ultimi del girone ed essere esclusi. Sarà importante per il tecnico Gianluca Barilari vedere l’evolversi del campionato, capire quali possono essere le pedine da aggregare a questo gruppo, per avere maggiori cambi di qualità. Perché, al di là dell’encomiabile l’impegno di tutti, alcune pedine non si sono dimostrate sempre all’altezza della situazione, soprattutto in regia. Tre mesi per arrivare al dunque. Buon lavoro coach.